ALTERNANZA

Leonardo Mazzei

 

LA VITTORIA DI BERLUSCONI

La destra è al governo, il centrosinistra all’opposizione: l’alternanza si è dunque realizzata. E’ questa, in estrema sintesi, la fotografia dell’Italia uscita dal voto del 13 maggio.

Cinque anni di governo del centrosinistra, cinque anni di duro lavoro al servizio delle oligarchie finanziarie, hanno infine spianato la strada a Berlusconi e soci. Chi semina vento, raccoglie tempesta: in cinque parole potremmo sintetizzare il commento sull’esito politico di cinque anni di Ulivo.

Anni nei quali le politiche liberiste – ovviamente “concertate” tra le cosiddette “parti sociali” – hanno potuto dispiegarsi praticamente senza opposizione alcuna, stabilendo incessantemente primati nel campo delle privatizzazioni, della riduzione del salario reale, della crescita a dismisura del lavoro precario. Naturale che l’ultraliberismo tatcheriano della Casa delle Libertà abbia trovato terreno fertile per le sue proposte, naturale che abbia vinto.

Vinto, ma non stravinto. La destra ha ottenuto un’ampia maggioranza parlamentare che dovrebbe assicurargli un governo di legislatura, pur perdendo voti in termini assoluti ed in percentuale rispetto al ’96.

E’ il maggioritario, bellezza! Sarebbe stata questa l’unica risposta da dare ai volti stralunati dei dirigenti ulivisti che insistevano su questo dato nei commenti post-elettorali.

Di nuovo: chi semina vento, raccoglie tempesta! Se Rutelli, Fassino, Veltroni e compagni avessero un po’ di memoria dovrebbero ricordarsi del 18 aprile ’93 e allora scoprirebbero che la vera “quinta colonna” storica della destra non si chiama Bertinotti  (in realtà fin troppo generoso con il centrosinistra) bensì Occhetto, l’artefice (con Mario Segni) di quel referendum. Se la memoria gli facesse difetto, potrebbero comunque ricordarsi il loro impegno più recente per rendere il maggioritario ancor più maggioritario. Impegno profuso nei due referendum del 18 aprile ’99 e del 21 maggio 2000, entrambi persi per il mancato raggiungimento del quorum.

Se volessero fermare il loro sguardo solo ai primi mesi del 2001 scoprirebbero di aver regalato un bel numero di seggi alla destra per aver partecipato senza ritegno all’ammucchiata, anch’essa rigorosamente bipolare, delle liste civetta. Liste realizzate principalmente a danno dei non allineati, ma che hanno ovviamente favorito a dismisura lo schieramento vincente.

In termini di seggi il successo della destra è stato dunque fondamentalmente il frutto del sistema maggioritario. Sarebbe perciò sbagliato parlare di spostamento a destra del Paese, così come fu sbagliato – e fummo tra i pochi a denunciarlo – parlare di spostamento a sinistra il 21 aprile ’96.

In realtà, lo spostamento a destra c’è ormai da un decennio. Si è trattato di uno spostamento contestuale ed intrecciato al procedere della costruzione della seconda repubblica.

Il disfacimento dei partiti della prima repubblica, lo scioglimento-trasformazione del Pci-Pds, la totale integrazione di Cgil-Cisl-Uil nel meccanismo concertativo, la scelta europea: ecco gli elementi che hanno portato a ridisegnare la mappa politica dell’Italia. Questo ridisegno poteva però affermarsi solo grazie ad un nuovo meccanismo elettorale e quel meccanismo maggioritario è puntualmente arrivato nel ’93.

Il partito di Fini (all’epoca Msi, oggi An) navigava fino ad allora attorno al 5%; la Lega cominciava ad affermarsi, ma non sfondava; Forza Italia non esisteva ancora. Nell’anno che va dal 18 aprile ’93 al 27 marzo ’94, data delle prime elezioni politiche vinte da Berlusconi, assistiamo allo sfondamento della Lega alle elezioni comunali nelle grandi città del nord; a quello del Msi a Roma e Napoli; alla nascita di Forza Italia.

Dal 1994 in poi l’insieme delle forze di destra è stato maggioritario rispetto al centrosinistra (incluso il Prc) in tutte le elezioni generali (politiche, europee, regionali) che si sono tenute. La destra ha perso solo quando si è presentata divisa, come nel ’96, ma ha sempre vinto quando si è presentata unita. A dimostrazione di quanto questo semplice schema sia vero, basti ricordare che la destra (divisa) raggiunse il massimo dei voti (52,2%) proprio il 21 aprile ’96, il giorno del successo dell’Ulivo.

Questi brevi cenni alla storia recente non vogliono dire che la vittoria di Berlusconi fosse scontata. Niente è scontato in una politica americanizzata fatta di immagine, colpi bassi, risse televisive, dove tutto è concesso purché si stia dentro il recinto bipolare delle compatibilità generali del sistema. Ed in effetti nell’ultima fase della campagna elettorale Berlusconi ha commesso numerosi autogol, motivando molti astensionisti di sinistra a recarsi alle urne. Ma i regali delle ultime tre settimane non potevano compensare quelli generosamente concessi dalla parte avversa per cinque anni.

Che la sconfitta dell’Ulivo fosse annunciata, che la nave stesse affondando, era del resto provato dalla fuga dei comandanti in rotta verso Gallipoli o il Campidoglio, alla ricerca di un qualche riparo per il futuro. E’ così rimasto tutto in mano a chi il Campidoglio aveva dovuto già abbandonarlo, rendendo ancora più evidente il vuoto di idee di una compagine ulivista capace di proporsi solo come forza di conservazione.

“Ricca, come te” è stato il breve ma significativo contenuto di un manifesto Ds rivolto all’Italia. Ad un messaggio di conservazione – peraltro incapace di convincere i ricchi – si è unita la personalizzazione più spinta. Il tema dominante è divenuto Berlusconi e il conflitto di interessi. Davvero un tema interessante, ma un po’ bizzarro se proposto da uno schieramento che ha governato per cinque anni senza la volontà di affrontarlo sul serio, per rispolverarlo solo in vista delle elezioni con il comico risultato di far passare per vittima il padrone di Mediaset.

Ed a proposito di povertà di argomenti e di debolezza del gruppo dirigente ulivista, vale quanto ha scritto un noto editorialista: “Una sinistra che affida l’impostazione della campagna elettorale ai comici e l’analisi del voto ai registi, qualche problema ce lo deve avere”.

C’è stato un momento nel quale la partita sembrava riaprirsi. Quando la grande stampa europea è passata all’attacco frontale nei confronti di Berlusconi. Mai come in quel momento è stata chiara l’avversione dell’Europa verso la Casa delle Libertà. Non potendo parlare i governi, tantomeno quelli dei paesi più importanti (l’unica licenza è stata concessa al ministro degli esteri belga), si è mandata in campo la grande stampa, significativamente unita per l’occasione, contro la prospettiva di un governo visto come una minaccia alle politiche dell’Unione Europea.

Ad un certo punto lo scontro, l’alternativa proposta agli elettori, è diventata così quella tra l’uomo più ricco d’Italia e gli uomini del grande capitale europeo che controllano i principali mezzi di informazione. Da una parte Mediaset, dall’altra l’Economist: davvero una scelta imbarazzante, specie per i lavoratori! Comunque ha vinto il primo e questo non sarà privo di conseguenze e di contraddizioni nel quadro europeo.

 

L’AFFERMAZIONE DEL BIPOLARISMO E DELL’ALTERNANZA

Come avevamo previsto, le elezioni del 13 maggio hanno segnato una tappa fondamentale verso la completa affermazione del bipolarismo. Solo cinque partiti (contro gli otto del ’96) hanno superato lo sbarramento del 4%, solo uno di questi (il Prc) si è collocato – sia pure contraddittoriamente con la scelta della “non belligeranza” - in una posizione relativamente autonoma rispetto ai due poli.

Una forte polarizzazione si è manifestata anche all’interno dei due schieramenti: Il 20,6% di Forza Italia rappresentava nel ’96 il 39,5% dei voti complessivamente ottenuti dalle forze della destra. Con il 29,4% del 13 maggio il partito di Berlusconi ha invece catalizzato ben il 59,4% dell’elettorato complessivo della coalizione.

Più complesso il fenomeno nel centrosinistra, dove all’arretramento dei Ds, che sembrerebbe smentire la tesi della polarizzazione interna agli schieramenti, fa però riscontro il successo della Margherita, favorito dal legame con il nome di Rutelli, e il calo di tutte le forze minori (Verdi, Sdi, Pdci).

Che la tendenza alla polarizzazione sia davvero forte è confermato clamorosamente dal voto amministrativo nelle grandi città, dove i due candidati principali hanno totalizzato quasi sempre più del 90% dei voti (qualche volta il 95%), pur in presenza di un numero elevato di altri candidati.

Altro elemento, tipico del processo di americanizzazione della politica, che esce confermato da queste elezioni è quello della personalizzazione. Una personalizzazione accentuata dalla forzatura operata con l’inserimento dei nomi dei candidati premier nei simboli elettorali. Un inserimento denunciato come illegale non da noi, ma addirittura dal professor Sartori, che ha visto giustamente in questo trucco – anch’esso adoperato a pari merito da entrambi i poli – un’azione palesemente incostituzionale tendente ad introdurre di fatto (senza perdere troppo tempo in Bicamerali o in Assemblee Costituenti) una forma di governo presidenzialista.

Ma, al di là di queste considerazioni, quel che più conta è che il bipolarismo si è davvero affermato nel modo di pensare, nei ragionamenti oltre che nei comportamenti elettorali. Chi, come noi, ha fatto la campagna elettorale, ha potuto toccare con mano questo fenomeno involutivo dalle conseguenze di lungo periodo.

E con il bipolarismo si è affermata l’alternanza. Scrivevamo nel maggio 2000, sul primo numero di Rosso XXI°, a commento delle elezioni regionali: “Queste elezioni preparano l’alternanza. D’altra parte il sistema bipolare non può farne a meno, pena la smentita del meccanismo dell’intercambiabilità. Si ha un bel gridare contro Berlusconi, ma chi sostiene il bipolarismo dovrebbe sapere che esso si regge su un’alternanza di governo tra schieramenti tutt’altro che alternativi nei contenuti politici. E’ chiaro perciò che, prima o poi, toccherà anche al centrodestra governare l’Italia. L’unica cosa che davvero stupisce in tutto ciò è lo stupore di chi ha dichiarato l’Italia un “Paese normale”, costruendo una seconda repubblica fondata sulla pregiudiziale anticomunista accompagnata dalla riabilitazione dei neofascisti di An”.

La previsione di un anno fa si è avverata. D’altra parte il bipolarismo senza alternanza sarebbe un non senso, fallirebbe il suo scopo assumendo troppo vistosamente l’aspetto di un regime.

Non di questo regime hanno oggi bisogno le classi dominanti, il bipolarismo può far di meglio! L’alternanza bipolare è infatti un regime ben più forte e stabile, riuscendo ad apparire ancora democratico proprio mentre cancella ogni possibile opposizione.

E’ il cosiddetto modello “bipartisan” nel quale due parti (una momentaneamente al governo, l’altra momentaneamente all’opposizione) si accordano su tutte le questioni di fondo; dalla collocazione internazionale, alla definizione delle compatibilità economiche, dalle politiche repressive a tutte le questioni inerenti il funzionamento dello Stato e del sistema istituzionale nel suo complesso.

E’ di questi giorni, tanto per fare un esempio, la richiesta di Berlusconi di arrivare al vertice dei G8 di Genova con un mandato unitario (bipartisan appunto) che veda unito tutto il parlamento; mandato già accordato ad Amato in occasione del vertice europeo di Nizza del dicembre 2000.

Così come unitariamente, d’accordo il ministro uscente dell’Ulivo con quello entrante del Polo, a camere non ancora riunite, il governo Amato ha varato d’urgenza un decreto per fermare la scalata alla Montedison da parte della francese Edf.

Ma già prima delle elezioni abbiamo assistito ad un altro parto “bipartisan”: il voto unanime della Camera agli inizi di maggio (con l’astensione del Prc) sul decreto che aumenta i tempi della carcerazione preventiva e quelli concessi alle indagini sui cosiddetti “reati di terrorismo”, in realtà sui reati tipicamente politici, come quello di associazione sovversiva previsto dal Codice Rocco e da sempre utilizzato per colpire l’opposizione politica.

Insomma, il governo Berlusconi non è ancora nato, ma il meccanismo bipartisan è già attivo e pronto ad adattarsi alla nuova fase della politica italiana.

 

IL GOVERNO DELLA DESTRA

Entriamo qui nella questione più importante. Quali saranno le caratteristiche di fondo del nuovo governo? Qualcuno parla di mix di populismo e liberismo, qualche altro vede il ritorno del fascismo, altri ancora sottolineano il possibile ruolo della Lega benché sconfitta dal voto, ecc.

Ovviamente nella destra italiana di oggi c’è effettivamente un po’ di tutto questo, ma quale sarà l’elemento prevalente, l’impianto di fondo del governo Berlusconi? Una prima risposta ci viene proprio dall’esito delle elezioni che ha punito sia An che la Lega (in tempi normali Fini e Bossi avrebbero dovuto dimettersi).

Il vero vincitore, l’unico vero vincitore – giova ripeterlo – è proprio Berlusconi. Una vittoria dell’impostazione tatcheriana, incentrata su tre elementi: il liberismo economico, l’autoritarismo, l’atlantismo. In questi tre elementi è racchiusa la concezione dell’economia, della società, dello stato, delle relazioni internazionali; è racchiuso cioè quasi tutto.

Su ognuno di questi tre elementi Berlusconi potrà muoversi per accelerazioni nella continuità con l’impostazione dei governi degli ultimi dieci anni.

Il liberismo è stato non solo la politica, ma addirittura l’ideologia che ha sorretto tutte le scelte economico-sociali almeno dal ’92 in poi. Poiché al peggio non c’è limite, Berlusconi si prefigge di fare di più sintonizzandosi al 100% con una Confindustria che dopo aver utilizzato per una legislatura il centrosinistra, punta oggi sul governo del Cavaliere. Ed è proprio in queste facili danze padronali che si può cogliere appieno l’essenza e la funzione del meccanismo dell’alternanza.

Dove si verificheranno le accelerazioni (nella continuità) in materia economica e sociale? I terreni principali sembrano tre: 1) la flessibilità totale nei rapporti di lavoro, introducendo in sostanza una crescente libertà di licenziamento; 2) una (contro)rivoluzione fiscale di stampo reaganiano, tesa a far pagare di meno chi ha redditi più alti; 3) un nuovo intervento peggiorativo sulle pensioni, in particolare su età pensionabile e meccanismo di calcolo.

E’ evidente che le accelerazioni che Berlusconi vorrà dare si inseriranno nel solco di politiche decennali, che hanno rappresentato il leit-motiv dei governi che vanno da Amato I (1992-93) ad Amato II (2000-2001).

Chi si scandalizza dell’odierna sintonia tra il prossimo governo e Confindustria, dovrebbe ricordarsi di quanto è stato fatto dalle forze del centrosinistra per affermare l’assoluta centralità dell’impresa nella società, fino a disegnare il volto di quest’ultima sulla base delle esigenze del mercato.

Non è un caso che il lamento degli ormai ex ministri Bersani e Fassino si sia levato non contro le ricette di Confindustria, ma per denunciare l’ingratitudine di questa organizzazione per il lavoro fatto in cinque anni di governo dell’Ulivo.

Si tratta davvero di un’ingratitudine pesante e – comprendiamo – avvilente. Proprio pochi giorni fa (il 21 maggio) è divenuto operativo il provvedimento del Ministro del Lavoro (il “sinistro” Salvi) sulla possibilità di rinviare la pensione d’anzianità. I giornali hanno titolato: “Pensioni di anzianità, premio a chi rinvia”. Leggendo il provvedimento si scopre però un’altra realtà. I lavoratori che decideranno di rinviare la pensione avranno una retribuzione più elevata dell’8,89%, ma il risparmio per le imprese sarà del 23,81%. Come ultimo atto del centrosinistra in materia non è davvero male…ma ai padroni, si sa, non gli basta mai.

Altro tema da sviluppare è quello dell’autoritarismo. Dove porteranno le concezioni della Casa delle Libertà (mai nome fu più improprio, ma questo è tipico del mercato pubblicitario) sulla democrazia, sull’immigrazione, sulle istituzioni?

Anche qui sono prevedibili delle accelerazioni nella continuità. Il restringimento degli spazi democratici è un’esigenza insopprimibile della società-impresa, una società da governare secondo una logica neocorporativa, non disdegnando la repressione quando la prevenzione del conflitto fallisce – anche solo in parte – il suo obiettivo.

E’ prevedibile perciò un nuovo restringimento nelle politiche dell’immigrazione, un’ulteriore svuotamento dei poteri delle assemblee elettive, un crescente ricorso ad azioni repressive contro l’opposizione politica e sociale non riconducibile nel recinto bipolare.

L’atlantismo spinto di Berlusconi, confermato in questi giorni dall’incontro con Kissinger, potrebbe rappresentare il maggior elemento di discontinuità rispetto ai governi precedenti.

Non che questi ultimi non fossero atlantici! Il recente libro del generale Clark sulla guerra alla Jugoslavia è ricco di riconoscimenti alla fedeltà italiana. Ma il problema è l’Europa, il suo futuro di superpotenza imperialista, il suo crescente conflitto con gli Usa.

Berlusconi si è già pronunciato a favore dello “scudo spaziale” e contro i protocolli di Kyoto in materia ambientale già ricusati da Bush. Il nuovo governo sembra dunque avere già compiuto la scelta americana e non a caso Blair ha dichiarato che “con Berlusconi si può lavorare”.

Questa nuova collocazione italiana entrerà in conflitto con l’UE. La portata di questo conflitto dipenderà ovviamente da diversi fattori, ma il suo verificarsi è certo come l’alternarsi delle stagioni.

 

LE FORZE POLITICHE DOPO IL VOTO

Il governo della destra potrà contare su un’ampia maggioranza parlamentare, ma non è detto che questo basti per ottenere stabilità.

Prescindendo da ciò che saprà fare l’opposizione, è evidente che la coalizione vincente è risultata da un lato (quello di Forza Italia)  “troppo vincente” e dall’altro assai poco coalizione.

Si tratta largamente di contraddizioni interne ad un ceto politico che potrà ricomporle attraverso la gestione del potere, che notoriamente “logora chi non ce l’ha”. Tuttavia questa ricomposizione potrà risultare insufficiente non appena nasceranno le prime difficoltà politiche sia all’interno che nel rapporto con l’Europa.

Nel centrosinistra la sconfitta sembra destinata a lasciare ferite profonde. La sconfitta dei Ds, incredibilmente acefali nell’ultima fase, è la sconfitta di tutto l’impianto iperpoliticista che li ha sempre caratterizzati. E’ una sconfitta che è riuscita a regalare (grazie al nome di Rutelli) un successo ai concorrenti della Margherita. E’ una sconfitta ben lungi dall’essere elaborata, una sconfitta priva di risposte quasi questo partito fosse ormai incapace anche di porsi le domande.

Naturalmente i Ds restano il principale partito della coalizione dell’Ulivo, il partito più strutturato, quello meglio posizionato nel potere locale oltre che nel sindacato. Ma la crisi dei Ds ricorda per alcuni aspetti (assenza di leadership e di idee forza, congiunta alla perdita del potere centrale) quella della Dc e del Psi dei primi anni ’90.

Non è pensabile (troppe sono le differenze) che i Ds facciano la stessa fine, ma si tratta in ogni caso di una crisi grave e profonda.

Se i Ds piangono, le forze minori del centrosinistra non ridono, anzi. I Verdi, sempre meno protagonisti delle lotte ambientaliste, pagano l’ennesima giravolta politicista rappresentata dalla nascita dell’improbabile Girasole. I cossuttiani di giravolte ormai non hanno più da farne, gli enti inutili prima o poi si sciolgono: dopo aver sistemato qualche familiare, cercheranno qualche collocazione per salvare qualche altro posto per qualche tempo, amen.

Rifondazione Comunista ha ottenuto un risultato modesto (per l’esattezza il peggior risultato in voti ed in percentuale in elezioni politiche da quando esiste), ma soddisfacente considerato il quadro generale. Questa tenuta potrà dare fiato al partito di Bertinotti nell’immediato, ma lascia inalterati i nodi di fondo, in particolare il problema della collocazione rispetto allo schema bipolare.

Alle elezioni Rifondazione Comunista si è presentata quasi sempre alleata con l’Ulivo nelle amministrative, con il quale governerà città come Roma e Napoli; nei collegi della Camera ha scelto la “non belligeranza”, in quelli del Senato la presenza autonoma. Da questa confusione è uscito il 5%, di certo non poteva uscire una linea.

Dopo il voto Bertinotti si è affrettato ad aprire all’Ulivo, citando Mitterand come riferimento di un possibile futuro unitario a sinistra. Peccato che Mitterand sia stato l’uomo che ha reso definitivamente governativa la sinistra francese, che ha promesso riforme per andare al governo, realizzando la più pesante delle politiche antipopolari una volta raggiunto lo scopo. Peccato che sia stato l’interprete più autorevole degli interessi imperialisti della Francia e che, insieme a Khol, sia stato l’artefice della costruzione dell’Europa di Maastricht. Se questi sono i riferimenti attuali del Prc, sappiamo fin da ora, al di là dei soliti proclami massimalisti, in che direzione verrà sciolta l’ambiguità di questi anni.

 

IL NOSTRO RISULTATO

Ci siamo presentati con il nostro simbolo nella quota proporzionale della circoscrizione della Toscana, in tre collegi uninominali della Camera, in due del Senato ed alle provinciali di Lucca. Il risultato complessivo è stato soddisfacente in rapporto ai nostri obiettivi.

Avevamo detto di voler cogliere un’occasione di battaglia politica e così è stato. Positivo, innanzitutto, il raggiungimento della raccolta delle firme necessarie nella quota proporzionale  (4.700 firme autenticate e certificate); un obiettivo che non era affatto scontato in partenza.

Più difficile è stato raccogliere le firme necessarie nei collegi. Oltretutto, per la prima volta, non c’è stato il dimezzamento e così abbiamo potuto presentarci in un numero assai limitato di collegi.

Era questo in realtà il nostro scopo principale: presentare il simbolo e il programma dei comunisti, laddove altri lo avevano fatto scomparire con la “non belligeranza”, per dare la possibilità di voto a chi voleva opporsi al bipolarismo.

Un obiettivo dunque limitato, ma chiaro. Quanto fosse giusto e sentito quell’obiettivo ci è stato confermato dal voto nei collegi della Camera. Abbiamo infatti ottenuto il 3,2% nel collegio della Valdinievole (PT), il 2,1% in quello di Lucca ed ancora il 3,2% nel collegio Capannori-Garfagnana (LU). In soli tre collegi otteniamo 6.769 voti, arrivando terzi dopo Polo e Ulivo e collocandoci davanti a Democrazia Europea, Italia dei Valori e Lista Bonino.

I risultati nei collegi del Senato di Lucca e Pistoia (2.159 voti complessivi, pari allo 0,65%), nella quota proporzionale (5.203 voti) ed alle provinciali di Lucca (1.071 voti) hanno risentito – come era prevedibile – della presenza del simbolo del Prc.

Resta il fatto che la non belligeranza con il centrosinistra decisa da Rifondazione, messa alla prova nei collegi della Camera, non è stata condivisa da buona parte dell’elettorato comunista. Resta il fatto che c’è un 3% circa dell’elettorato che non rassegnandosi al bipolarismo, volendo uscire da questa trappola, lo fa votando comunista.

E’ un’indicazione importante, da non enfatizzare, ma che evidenzia una chiara linea di resistenza ai processi omologativi.

 

LE PROSPETTIVE

La nuova fase della politica italiana richiede una riflessione anche  a noi stessi ed alle forze che con noi hanno espresso una posizione di autonomia e di lotta al bipolarismo.

Sulle prospettive stiamo aprendo un dibattito al nostro interno, ma la discussione non potrà che essere allargata a tutte le realtà e ai singoli compagni che vogliono lavorare al processo di aggregazione dei comunisti.

E’ necessario essere consapevoli delle difficoltà presenti e delle nuove esigenze poste dalla lotta politica, ma è necessario anche riaffermare la centralità oggettiva della questione comunista come unica alternativa possibile al quadro opprimente del capitalismo contemporaneo. Non è, contrariamente alle apparenze, il momento di abbassare il tiro, anche perché dopo le “Cose” 1,2,3 di marca pidiessina, sta venendo proprio in questi giorni alla luce il progetto bertinottiano della
“Cosa 4”. Per certi aspetti nessuno sa cosa sia; per un aspetto – la marginalizzazione del comunismo all’interno di una confusa “sinistra alternativa”- tutti sanno cos’è.

Nel dibattito che si apre crediamo che si debbano sviluppare alcuni punti:

a)      Individuare le forme e i contenuti che consentano di costruire una forte opposizione politica e sociale al governo Berlusconi, sapendola legare almeno in parte alla costruzione di una piattaforma di opposizione strategica al capitalismo. Individuare quindi i modi per realizzare la più ampia unità nelle lotte, mantenendo con chiarezza gli obiettivi strategici dei comunisti.

b)      Ribadire che il doppio no alla destra dei padroni, come alla sinistra del capitale, non deve essere accantonato in nome della comune opposizione alla destra. Avere sempre presente che si tratta di due facce della stessa medaglia è indispensabile per evitare opportunismi ed atteggiamenti confusionari.

c)      Analizzare i caratteri della fase che si apre e che richiede inventiva, capacità di aggregazione e di iniziativa politica ad un livello ben diverso dal passato, imponendo un vero e proprio salto di qualità.

Ci sono le condizioni per questo salto di qualità? E’ quanto cercheremo di verificare con i nostri compagni, con quelli del Coordinamento Comunista, con le realtà che compongono il Coordinamento Su la Testa, con le organizzazioni sindacali antagoniste e di base.

Una fase nuova si apre, una fase in cui il conflitto di classe potrà forse riemergere, una fase in cui i comunisti dovranno riorganizzarsi.

Da parte nostra ci saremo.