Che Guevara e i movimenti rivoluzionari
attuali
(Professore al
dipartimento di sociologia dell’Università pubblica di New York e collaboratore
di Le Monde Diplomatique)
Per
discutere l'importanza attuale del pensiero e della pratica di Che Guevara,
bisogna distinguere tra la sua politica rivoluzionaria, da un lato, e la sua
applicazione tattica particolare come "lotta armata" o, più
esattamente, come guerra di guerriglia rurale dall'altro.
Tale
distinzione è importante perché il Che è stato, prima di tutto, un soggetto e
un teorico rivoluzionario, anche quando non partecipava al combattimento
armato. Essa inoltre serve ad analizzare i diversi livelli del pensiero e della
pratica del Che e presenta vari aspetti. Primo: la sua analisi generale della
struttura di classe, del ruolo dell'imperialismo, delle alleanze politiche,
delle esperienze storiche, della correlazione di forze a livello nazionale,
regionale e internazionale. Secondo: il pensiero e la pratica rivoluzionaria
del Che abbinavano un'analisi critica dell'imperialismo e del capitalismo a un
impegno attivo e a riflessioni sulla costruzione del socialismo. Terzo: il
pensiero e la pratica rivoluzionaria del Che concepivano il socialismo come
parte di un ordine mondiale nuovo, in cui i paesi imperialisti agivano su scala
mondiale per distruggere ogni rivoluzione, il che, a sua volta, costringeva i
rivoluzionari a cercare appoggio e a estendere la rivoluzione a livello
internazionale.
Tra la posizione tattica del Che sulla guerra di guerriglia e la sua analisi
generale del capitalismo, dell'imperialismo e del socialismo vi sono i suoi
punti di vista sull'etica e la pratica politica, sul rapporto tra
organizzazioni rivoluzionarie e popoli oppressi, sulle correlazioni tra
rivoluzione e imperialismo e sul rapporto tra valori personali e azione
rivoluzionaria.
Mi
sembra che l'importanza del Che per l'attuale politica rivoluzionaria vada
individuata più nella sua analisi generale della politica e nelle sue
riflessioni intermedie sull'azione politica e le strutture economiche che nelle
sue concezioni tattiche applicate a specifiche circostanze congiunturali.
Mescolare questi tre livelli della pratica rivoluzionaria del Che, o ridurre le
sue analisi a discorsi tattici sulla lotta guerrigliera o armata, significa
misconoscere o sminuire la sua importanza attuale.
Dall'analisi generale e dalle riflessioni intermedie del Che possiamo ricavare
un complesso di strategie e tattiche politiche e sociali e un complesso di modi
organizzativi dell'azione che possono includere o meno la "lotta
armata" e la guerra di guerriglia. Siccome quest'ultima è una questione
tattica derivata da determinazioni contestuali specifiche e da circostanze
congiunturali, la sua utilità e la sua importanza sono storicamente limitate.
Pertanto, la direzione più fruttuosa è mettere a fuoco la conoscenza e la
concezione rivoluzionaria del Che del capitalismo e in particolare
dell'imperialismo, e le sue riflessioni intermedie sul rapporto tra
soggettività e condizioni oggettive.
Per il Che l'espansione del capitalismo su scala mondiale e la sua
penetrazione, sempre più profonda, di mercati, produzione, distribuzione,
banche e servizi, erano essenzialmente un fenomeno sociale e politico. I
movimenti economici del capitalismo erano sostenuti dall'azione
politico-militare, come premessa che creava gli "appropriati"
rapporti sociali stabili di sfruttamento tra capitale e lavoro. All'interno di
questo contesto sociale e politico, indotto dall'Impero, si verificavano i
movimenti di capitale, si espandevano le multinazionali, investitori stranieri
acquistavano le imprese pubbliche privatizzate, venivano varati i programmi di
austerità del Fondo monetario internazionale (Fmi).
La
descrizione del Che dell'espansione del capitalismo in primo luogo come
rapporto di potere politico, si trova in forte contrasto con i teorici
contemporanei che chiacchierano di "globalizzazione". Costoro
descrivono l'espansione del capitalismo come un processo universale,
impersonale, irreversibile in quanto prodotto di strutture economiche.
La
lettura fatta dal Che dell'espansione capitalistica come rapporto sociale e
politico contrasta con i teorici globalisti contemporanei che parlano in termini
di processi oggettivi. Queste diverse concezioni hanno ramificazioni politiche
enormi. Individuando il potere politico come molla dell'espansione del capitale
mondiale, il Che utilizza il concetto analitico incisivo di imperialismo. Al
contrario, i teorici globalisti non dispongono di assi centrali ove collocare
la loro categoria amorfa, in gran parte descrittiva, della
"globalizzazione".
In
secondo luogo, il Che definisce l'imperialismo come rapporto sociale e politico
tra le classi e lo Stato; e in tal modo rende la trasformazione soggettiva. I
globalisti descrivono la globalizzazione come una struttura oggettiva che si
propaga attraverso la sua logica interna e che, in ultima istanza, elimina
qualsiasi azione politica o sociale di trasformazione.
In
terzo luogo, il Che concettualizza l'imperialismo come un fenomeno storico
contraddittorio, la cui espansione produce conflitti nazionali/di classe che
portano al suo declino. I globalisti invece hanno una concezione lineare
dell'espansione capitalista, che nel suo consolidamento produce un nuovo ordine
mondiale. Nella sua forma estrema (e reazionaria) i globalisti concepiscono il
divenire del capitalismo come un "sistema capitalistico mondiale"
autoperpetuantesi, in cui gli unici cambiamenti avvengono in diversi luoghi
all'interno del sistema.
Per
il Che, una volta definita la posizione dei rapporti socioeconomici di
sfruttamento, la soggettività è ciò che determina l'ordine sociale e il sistema
economico. Nel pensiero globalista, le strutture economiche continuano a
dominare la soggettività, lasciando solo piccoli spazi all'azione sociale. Per
il Che le grandi questioni, il potere dello Stato, la dominazione imperialista
e i rapporti di classe, permangono al centro del dibattito politico. Mentre per
i globalisti contemporanei le grandi questioni sono state risolte. E l'unica
politica possibile secondo loro è negoziare i termini della capitolazione di
fronte all'imperialismo; essi si concentrano su dibattiti culturali riguardanti
le identità formali e lo spazio sociale occupato dai vari gruppi di identità
che funzionano negli interstizi del "sistema". In una parola, mentre
il Che sfida l'imperialismo mondiale a partire dal microlivello dei villaggi
dell'Africa e della Bolivia, la prospettiva globalista è connessa al micromondo
dei postmodernisti attraverso gli interstizi di un iperdeterminato sistema
capitalistico mondiale.
La
prospettiva politica del Che evoca un'immagine prometeica di esseri umani che
lottano per cambiare il mondo. I globalisti contemporanei si richiamano al
pessimismo di Schopenhauer riguardo le prospettive di trasformazione del
capitalismo, oppure a una euforia manicheista postmoderna che enumera la
proliferazione di identità diverse, tutte saldamente legate al firmamento
capitalista. Il conflitto politico e teorico fondamentale oggi si da proprio
tra la prospettiva prometeica del Che e il pessimismo schopenhauriano e/o la
sua euforica controparte panglossiana, che pensa che noi "viviamo già nel
migliore dei mondi possibili".
L'avvicinamento
all'azione politica rivoluzionaria richiede oggi la scelta della prospettiva
guevariana. Il punto di partenza dell'analisi teorica e dell'azione pratica è
l'analisi dei rapporti di classe e politici che puntellano l'espansione del
capitalismo. Il processo di trasformazione della struttura del capitalismo o
dell'imperialismo mondiale inizia dai rapporti sociali che la sorreggono a ogni
livello; a partire dalle unità più basilari (la posizione del lavoro
dell'economia locale) e passando per i settori produttivi e lo Stato nazionale
per arrivare alle istituzioni finanziarie internazionali e agli Stati
imperialisti.
Il Che: soggettività,
"condizioni oggettive" e rivoluzione
Continuando su questa linea teorica e pratica, passiamo quindi al secondo
contributo più importante del Che alla politica rivoluzionaria contemporanea:
la centralità dell'azione umana: coscienza, organizzazione disciplinata e
chiarezza ideologica.
Ai
tempi del Che, il nemico principale erano gli ideologi e gli epigoni dei
partiti socialdemocratici e pro-sovietici che consigliavano la passività di
fronte allo "sviluppo delle forze produttive". Essi sostenevano che i
"partiti rivoluzionari" dovevano promuovere la "maturazione del
capitalismo", rinviando in tal modo l'azione rivoluzionaria a una
"tappa successiva", dato che la classe lavoratrice doveva ancora
"essere formata". A queste prospettive reazionarie o, nel migliore
dei casi, "riformiste", il Che ha mosso varie obiezioni, proponendo
un'altra prospettiva.
In
primo luogo ha sostenuto che il capitalismo poteva "avanzare" solo
sfruttando un numero maggiore di lavoratori e mettendo in pericolo le loro
stesse condizioni di esistenza. Il Che sosteneva che il capitalismo, anziché
"sviluppare le forze produttive", approfondiva le disuguaglianze e
minava la capacità delle classi e delle nazioni di agire da sé stesse. In
secondo luogo, il Che non vedeva alcuna ragione a priori per la quale operai e
contadini dovevano aspettare o rinviare le loro azioni rivoluzionarie sociali a
una "tappa successiva", in quanto esistevano già le stesse condizioni
di sfruttamento e di miseria e le esperienze collettive che facevano possibile
una rivoluzione. Il problema per il Che non era di tipo quantitativo, ossia
quante macchine o quanti operai ci fossero già, bensì qualitativo.
L'imperialismo polarizzava le classi all'interno delle unità basilari di
produzione? I rapporti classisti di sfruttamento caratterizzavano la formazione
sociale? Se così era, allora la rivoluzione non solo era possibile, ma
necessaria. Oggi è presente la stessa dualità di prospettiva esistente ai tempi
del Che e il cambiamento ha riguardato solo i nomi e il linguaggio.
Gli
attuali ideologi di centro-sinistra sostengono che in questa tappa del
capitalismo globale l'opzione è tra due tipi molto diversi di capitalismo:
neoliberismo (tipo retrogrado) o capitalismo assistenziale (tipo progressista).
Congiuntamente al loro inserimento nel capitalismo, affermano che i compiti
attuali della sinistra sono "modernizzare" l'economia, "riformare"
lo Stato e "decentralizzare" il governo. Dietro queste affermazioni
generali c'è il concetto dell'impossibilità della rivoluzione sociale (a causa
della globalizzazione, mantra evocato in mancanza di capacità intellettuale) o
che rimane in sospeso per un lontano futuro. Nel frattempo, i revisionisti
contemporanei sostengono che il dovere è collaborare
("concertazione") con la borghesia "moderna" e con
l'imperialismo, per costruire un'economia competitiva, in grado di partecipare
all'economia globale e promuovere il benessere del "popolo".
Come ai tempi del Che, coloro che condividono oggi il suo pensiero rifiutano
questa tesi e ne propongono un'altra basata sulle contraddizioni che emergono
dal capitalismo realmente esistente.
In primo luogo fanno notare che la borghesia più dinamica e avanzata (ossia chi
più attivamente investe, esporta e produce) è proprio quella che sfrutta
maggiormente in termini di rapporto capitale/lavoro.
In secondo luogo, lo "sviluppo delle forze produttive", come avviene
oggi in condizioni di totale subordinazione dello stato, sta disintegrando e
decentrando masse di operai e contadini (con la tecnologia, la speculazione,
l'acquisto di industrie locali, le importazioni convenienti, ecc.), anziché
allargare e creare una nuova classe lavoratrice unita.
In
terzo luogo, la "riforma dello stato" favorita dai revisionisti
significa in pratica la massiccia espulsione di impiegati pubblici dai servizi
sociali e la crescente influenza di piccoli gruppi di tecnocrati specializzati
all'estero (e di organizzazioni non governative, Ong) che sono al soldo o
alleati dell'imperialismo, e collaborano con la classe dominante e il suo
stato.
In
quarto luogo, la "decentralizzazione" trasferisce la responsabilità
dei servizi sociali ai governi locali privi di adeguate risorse economiche,
mentre le entrate dell'erario si concentrano su un esecutivo centralizzato che
finanzia i gruppi di potere economici.
A
partire dalla sua critica ai revisionisti contemporanei, gli odierni seguaci
del Che postulano un diverso insieme di premesse per l'azione politica.
Per
cominciare, affermano che l'attuale politica elettorale non è il campo in cui
realizzare il cambiamento sociale; efficace è unicamente l'azione diretta che
implica la mobilitazione di massa. Per sostenere questa affermazione fanno
riferimento a quindici anni di pratica politica.
In secondo luogo, affermano che la povertà si sta approfondendo e che la
crescente disuguaglianza tra lavoratori e contadini sfruttati e dislocati
abbisogna della solidarietà di classe e non di patti sociali
("concertazione") con gli sfruttatori. Anche ciò si basa sulle
recenti esperienze storiche e su osservazioni empiriche.
In
terzo luogo, mettono in evidenza il conflitto di classe all'interno della
società civile (tra proprietari terrieri e lavoratori rurali, tra esecutivi
corporativi e lavoratori salariati, ecc.) e la centralità dello stato nel
partecipare al progetto neoliberista. Rifiutano l'idea di una "società
civile" virtuosa e omogenea e di uno Stato populista cattivo.
In
quarto luogo, gli odierni rivoluzionari sostengono che l'azione politica deve
essere strutturata, organizzata e orientata da una educazione politica. Si
oppongono tanto alla spontaneità quanto ai patti elettorali verticistici ed
elitari.
La
lotta attuale tra revisionisti e rivoluzionari riflette i contrasti tra il Che
e i suoi antagonisti. Chi sono allo stato attuale i "seguaci" della
pratica rivoluzionaria del Che? Come ho già detto, la questione non si risolve
in modo decisivo contando il numero di armi (equazione militare), ma cercando
di capire le politiche e le pratiche che guidano le nuove organizzazioni
sociali rivoluzionarie.
Possiamo cominciare con il Movimento dei lavoratori rurali Senza Terra (Mst) in
Brasile, la Federazione nazionale contadina in Paraguay, l'Esercito zapatista
di liberazione nazionale (Ezln) in Messico, le Forze armate rivoluzionarie
colombiane (Farc), il Sindacato contadino e settori dei sindacati minerari in
Bolivia, la Federazione indigena e contadina in Ecuador, il Cuc in Guatemala,
l'Adc in Salvador, la Forza rivoluzionaria nella Repubblica Dominicana.
Ciò
che distingue questi gruppi rivoluzionari dai revisionisti non è la questione
delle armi, bensì il contenuto e lo stile politici. Ciò che unisce questi
gruppi a Guevara è la prospettiva politica comune, l'analisi politica comune e
il punto di partenza comune per l'azione politica: i rapporti sociali di
produzione; se, come ritengono, la soggettività è il motore centrale della
storia, allora la soggettività ha bisogno di venire espressa in forme
disciplinate e organizzate, e il punto centrale della politica è la liberazione
dei contadini e dei lavoratori attraverso la loro stessa azione diretta, non
già ad opera di élites elettorali separate dalla lotta quotidiana. Ciò non vuol
dire che queste forze rivoluzionarie non partecipino alla politica elettorale o
che non cerchino appoggio nei partiti elettorali vicini alle loro posizioni
politiche. Ma vuol dire che la politica elettorale e le alleanze multiclassiste
sono subordinate alle politiche di azione diretta e alla loro agenda
programmatica.
Si
potrebbe obiettare che questa analisi "diluisce"
l'"essenza" rivoluzionaria del pensiero del Che in quanto fa
riferimento a gruppi differenti aventi strategie diverse, impegnati in
formazioni non militari.
Nei confronti di tale critica va sottolineato che la premessa fondamentale del
nostro lavoro è che il pensiero e la pratica del Che sono poliedrici, complessi
e, in taluni casi, anche determinati contestualmente. Il Che era fortemente
cosciente della variazione storica e delle realtà oggettive, ma nello stesso
tempo ha commesso, in casi particolari, errori tattici. Anziché diluire il
pensiero e la pratica del Che, questa interpretazione espande e incorpora il
suo pensiero politico in un ambito più allargato, rifiuta il punto di vista
riduzionista militarista a favore di una comprensione teorica più ampia che
spiega la ragione per cui la maggioranza dei movimenti politico-sociali sopra
elencati vedono se stessi come eredi della teoria e della pratica del Che.
Internazionalismo: il Che e
i movimenti attuali
Mentre il Che iniziò a partire dalla prospettiva internazionalista della
Rivoluzione cubana, quindi si spostò verso un'area specifica di azione,
nazionale se non locale, gli attuali movimenti rivoluzionari partono da una
base solida a livello regionale o locale e si muovono verso una prospettiva
nazionale o internazionale. Mentre il pensiero internazionale del Che ha
determinato la sua pratica locale, gli odierni movimenti politico-sociali
agiscono localmente e pensano internazionalmente. Il risultato è che da un lato
il Che possedeva una lucida comprensione della natura delle politiche
imperialiste e una profonda perspicacia degli effetti moltiplicatori delle
rivoluzioni e della vulnerabilità strutturale dei suoi avversari, mentre
dall'altro era tatticamente debole e meno lucido riguardo i luoghi specifici
dove cominciare l'azione.
Al
contrario, i movimenti rivoluzionari attuali posseggono una grande capacità di
comprensione delle condizioni locali, ivi compresa una conoscenza profonda
delle strutture del potere nazionale e regionale, delle rivendicazioni
particolari e delle capacità organizzative delle classi sfruttate. Ma si
trovano ancora nella tappa iniziale di formulazione di una strategia internazionalista.
Una sintesi delle forze pratiche e teoriche dell'analisi internazionale di Che
Guevara e delle pratiche locali dei movimenti rivoluzionari attuali potrebbe
fornire capacità organizzative, tattiche e strategiche volte a creare le
condizioni per una trasformazione socialista del capitalismo.
L'etica
e la politica costituiscono un altro settore in cui l'analisi di Che Guevara è
importante e determinante per l'attuale politica rivoluzionaria. Essa presenta
vari aspetti: in primo luogo, il modo di combattere la distanza (gerarchia) tra
base e dirigenti. In secondo luogo, l'idea di combattere la struttura
burocratica e i privilegi dei dirigenti nei confronti della base. In terzo
luogo, la pratica di impegnarsi nel lavoro e nella vita quotidiana della gente
esercitando la loro autorità in posizione di supremazia. In quarto luogo,
impegnarsi in mezzi compatibili con i fini. In quinto luogo, insegnare dando
l'esempio, non già attraverso mandati o imposizioni.
Le
pratiche etiche non sono concetti idealistici separati dall'esistenza
materiale. Il materialismo storico contiene sia le norme di azione che la
stessa pratica. Un punto di vista materialista storico che tenga conto
dell'importanza politica e dell'influenza che Che Guevara continua ad avere
sulle attuali politiche rivoluzionarie richiede l'esame del suo concetto di
"etica" della politica.
La
vita privata del Che è stata austera: la sua influenza politica non consistette
nell'accumulo di ricchezza e privilegi. Non c'è stata nessuna "pignatta"
sandinista nella sua vita rivoluzionaria. La rivoluzione consisteva negli
avanzamenti sociali di classe nel loro insieme, non nella crescita individuale.
Quanto era minore la distanza materiale tra dirigenti e base, tanto più
possibile era che entrambi condividessero gli stessi problemi e che i dirigenti
rispondessero agli stessi bisogni e problemi della maggior parte della
popolazione. Quanto minore era la distanza materiale e tanto maggiore era la
possibilità di prospettive condivise, tanto minori erano allora gli ostacoli
per la comunicazione e il rapporto diretti, e minore era anche la probabilità
che il movimento potesse attrarre a sé opportunisti interessati a usare la
politica come trampolino di lancio per una carriera redditizia.
Oggi la pratica del Che di condividere le condizioni materiali è seguita da
tutti i nuovi movimenti rivoluzionari più importanti. I dirigenti del Mst in
Brasile, dei cocaleros in Bolivia, della Federazione contadina in Paraguay
vivono in abitazioni, mangiano e si vestono in modo molto simile a quelli della
maggioranza di coloro che li appoggiano. Le gratificazioni della dirigenza non
consistono in ricompense materiali o in privilegi, bensì nel creare e
migliorare le possibilità della loro stessa vita in modo uguale a quello dei
militanti del movimento. Una buona dirigenza viene ricompensata con il rispetto
e con il riconoscimento dell'autorevolezza delle basi.
Il
Che ha lottato costantemente contro strutture e metodi "burocratici",
combattendo per un'organizzazione efficiente ed effettiva, portando i quadri a
lavorare fisicamente e praticamente, abituando ed educando la gente comune ad
adempiere ai loro doveri. La lotta antiburocratica non era spontanea. Esigeva
disciplina e strutture che permettevano sforzi supplementari e iniziative
individuali.
Gli attuali movimenti rivoluzionari più interessanti sono fortemente
organizzati; ciò nonostante, consentono iniziative locali e regionali per il
raggiungimento di obiettivi e interessi comuni. Il Mst, ad esempio, è un movimento
organizzato, disciplinato, con una dirigenza nazionale il cui scopo è la
realizzazione di una riforma agraria profonda. Mentre la dirigenza nazionale si
incarica della direzione generale, le organizzazioni regionali stabiliscono le
occupazioni di terre, la resistenza e la produzione. E le cooperative locali
decidono la loro organizzazione interna e la loro politica.
Il
Che era un partigiano convinto del lavoro produttivo; dell'unione di lavoro
intellettuale e manuale quale elemento chiave per capire le preoccupazioni e i
problemi quotidiani della gente. Concepiva il lavoro volontario come un
elemento importante nello smantellamento di prospettive di casta tra
professionisti e intellettuali, per mostrare come veniva generato il plusvalore
che consentiva l'attività culturale. Più in particolare, il Che concepiva
questa pratica come il mezzo per creare legami tra lavoratori mentali e
manuali, per evitare il sorgere di una Nuova Classe basata sulla superiorità
degli intellettuali.
Oggi i nuovi movimenti rivoluzionari sono impegnati in una lotta simile;
reclutano intellettuali che possano servire il movimento senza trasformarsi in
avanguardie autoproclamate. Uno degli aspetti maggiormente conflittuali a
questo proposito è la lotta tra professionisti delle Ong e dirigenti popolari
dei movimenti sociali rivoluzionari. In molti casi, i professionisti delle Ong
frammentano i movimenti, li mettono sotto la loro tutela o li sollecitano a
progetti apolitici, indebolendo in tal modo il loro programma politico rivoluzionario.
I movimenti rivoluzionari insistono nello stabilire il programma di lavoro, nel
definire le loro necessità e nell'invitare gli intellettuali a sviluppare la
lotta nei termini decisi dai dirigenti popolari. Alcuni intellettuali
accettano, molti si ritirano.
Moralità
personale e politica sono connesse nella pratica del Che. Nella Sierra Maestra
aveva proibito ai suoi compagni di utilizzare la tortura per ottenere
informazioni da una spia che lavorava per la polizia segreta. Diceva che l'uso
della tortura avrebbe sconfitto lo scopo della rivoluzione che consisteva
nell'abolire il comportamento inumano. E diceva anche che la pratica della
tortura avrebbe corrotto i rivoluzionari che la praticavano. Allo stesso modo
il Che liberava spesso soldati semplici fatti prigionieri durante la guerra
rivoluzionaria, riconoscendo che anche loro erano vittime del sistema. Soltanto
i torturatori e gli ufficiali che avevano commesso crimini di sangue subivano
esecuzioni sommarie.
La convinzione del Che era che le organizzazioni rivoluzionarie dovevano
impegnarsi in attività e creare rapporti che avrebbero prefigurato la società
nuova. La sua concezione dell'"Uomo nuovo" era basata sull'idea che
quello che si fa oggi, e come si fa, configurano ciò che sorgerà in futuro. Non
era d'accordo con i sovietici che stabilire incentivi o stimoli economici per
incentivare la gente avrebbe creato una società comunista. Al contrario, vide
giustamente che dietro la facciata della proprietà dello stato i sovietici
stavano creando una mentalità capitalista. In tal modo il Che anticipò con
lucida previsione il collasso del comunismo sovietico e il sorgere repentino
dell'ideologia capitalista. Come dicevano lui e Fidel Castro, "non si può
costruire il comunismo facendo balenare negli occhi della gente il
dollaro". Questo non vuol dire che il miglioramento delle condizioni
materiali non fosse essenziale nella visione del Che.
Ma
ciò che sosteneva era che il modo per raggiungere gli obiettivi (lotta
collettiva per miglioramenti collettivi fondati su uno sforzo uguale) era tanto
importante quanto il risultato: i miglioramenti materiali.
Molti movimenti rivoluzionari contemporanei in America Latina esprimono oggi le
stesse idee. I movimenti lottano abbinando ai mezzi etici il conseguimento di
fini giusti. Non costringono i loro membri a darsi un modo unico di
organizzazione sociale dopo l'espropriazione della terra. Educano e lasciano
quindi alle famiglie la scelta. Consultano i loro membri in assemblee
organizzate e non c'è nessun capo illuminato che decida in nome della gente.
Naturalmente questa regola non è sempre seguita. In qualsiasi movimento di
massa ci sono individui che, a volte, si comportano in modo egoista cercando di
ottenere dei privilegi a spese di altri. Ci sono dirigenti che non accettano la
critica. Ma queste sono deviazioni ben riconoscibili, non già la regola che
guida la condotta, come invece succede con i codici capitalista o stalinista.
Insegnare
attraverso l'esempio era il principio-guida del Che. Nel suo ruolo attivo nella
lotta guerrigliera ha sofferto le stesse privazioni e subito le stesse
difficoltà, ha affrontato gli stessi rischi e non ha mai chiesto favori
speciali, malgrado il suo serio impedimento fisico (l'asma). Di fatto si è
impegnato allo stremo, lavorando più a lungo e dormendo meno, ed era molto
critico dei suoi errori e dei suoi sbagli. Il suo stile pedagogico consisteva
nel fondare l'apprendimento sull'osservazione di ciò che si faceva e non
soltanto di ciò che si diceva. Troppo spesso le masse perdevano fiducia nelle
idee a causa d'un doppio discorso, ovvero della discrepanza tra ciò che un
dirigente diceva o prometteva e il modo reale in cui viveva e praticava la
politica. Il Che credeva che la fiducia fosse essenziale nell'educazione di un
movimento popolare e nella costruzione di un'organizzazione basata su una
condotta legata ai principi. Per ciò riteneva che i dirigenti dovessero
insegnare dando l'esempio.
I dirigenti rivoluzionari di oggi applicano gli insegnamenti del Che: durante
le riunioni mangiano gli stessi cibi, dormono sullo stesso letto o amaca,
viaggiano nello stesso tipo di autobus, si impegnano nello stesso tipo di
pratica o di lavoro. Quando parlano a favore dell'occupazione di terre sono in
prima linea, non nel quartier generale della capitale emettendo bollettini
stampa e rilasciando interviste alla televisione.
Il successo dei nuovi movimenti rivoluzionari è in parte il risultato della
pratica dell'etica e della politica articolate dal Che. L'ammirazione popolare
e l'emulazione è basata sull'identica convinzione che le basi materiali della
nuova società si costruiscono a partire dai valori dell'egualitarismo, della
responsabilità personale e del rispetto reciproco.
Probabilmente il campo in cui il contributo del Che è oggi di minor importanza
è quello della tattica militare. La sua vittoria guerrigliera a Cuba era dovuta
in larga parte alla pre-esistente organizzazione di massa nelle città, alla
politicizzazione storica dei contadini di certe regioni e al genio strategico
di Fidel Castro. L'esperienza del Che in Congo e in Bolivia si può definire in
buona parte come sforzi infruttuosi per avviare una lotta per il potere.
Ciò
non significa che la lotta armata non sia stata una strategia vincente (Vietnam,
Nicaragua, Cuba, Cina, Mozambico, ecc.), e nemmeno che non esistano oggi
importanti movimenti popolari armati (Farc in Colombia, Ezln in Messico, la
Afld di Kabila nello Zaire ecc.). Piuttosto, su questo terreno bisogna fare
attenzione a distinguere ciò che è importante negli scritti e nella pratica del
Che e ciò che è storicamente aneddotico.
In
primo luogo il Che ha descritto dettagliatamente le condizioni in cui la lotta
armata è necessaria: la dittatura (la Cuba di Batista, la Bolivia di
Barrientos), le invasioni imperialiste (Vietnam, Guatemala), dittatori
coloniali/neocoloniali (Congo, Zaire). Qualcuna di queste condizioni è presente
oggi in alcuni paesi dell'America Latina (Perù, Colombia, Messico). In America
Latina, ad esempio, la Colombia, malgrado la sua facciata elettorale, è uno
stato terrorista, in cui gli squadroni della morte e i militari governano vaste
regioni del paese. Il Partito rivoluzionario istituzionale (Pri) del Messico è
una dittatura di partito-Stato che assassina rivali e ruba le elezioni. Il Perù
è governato da una dittatura civico-militare. In secondo luogo, il Che
riconosceva i limiti della democrazia capitalistica e negò che la borghesia
potesse accettare soluzioni elettorali che fossero contro i suoi interessi
fondamentali di proprietà; o, nel caso dell'imperialismo, l'accettazione di
democrazie che fossero contro i suoi investimenti, la riscossione del debito e
le opportunità del mercato. A questo livello la posizione del Che anticipò
l'abbattimento statunitense-militare del governo di Allende democraticamente
eletto.
Queste osservazioni del Che hanno fornito il supporto della sua prospettiva
della lotta armata, e oggi continuano a essere aperte al dibattito e alla
discussione.
Ciò
che è di minore importanza è la sua concezione del rapporto tra lotta armata e
movimenti popolari di massa. Anche a Cuba il Che fraintese e sottostimò
l'importanza cruciale della lotta urbana e delle sue reti di appoggio, un punto
di cui infine si rese conto durante il suo sforzo fallito in Bolivia, quando
queste ultime non funzionarono.
La
selezione delle aree di lotta fatta dal Che, e la sua analisi dei rapporti
specifici di forza nei luoghi di azione, in Congo, in Bolivia, in Argentina e
in Perù, si rivelarono piuttosto imprecise. La sua dipendenza da fonti di
informazione di seconda mano e le sue valutazioni complessive riflettevano una
metodologia inadeguata. La sua idea della soggettività della popolazione locale
e della distribuzione fisica dei gruppi guerriglieri non fu giusta. In poche
parole, cercò di formalizzare un metodo di guerra di guerriglia (basato sui
presupposti erronei di Cuba) e lo estrapolò applicandolo a un altro insieme di
paesi. Il metodo era sbagliato e le conseguenza furono fatali.
In
questo senso, i movimenti rivoluzionari attuali hanno un enorme vantaggio
tattico e una grande esperienza per completare e trascendere l'insegnamento
rivoluzionario del Che. Detto in altri termini, può e deve esservi un dialogo
critico e creativo tra il pensiero vivo del Che Guevara, la sua acuta analisi
complessiva, le sue riflessioni critiche sulla teoria e la pratica e i nuovi
movimenti rivoluzionari dell'America Latina, le loro pratiche avvedute e le
loro prospettive strategiche creative.
(Traduzione di Roberto Bugliani)