Leonardo Mazzei
La campagna
elettorale non è ancora ufficialmente iniziata, ma da tempo se ne scorgono le
caratteristiche fondamentali: scomparsa di ogni programma, proposta, idea;
battibecco quotidiano su questioni di immagine, spazi televisivi, questioni
personali ecc.
Insomma, almeno da questo punto di vista,
l’americanizzazione della politica italiana è cosa fatta. La vicenda dei
megamanifesti murali con i volti di Berlusconi e Rutelli, nella quale i due
candidati premier si rincorrono vicendevolmente (anche se è quasi sempre l’ex
sindaco di Roma a correre dietro al presidente del Milan), chiariscono ogni
eventuale dubbio residuo.
Gli stessi argomenti, le stesse frasi, le stesse
assicurazioni sono stampate a caratteri cubitali sui muri delle città italiane.
“Un presidente amico per aiutare chi è rimasto indietro”, anche questo ci è
toccato di leggere! Evidentemente, per l’uomo più ricco d’Italia, la crescita
della povertà determinata dal concreto sviluppo capitalistico dell’ultimo
decennio è un problema da corsi di recupero. Ma purtroppo quella frase non
stona affatto nell’odierno panorama italiano, dove è “normale” che agli
sfruttati venga promesso al massimo un qualche paterno intervento, ovviamente
più frequente se siamo in campagna elettorale.
Il binomio bipolarismo/americanizzazione si è dunque
affermato nella società italiana, al di là delle relative incongruenze che
ancora permangono nella configurazione istituzionale e politica.
Sul processo di americanizzazione, di indistinguibilità dei
programmi, di personalizzazione della politica, di separazione profonda tra
quest’ultima e la società si è detto e scritto fin troppo. Si tratta di un dato
di fatto che chiunque può constatare. Chi non lo vuole vedere può consolarsi
con il classico schema destra/sinistra, può scegliersi per nemico il
capitalista Berlusconi per tenersi ben stretto il capitalismo degli Agnelli,
della Borsa, delle banche e dell’Europa.
Quello che viene normalmente offuscato è proprio il
bipolarismo, le sue caratteristiche, le sue conseguenze, la sua affermazione.
Il bipolarismo è la
forma di organizzazione del mercato della politica che il capitalismo italiano
si è dato per prevenire ed ingabbiare ogni istanza di cambiamento, per
affermarsi come potenza economica a livello internazionale, per accreditarsi
come partner credibile all’interno del polo imperialistico europeo.
Le conseguenze del bipolarismo, tanto voluto dalla sinistra
italiana, sono facilmente osservabili. In fondo anche Berlusconi è figlio del
bipolarismo e tanto basta.
Qualche politologo sostiene che il bipolarismo italiano non
funziona e qualche politico, ad esempio Bertinotti, si avvale di questa analisi
per auspicare nuove leggi elettorali più proporzionali.
Si tratta di ragionamenti con qualche fondamento – ad
esempio le contraddizioni assai marcate all’interno dei due Poli – ma che non
fanno i conti con quanto, in profondità, è maturato nella società italiana
nell’ultimo decennio ed in maniera ancora più significativa nell’ultimo
quinquennio.
L’affermazione del
bipolarismo non è avvenuta tanto sul piano dell’organizzazione istituzionale e
politica (effettivamente ancora imperfetta), quanto a livello della società nel
suo complesso, dove anche i soggetti potenzialmente antagonisti hanno ormai largamente
introiettato il dogma dell’ineluttabilità del dominio di classe, che è poi la
vera base sulla quale il bipolarismo si è costruito.
In sintesi: l’affermazione del bipolarismo è avvenuta più
nelle teste delle persone che nelle aule parlamentari, ma questo non rallegra
affatto. In queste ultime possono nascere e svilupparsi fenomeni apparentemente
contraddittori, come ad esempio le liste di D’Antoni e Di Pietro, purché
riconducibili all’interno del nuovo “arco costituzionale” della seconda
repubblica.
Al di fuori di questo arco niente è permesso. La prova ci è
fornita proprio dal partito di Bertinotti che più si agita e più è prigioniero,
più parla e più si smentisce. La “non belligeranza” alla camera è già accordo
di governo in alcune importanti città e si estenderà quasi sicuramente (in
forme ad oggi non ancora del tutto chiare) al senato.
Al momento il tormentone su quest’ultimo punto non è ancora
giunto all’epilogo, ma cento smentite fanno un’affermazione e l’accordo sembra
ormai in dirittura d’arrivo.
Quello che il bipolarismo può concedere a D’Antoni e Di
Pietro non è infatti permesso a Bertinotti: se i primi due sono comunque dentro
il sistema per storia e collocazione politica, Bertinotti per non rimanerne
completamente fuori deve stare dentro del tutto.
E’ qui il nodo insolubile della politica bertinottiana, un
nodo che nessun equilibrismo potrà risolvere, un nodo che arriverà comunque al
pettine, un nodo che ha già sterilizzato il Prc nel ruolo di ruota di scorta
del centrosinistra.
Il fatto è che il
bipolarismo più che una cornice istituzionale è l’essenza stessa del regime
autoritario della seconda repubblica fondata sul profitto. E contro i regimi si
fa l’opposizione, o perlomeno dovrebbero farla i comunisti. Ogni accomodamento
con il regime non è un compromesso, è una resa.
Il problema è allora quello dell’opposizione, di come
rompere questa gabbia. E’ questa la questione alla quale i comunisti dovrebbero
applicarsi con passione.
Possiamo analizzare in lungo e in largo gli scenari del dopo
voto, ed anche questo andrà fatto, ma quello che non va perso di vista è il
carattere effettivo dell’attuale partita elettorale.
Lo scontro non è tra centrodestra e centrosinistra (le due
categorie di destra e sinistra sono talmente svuotate di significato da abbisognare
entrambe dell’ancoraggio al “centro” – ovvero alla conservazione – per
definirsi!); lo scontro non è tra progresso e reazione e neppure tra riforme e
conservazione. Lo scontro è tra due gruppi che si contendono il potere per fare
– magari in due modi diversi – la stessa politica.
Naturalmente non mancano le differenze: se vincerà
Berlusconi saranno più contenti in Vaticano, a Vienna, Arcore, Madrid e (forse)
Washington; se vincerà Rutelli saranno più felici a Berlino, Parigi, Torino,
nella city londinese (il Financial Times ha parlato chiaro), a Strasburgo e a
Bruxelles.
E i comunisti? E i lavoratori? Dovrebbero forse essere
felici di una di queste due felicità? Non scherziamo.
Che centrodestra e centrosinistra siano due facce della
stessa medaglia è chiaramente percepito da milioni di persone ed in particolare
da tantissimi lavoratori. Da questa percezione nasce l’astensionismo, la scelta
del rifiuto del voto.
E’ una scelta rispettabile, è una scelta che in mancanza di
un’alternativa abbiamo praticato nel ’99 e nel 2000, è una scelta che praticheremmo di nuovo in assenza
di altre possibilità.
Non è però la scelta migliore, ma piuttosto il segno di un
grande limite. Anche l’astensionismo di massa è infatti una componente di un
paesaggio noto, quello di un “Paese normale” (cioè pienamente normalizzato)
tanto caro a D’Alema.
Per i comunisti l’astensionismo può essere oggi una
necessità, non una scelta. E’ per questo che stiamo lavorando alla raccolta
delle firme per presentarci, almeno in Toscana, in un certo numero di collegi
uninominali e nella quota proporzionale della camera. Per belligerare, nei
limiti delle nostre forze, contro le rappresentanze politiche (di centrodestra
e di centrosinistra) delle oligarchie finanziarie dominanti.
Per ricordare che più che un “pericolo di destra”, c’è la
certezza di una politica di destra, come quella realizzata dai governi
dell’Ulivo in cinque anni. A chi ama ancora le etichette di destra e sinistra
chiediamo: come classificare il lavoro interinale? E il federalismo dei ricchi
votato proprio in questi giorni? E la guerra alla Jugoslavia?
Stiamo raccogliendo le firme per cogliere un’occasione di
battaglia politica, per poter parlare di ciò che gli altri ignoreranno. Per
parlare delle questioni del lavoro e della necessità della ripresa del
conflitto di classe.
Per denunciare l’attacco sistematico agli spazi democratici,
altro che sciopero della fame sulle liste civetta! Intendiamoci, le cosiddette
“liste civetta” sono un’autentica truffa, ma truffaldino è il sistema
elettorale vigente nel suo insieme. E poi queste liste, se si concretizzeranno,
non solo saranno figlie anche di quello stesso schieramento di centrosinistra
con il quale gli “scioperanti” del Prc hanno deciso di non belligerare, ma
avranno il volto dell’ex compagno Armando Cossutta che non a caso si è opposto
a qualunque intervento legislativo in materia.
Insomma, si profila davvero un bel quadretto per mostrare
dove l’opportunismo e il trasformismo hanno condotto l’ex “coppia più bella del
mondo” che nel ’96 dettava legge nel Prc del sostegno al governo Prodi ed alla
“Finanziaria di sinistra” che tagliò “solo” 100.000 miliardi a lavoratori e
pensionati.
In certi casi, occorre dirlo, il tempo è davvero galantuomo!
Ma torniamo a noi. Stiamo raccogliendo le firme soprattutto
perché, comunque vada, il mondo non finirà certo con le elezioni. L’arido
panorama del recinto bipolare, la passivizzazione della classe operaia, la
desertificazione culturale prodotta dal pensiero unico del mercato, non
promettono niente di buono.
Pensare al dopo è dunque il compito principale. Il modo
migliore di farlo per i comunisti è però quello di lottare oggi.
Lottare su un terreno che
non è il nostro, ma lottare per dare un contributo – piccolo quanto si vuole –
a un progetto di ricostruzione di una soggettività comunista che abbia le
proprie basi nell’opposizione strategica al capitalismo e nella capacità
concreta di rompere con la gabbia del bipolarismo.