Elezioni 2000: la Jugoslavia verso un paese “normale”?

V. Paiotta

 

Domenica 24 Settembre si sono svolte in Jugoslavia le elezioni presidenziali che hanno sancito il passaggio dei poteri da Milosevic a Kostunica. Per come si sono svolte sarebbe possibile commentare queste elezioni anche come fatto a se stante, ma credo sia più corretto inserirle nel contesto della storia degli ultimi dieci anni dei Balcani; l’elezione del presidente jugoslavo infatti, è stato l’ennesimo, ma sicuramente non ultimo, capitolo dell’indegna spartizione che l’occidente (USA ed Europa, intesa sia come Unione che come singoli Stati) stanno portando avanti dal 1990 nei balcani.

Dalla scomparsa dell’Unione Sovietica i paesi europei, ancora operanti come singoli Stati, visto che l’Unione non esisteva ancora, non hanno perso tempo per fomentare, estremizzandoli, i problemi etnici da sempre presenti in quell’area. In Jugoslavia sono da sempre state presenti molte etnie con culture e storia differenti, ma, grazie alla politica di Tito, questi problemi non erano tali da costituire una minaccia alla Federazione: a chi sostiene che la pace fosse ottenuta esclusivamente con l’uso della forza da parte del governo comunista basta ricordare gli oltre cinque milioni di matrimoni “misti” (tra coniugi di diverse Repubbliche) presenti in Jugoslavia alla fine degli anni ottanta; cinque milioni di famiglie (composte mediamente da quattro persone) in un paese di circa 26 milioni di abitanti sono la misura di quanto i problemi etnici o religiosi fossero, se non superati, decisamente in secondo piano.

La Jugoslavia del dopo Tito, vista la posizione eterodossa e di rottura assunta nel dopoguerra verso il blocco socialista, avrebbe forse potuto resistere meglio di altri paesi dell’Europa dell’Est al crollo dell’Unione Sovietica. Sono stati gli interessi del capitalismo tedesco (rinfrancato dalla recente riunificazione) ad innescare la miccia della divisione: massicci investimenti economici sono stati operati in Slovenia e Croazia, dove è stata cospicuamente finanziata la fazione parafascista di Franjio Tudjman affinché cominciasse un lavoro di esaltazione dell’etnia croata (mai esistita come Stato indipendente se non durante l’occupazione nazista) atto a favorire l’ipotesi di una scissione della suddetta Repubblica dalla Federazione. Il rapidissimo quanto inopportuno riconoscimento di Slovenia e Croazia da parte della Germania e della Chiesa, è stato l’ultimo passaggio per far precipitare la Jugoslavia nella guerra civile. La creazione degli Stati indipendenti di Slovenia e Croazia ha comportato per la Germania un allargamento dei propri mercati e la creazione di due veri e propri Stati satellite (in Slovenia il Marco è praticamente la moneta ufficiale); la Chiesa dal canto suo ha beneficiato della nascita di due nuovi stati cattolici nel cuore dell’Europa Ortodossa (emblematico in questo senso il viaggio del Papa qualche tempo fa in Croazia, vissuto dai mass-media come il trionfo di un imperatore romano di ritorno da una campagna vittoriosa).

In questo frangente non potevano mancare gli Stati Uniti che, presi in contropiede dalla mossa tedesca si sono buttati con due anni di ritardo nella oramai ingestibile situazione balcanica favorendo l’ascesa al potere in Bosnia-Erzegovina di un personaggio di nome Itzerbegovic e finanziando la minoranza (circa 12% della popolazione) mussulmana affinché prendesse le armi contro il nemico serbo e dichiarasse a sua volta l’indipendenza. In Bosnia si è creata una vicenda, se possibile, ancora più grave della guerra serbo-croata: la pretesa d’indipendenza dalla Serbia da parte di una regione abitata per lo più da serbi non poteva non far degenerare la situazione in una tragedia nella quale i morti si sono contati a decine di migliaia e che ha avuto diverse gravi conseguenze:

1)      gli Stati Uniti hanno usato le loro bombe sull’Europa per la prima volta dal 1945 ed è stato solo un assaggio di quello che succederà pochi anni dopo in Serbia.

2)      Sotto la dizione “intervento umanitario” si è affermato come legittimo il principio d’ingerenza di Stati stranieri (USA ed Europei nella fattispecie) nei fatti di uno Stato sovrano: questo principio sarà la chiave ideologica che giustificherà agli occhi dell’opinione pubblica i successivi interventi (Kosovo, probabilmente America latina…). 

3)      Si è sancito con gli accordi di Dayton il principio dello Stato-etnico: popoli diversi non possono vivere nella stessa Nazione. Non inganni, infatti, la creazione dello Stato Bosniaco: se letti attentamente gli accordi di Dayton non nominano mai la parola Bosnia-Erzegovina che è costantemente, nella dizione, indicata col nome dei due stati-etnici che la compongono, la Repubblica Serba di Bosnia e la Repubblica Croato-Mussulmana.

In questo teatro poco è importato alla sensibile e democratica opinione pubblica occidentale (pronta alla lacrimuccia facile per i bambini di Sarajevo) se seicentomila (600.000!) serbi sono stati cacciati dalle Krajne (regione divenuta croata) e sono stati costretti ad una vita da rifugiati nelle baraccopoli alla periferia di Belgrado. Ad eccezione di Serbia, Macedonia e Montenegro, i balcani divengono una regione con Stati “etnicamente puri” dove in altre parole la convivenza tra diverse etnie non è prevista. Dove non era arrivato il disegno di Hitler arrivano i disegni imperialistici di USA ed Europa.

E arriviamo ai giorni recenti: Milosevic, dopo essere stato l’interlocutore principale degli Stati Uniti e dell’Europa  nel processo di pacificazione della Bosnia (l’affidabile Milosevic era l’uomo su cui la comunità internazionale puntava per mediare con i serbi di Bosnia), diventa improvvisamente il dittatore che opprime la minoranza albanese in Kosovo: bombardamenti “umanitari” sulla Jugoslavia diventano quindi inevitabili.  La guerra è finita dopo oltre due mesi di bombardamenti, l’occupazione del Kosovo da parte delle truppe NATO, migliaia di vittime, la cacciata di gran parte della popolazione serba da quella regione e una quantità quasi incalcolabile di danni umani, materiali e ambientali (basti ricordare la distruzione di fabbriche chimiche che hanno sparso nell’atmosfera e nel Danubio sostanze tossiche e la quantità di proiettili all’uranio impoverito lasciati sul territorio serbo). E’ stato da subito evidente che, se la comprensione del quadro balcanico era importante, le ragioni di questa guerra andavano ben oltre i balcani.

A proposito del dopoguerra conviene riprendere le valutazioni che scrisse Leonardo Mazzei sul numero di Giugno1999 di “Comunismo Notizie”:

“Un errore di valutazione è assolutamente da evitare: quello che attribuisce una vittoria schiacciante agli USA con l’Europa succube ai voleri di Washington.

…In realtà alla gestione militare americana, ha fatto riscontro un’iniziativa politica europea che alla fine ha ottenuto risultati significativi sia in termini politici che militari. Il comando della Kfor è inglese, i 4/5 del Kosovo sono sotto occupazione europea, il settore assegnato agli americani è in assoluto il meno importante. Decisivo finché si trattava di condurre una spietata guerra aerea, il ruolo americano si è immediatamente offuscato non appena si è passati alla “pace terrestre”.

Il vantaggio europeo non potrà che accrescersi nel “dopoguerra”, con un ruolo centrale nella ricostruzione e di supervisione sull’introduzione del libero mercato nei paesi balcanici, per i quali si prospetta un progressivo inserimento nell’area dell’Euro. A tutto ciò si accompagnerà il controllo delle privatizzazioni, con l’acquisizione delle imprese più appetitose e l’intensificazione dell’utilizzo di una forza-lavoro a basso costo da sfruttare sempre più all’interno dei processi di delocalizzazione delle produzioni. Naturalmente gli Stati Uniti non staranno con le mani in mano ad ammirare la vittoria europea ma ad oggi questa è la situazione.

Questa analisi veniva proposta nell’immediato dopoguerra, ma, se allora appariva una corretta e verosimile previsione, alla luce degli eventi di questi giorni  acquista una validità ancora maggiore.

Nell’anno che è trascorso dalla fine dei bombardamenti alle elezioni infatti, l’iniziativa politica dell’Unione Europea ha acquistato sempre maggior peso, mentre il ruolo degli USA è stato confinato ad un, pur importante, ruolo di disturbo nei rapporti tra Serbia e Montenegro. Le elezioni presidenziali poi, sembrano aver sancito la definitiva entrata della Serbia nell’orbita dell’Europa. Il percorso che ha portato all’elezione di Kostunica è stato infatti una esemplare manovra politica.

Così come durante i bombardamenti, anche nel periodo preelezioni la propaganda mass-mediatica occidentale non ha lesinato energie:

 

“Stati Uniti e Unione Europea: via le sanzioni alla Jugoslavia in caso di sconfitta di Milosevic.

Ma si teme il condizionamento dell’uomo forte di Belgrado”.

 

Con questo titolo il TG1 ha aperto il telegiornale qualche giorno prima delle elezioni presidenziali. La promessa della revoca delle sanzioni economiche che strangolano quel paese è stata l’ultima di una lunga serie di incredibili pressioni che la “comunità internazionale” ha esercitato sulla popolazione jugoslava prima del voto di Domenica 24 Settembre. Naturalmente però, secondo i mass-media occidentali e “democratici”, la capacità di esercitare pressione di Stati Uniti ed Unione Europea sommate è niente paragonata al potere di Milosevic, presidente della Jugoslavia, e vero ed unico “Uomo forte” del pianeta. Le elezioni si sono svolte in un clima surreale: due ore prima della chiusura dei seggi l’opposizione ha dichiarato la propria vittoria e si è dichiarata pronta a rifugiarsi in Montenegro se lo spoglio non avesse confermato questo risultato. L’Unione Europea ha avallato questa ipotesi e, in nome della democrazia, ha dichiarato, per voce dei suoi massimi esponenti, che avrebbe considerato valido solo un risultato di vittoria delle opposizioni. Tutto questo mentre in Montenegro (dove la popolazione era stata invitata all’astensione in funzione anti-serba) la milizia fedele al presidente Dijukanovic schedava e minacciava di licenziamento coloro che si recavano alle urne. Pochi minuti dopo la chiusura dei seggi è stato diffuso dagli organi di informazione dell’opposizione il risultato che assegnava a Kostunica il 60% dei voti (evidentemente in Serbia sono presenti strutture informatiche che fanno impallidire perfino quelle statunitensi, che riescono a dare il risultato dell’elezione del presidente degli Stati Uniti solo pochi secondi dopo la chiusura dei seggi). Nei due giorni passati nell’attesa dei risultati ufficiali tutti i capi di stato occidentali si sono affrettati a congratularsi col neopresidente e, con una solerzia sconosciuta quando si è trattato di decidere la cessazione dei bombardamenti, hanno stabilito che nel vertice europeo in programma tre giorni dopo le sanzioni economiche contro la Jugoslavia sarebbero state tolte. La gente a Belgrado è scesa in piazza a festeggiare, ed è facile comprendere come in questo clima potesse essere accolta la notizia della corte suprema che assegnava a Kostunica un vantaggio di voti, ma non sufficiente ad evitare il ballottaggio. I sostenitori di Kostunica hanno occupato il parlamento imponendo a Milosevic una prova di forza; prova di forza che non è arrivata anche per l’intervento della Russia, che, per bocca del suo Ministro degli Esteri, ha di fatto negato l’appoggio a Milosevic che, trovatosi isolato, ha dovuto cedere il potere, accettando come valida l’elezione immediata di Kostunica. Se esistessero ancora dei dubbi sul fatto che la regia di queste elezioni sia stata completamente esterna alla Jugoslavia basti sottolineare il fatto che le cronache degli avvenimenti raccontano di un Kostunica preso in contropiede dal risultato che gli assegnava la maggioranza relativa dei voti: la decisione di mobilitare la folla e occupare il parlamento pare sia stata presa da Dijndijc, uno dei capi del cartello di opposizione e legato a doppio filo con Washington.

A circa un mese dalle elezioni si può provare a tracciare un primo quadro tenendo ben presente però che la situazione è tutt’altro che definita e in continua evoluzione.

I primi passi del nuovo presidente sembrerebbero confermare l’ipotesi che egli è un uomo dell’Europa: il perentorio invito al vertice europeo tenutosi in Francia pochissimi giorni dopo la sua “elezione” danno proprio la sensazione di uno scolaro chiamato a rapporto dai suoi insegnanti perché, passato il primo esame, prenda visione del programma che deve studiare per superare il prossimo. Programma d’esame che è stato esaurientemente spiegato dal Ministro italiano Lamberto Dini che al vertice ha dichiarato che “l’Europa accoglie la Jugoslavia  a braccia aperte: se Kostunica avvierà un democratico processo di privatizzazioni delle maggiori industrie e imprese presenti sul territorio la strada per entrare nell’Unione è spianata”. Da premuroso padre di famiglia Dini non si è lasciato sfuggire il particolare che ben poche industrie serbe sono rimaste in piedi dopo i nostri umanitari bombardamenti dichiarando che “l’Europa ha già pronti milioni di Euro da investire per la ricostruzione in Serbia”.

La situazione però, dicevamo, è tutt’altro che “normalizzata” e presenta molte incognite.

·        In primo luogo non è ancora chiaro il ruolo che giocheranno gli Stati Uniti, i quali non vorranno stare con le mani in mano ad ammirare questa vittoria della realpolitik europea; in un momento in cui le difficoltà interne dell’Unione Europea emergono con una certa gravità (il vertice di Nizza di Dicembre porterà probabilmente ad una svolta decisiva, in senso positivo o negativo per il futuro dell’Unione), una pacificazione dell’area balcanica potrebbe rappresentare una stampella in favore di questi governi.  Si può intuire fin da adesso che  favorire le spinte secessionistiche del Montenegro rappresenterà il cavallo di battaglia per la futura amministrazione americana che uscirà dalle prossime elezioni politiche. Le ultime elezioni in Montenegro hanno fotografato un paese diviso a metà e l’avanzare di una politica di separazione dalla Serbia porterebbe quasi sicuramente ad una guerra civile.

·        La figura del nuovo Presidente jugoslavo è ancora abbastanza nebulosa. L’Europa lo ha scelto come interlocutore più per mancanza di alternative credibili che per la sua storia politica passata. Kostunica è un nazionalista convinto (sicuramente più dello stesso Milosevic): si è detto che fosse l’unico politico serbo a non essere mai stato iscritto al Partito Comunista, ma se ne tacciono le ragioni; il suo dissenso da Tito risale al 1974 e verteva sulla necessità che la Jugoslavia si dotasse di una costituzione federale (ipotesi portata avanti dallo stesso Tito e che vedeva Kostunica nettamente contrario). Gli uffici stampa dell’UCK inoltre hanno diffuso, subito dopo la sua elezione, delle foto scattate ai tempi dell’assedio di Sarajevo in cui Kostunica si era fato ritrarre armato di mitra automatico tra i miliziani serbi. Inoltre, per difendersi dall’accusa di Milosevic di essere un politico al soldo della NATO e pronto a tradire la causa del popolo serbo, Kostunica ha improntato tutta la campagna elettorale all’insegna dell’identità nazionale, condannando i bombardamenti e ribadendo che con lui presidente, il Kosovo sarebbe tornato sotto effettivo governo serbo.

·        Come corollario del secondo punto c’è il ruolo di Milosevic: egli molto intelligentemente ha accettato la sconfitta (altro non avrebbe potuto fare essendo isolato), ma, così facendo, si è guadagnato il diritto di rimanere sulla scena guidando l’opposizione. Kostunica, avendolo battuto proprio sul campo del nazionalismo, non ha potuto consegnarlo al tribunale dell’Aia ne costringerlo all’esilio in un paese sicuro, perché sarebbe sembrato agli occhi dei serbi un cedimento alle pressioni degli odiati americani. Inoltre Milosevic rappresenta ancora almeno la metà del paese e il suo partito detiene la maggioranza nel parlamento Serbo; questo fatto ha spinto Kostunica a proporre un governo di coalizione con gli uomini dell’apparato del vecchio presidente ed il risultato è che ora Milosevic può assumere un ruolo di “vigilantes” nei confronti del neopresidente che non può sbagliare una mossa senza che la cosa passi inosservata.

 

Naturalmente è impossibile sapere ora quanto Kostunica sia convinto di ciò che dice e quanto sia stata propaganda elettorale, ma una cosa è certa: chi ha votato per lui in Serbia (siano essi la maggioranza o una minoranza) lo ha fatto vedendo in lui la difesa degli interessi nazionali; svendere il paese alle logiche occidentali senza ottenere nessuna delle promesse fatte in campagna elettorale potrebbe intaccare il credito che gli è stato concesso facendo tornare d’attualità un ritorno di Milosevic (magari dietro il volto di qualche suo fedele alleato).

Come si può vedere la situazione in Jugoslavia è tutt’altro che definita. Gli spazi di manovra di Kostunica sono ridottissimi: egli cercherà uno strettissimo passaggio per assoggettare la Serbia ai diktat  dell’imperialismo europeo senza umiliare ulteriormente l’identità nazionale del suo popolo. Il tutto con il fucile, sarebbe meglio dire i missili, degli Stati Uniti puntati e smaniosi di fomentare ancora di più l’instabilità dell’area. La Jugoslavia quindi diventa un ancor più importante banco di prova per le mire imperialistiche europee: riuscire a far entrare quest’area nell’orbita dell’Euro marginalizzando il ruolo degli USA nella regione rappresenterebbe la prima vittoria che l’Europa ottiene in politica estera sull’amico-rivale statunitense.

Una risposta in più, se ce ne fosse bisogno, a chi ancora si ostina a credere in un’Europa sociale, senza tendenze imperialistiche, e che, in ovvia difficoltà nell’interpretare questi fatti, è costretto a ricorrere (avendo cancellato il termine imperialismo dal proprio vocabolario) al fumoso e fuorviante concetto di globalizzazione.