ELEZIONI: UN’ESPERIENZA POLITICA

Orietta Lunghi

 

Come Movimento per la Confederazione dei Comunisti abbiamo a suo tempo molto riflettuto e quindi deciso di presentarci alle elezioni politiche.

Abbiamo inteso sperimentare anche questo, tra gli altri terreni di lotta, per la semplice e ovvia ragione che il carattere della nostra formazione non è solo ideologico (non dando a questo termine la connotazione leninista) o solo movimentista ma eminentemente politico  pur essendo consapevoli che l'ambito elettorale non è certo quello a noi più favorevole, né in linea generale, quello privilegiato.

Nonostante sapessimo che questa  scelta veniva presa in considerazione solo in Toscana, abbiamo comunque valutato che eravamo nella difficile ma ragionevole condizione di tentare questa prova politica concreta e i risultati, pur nella modestia di un esperimento in condizioni oggettive pesanti, non ci hanno dato certo torto.

Il non essere presenti, dal nostro punto di vista, ci avrebbe posto in quella collocazione che costringe l'azione politica in un  ambito astratto e più precisamente quello di non tentare proposte alternative a quelle obbligate a farlo in termini speculari alla critica radicale.

Ovviamente comprendiamo bene le ragioni dell'astensionismo, del resto in aumento, ma abbiamo valutato di non sottrarci allo scontro aperto e alle verifiche che possono essere severe, considerata la realtà nella quale i comunisti sono oggi costretti a esprimere il proprio pensiero e la propria azione, sia nelle lotte di fase, che di prospettiva.

Esisteva inoltre, oltre a quelli già esplicitati in altre occasioni su questo giornale, un'altra ragione per convincerci a questo passo. Un aspetto non irrilevante per chi ha aderito al Movimento per la Confederazione dei Comunisti uscendo dal Partito della Rifondazione Comunista in base ad una analisi politica e su un’ipotesi alternativa per una nuova aggregazione.

In questi tre anni infatti non abbiamo mai cessato, nonostante tutto, il tentativo di dare corpo a esperienze che per quanto difficili e certo ad oggi non compiute, non ci facessero smarrire il senso del pensare e fare politica in termini concreti cercando di non relegarci, per quanto possibile, nell'ambito della critica e del dissenso di resistenza, ambito certo non disprezzabile ma diverso dal dall'obiettivo politico di partenza.

Ci ha mosso anche l'intenzione di aprire un dibattito aperto, e la campagna elettorale è in questo senso il terreno adatto in quanto consente di propagandare le analisi e le ipotesi, attorno all'equivoco politico rappresentato sulla scena politica italiana  dal Partito della Rifondazione Comunista.

Sebbene Rifondazione non sia stata certo battuta dai risultati elettorali e anzi l'equivoco che rappresenta ne esca rafforzato (almeno nel medio tempo) il nostro lavoro di critica e disvelamento si è aperto in termini più leggibili per molti compagni e in un ambito certo più ampio da quello consentito dalle nostre esperienze e dai rapporti ad oggi intrecciati.

Per non incorrere nel rischio che il nostro agire politico venga letto in funzione di mero astio o faziosità, caratteristiche contrarie ad ogni processo di aggregazione tra comunisti, forse è necessario ripercorrere brevemente la radice prima del nostro dissenso profondo che non è mai stato segnato da animosità ma da un profondo disaccordo tutto politico e politicamente ad oggi portato avanti.

La ragione principale del nostro distacco e quindi della nostra uscita dal P.R.C. risiede nell'analisi maturata tre anni fa  e oggi rafforzata, che il P.R.C. non possa e non intenda essere, quella forza che costruisce l'alternativa comunista rifondata pur riuscendo a rappresentarsi come organizzazione antagonista.

Ci è parso doveroso, dal momento che abbiamo con tanta determinazione valutato e attaccato il carattere irreversibilmente riformista di questo partito, coniugare questa analisi con azioni politiche, forzatamente modeste ma coerenti a quanto abbiamo elaborato criticamente.

Il carattere riformista del PRC, a nostro avviso, venne esplicitato con l'accordo programmatico con il governo che doveva portare l'Italia nel polo imperialista europeo nel quadro della seconda repubblica.

L'accordo programmatico di governo, poi interrotto per ragioni molto lontane da una reale inversione di tendenza, ci ha confermato in seguito, nonostante il massimalismo e i giuochi di prestigio, la permanenza del P.R.C. nell'ambito bipolare con l'accettazione della moneta unica europea, del pacchetto Treu, con il voto alla legge Turco Napolitano, la non belligeranza sindacale, fino alla non belligeranza con l'Ulivo alla Camera e al suo coinvolgimento sulla scelta dei sindaci.

Saremmo però fuori da ogni concretezza se oggi, a risultati elettorali noti, non vedessimo la realtà dei fatti: il bipolarismo ha vinto, la responsabilità del centro sinistra nell'aver spianato la strada alla destra è sotto gli occhi di tutti come la sua attuale disgregazione. Rifondazione ha retto.

Rifondazione ha retto portando dalla sua una parte del dissenso di sinistra e dei comunisti che non hanno trovato alternativa nazionale credibile. L'equivoco di un partito riformista quanto massimalista si rafforza nonostante sia percepita la sua tendenza da un lato a proporsi come una forza "bella e impossibile" tanto antagonista da spaziare dal Sub Comandante Marcos fino al tentativo di ingoiare la radicalità delle lotte antiglobalizzazione per istituzionalizzarle e dall'altro, di tifare per Veltroni, l'uomo del maggioritario o per Rosa Russo Jervolino, nemmeno fosse la Luxemburg,  per mantenere aperto il dialogo e il compromesso con il centro sinistra.

Per quanti lavorano per scomporre e ricomporre l'aggregazione dei comunisti a partire dai filoni "dati" , per quanto riguarda il P.R.C, si apre un scenario di difficoltà oggi forse maggiori, almeno a tempi brevi. Ci sono però anche ragioni per pensare che nell'universo politico, sindacale e sociale dell'intera sinistra si determinino scelte e conseguenti tensioni capaci di creare nuove condizioni.

Le  analisi che abbiamo prodotto, alla sostanza, non sono state contraddette.

Nel caso, sono le ipotesi che abbiamo delineato che hanno necessità di nuova verifica e questo per due ragioni.

La prima è ovvia: il quadro politico di riferimento generale è cambiato dopo le elezioni, il centro sinistra non è al governo del paese. In seconda istanza, per quanto ci riguarda, deve esserci chiaro che abbiamo ipotizzato, per tutta una fase, che le contraddizioni politiche e sociali sarebbero emerse in termini più rapidi, mentre, per dirla con Calvino: " le condizioni ci sono state tutte ma non per questo si sono verificate".

Ma.

C'è sempre questo "ma"  per quanti non vogliono la resa a  sostenere i tenaci.

Inoltre, in politica, dopo aver analizzato oggettivamente lo stato reale dei fatti, il "se" e il "ma" sono nell'ordine delle cose  perché il quadro può modificarsi nonostante l'implacabilità delle linee di tendenza.

Questo "ma" consente di poter dire, per esempio, che non è detto che la fase che si apre sia peggiore di quella già tremenda che viviamo da anni.

La pace sociale e sindacale, la guerra, la devastazione del lavoro, il conformismo soffocante non saranno spazzati via con facilità, il Governo di centro sinistra ha lavorato in profondità e non sono ipotizzabili "risorgimenti" e ripresa di conflitto che non vada oltre la routine, ma seppure classe dirigente e popolo di sinistra siano tanto compromessi , la durezza della realtà e dei bisogni può consentire la ripresa o la scossa necessarie per un avvio.

Molto dipenderà dal Polo, molta della strada è stata già tracciata dalla sinistra e inoltre, si dice, che abbia imparato la lezione della politica, ma il suo carattere strutturale e culturale, gli interessi che difende e le contraddizioni interne, possono determinare una mancanza di prudenza e una accelerazione dei processi, del resto era quello che temeva la stessa borghesia italiana ed europea.

 

L'esperienza della raccolta di firme non è nuova.

Ogni compagno e compagna sa di quanto possa essere dura, sa della pioggia, della difficoltà dei turni, della paura di non farcela, può immaginare i visi ostili, chiusi, stanchi, delle persone che passano in fretta all'uscita dei super mercati il venerdì pomeriggio e magari ti scansano con la mano. Ma per quanto tutto ci fosse già noto o immaginabile,  con il  passare dei giorni cresceva la netta sensazione che invece molto era cambiato.

Non pretendo di fare facile sociologia politica attorno a questa raccolta di firme ma alcuni aspetti colti direttamente dall'approccio con altri esseri umani, dopo tanti dibattiti televisivi, qualche riflessione l'hanno comportata.

Noi ci presentavamo con i "dati personali" come direbbe Krahl : il nome in primo luogo:  Comunisti, Movimento per la Confederazione dei Comunisti.

"I comunisti disdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni".

Il simbolo : Falce, martello, stella rossa.

Gli slogans: No all'opposizione a metà di Rifondazione e alla sua ambiguità, No al lavoro precario. Si ai meccanismi di riappropriazione del salario: Scala Mobile, Tfr etc.

Si alla libera circolazione dei lavoratori immigrati, No al maggioritario, No al Governo di Centro Sinistra, Governo della guerra imperialista, delle privatizzazioni etc.

Le cinquemila firme, che potevano essere molte di più, sono state prese non risparmiando nulla e nessuno, asserendo pubblicamente le nostre valutazioni e giudizi in termini da fare arrabbiare qualunque appartenente alla "sinistra", qualunque pidiessino o votante di Rifondazione.

Certo, alcuni si fermavano, specialmente nei mercati, dove le persone hanno più tempo e alcuni dicevano che divisi si perde, altri che quella stella rossa sembrava delle B.R, altri che di liste comuniste ce ne erano anche troppe ma che erano finiti i comunisti.

Ma nessuno, di quanti si fermavano, firmassero o meno, difendeva nessuno.

Tutti o quasi sembravano aver perso, nel breve e pesantissimo giro di questi anni, identità e senso di appartenenza, persa quella certezza di essere nel giusto, certezza talvolta arcigna, perfino arrogante, offensiva, contro chi non era dei loro, propria di tanti compagni del P.C.I, o quella baldanza orgogliosa della prima Rifondazione.

Questo senso di comunità, di gente che ha convinzioni forti, che condivide ideali e speranze collettive sembrava lontana come la luna.

Emergeva in tanti, in cambio della passione politica, quasi un senso acre di dolorosa sfiducia che non è qualunquismo e neppure nostalgia ma piuttosto amarissima disillusione.

Strano, pensavo, nessuno si arrabbia più come una volta, di tanto ardore partigiano, perfino fazioso, rimaneva, come dopo un incendio sul quale fossero state  gettate troppe acque, un nuvola densa: la paura che vincessero gli altri.

Il  bipolarismo aveva vinto, in poche parole. Quasi nessuno opponeva difesa per la propria parte politica, emergeva invece il timore di nuova possibile offesa, quella della vittoria di Berlusconi.

Ma. Ma è anche successo che non pochi, di ogni età anche se in misura minore i giovani, domandandoci con chi eravamo, se eravamo o meno con Rifondazione e perché volevamo presentarci alle elezioni, avviassero con noi un ragionamento.

Il  ragionamento in non pochi casi ci vedeva concordi stabilendo così una sintonia inaspettata, quasi il ritrovamento di un filo di analisi, di linguaggio e di bisogni comuni.

C'è una frase, nelle Ricerche filosofiche in cui Wittgenstein si pone una domanda semplice ma alla quale è difficile rispondere come a quelle dei bambini.

"Come faccio a sapere che questo colore è rosso?" Ovviamente in questo caso il rosso era un colore casuale, ma il senso della domanda non cambia. Il  percorso linguistico ineludibile e del resto noto non basta a spiegare il senso del rosso o del blù, senso che è individuale perché ciascuno lo percepisce diversamente, ma è comune perché riconoscibile in termini generali per  tanti, almeno come sintesi codificata.

Ecco, tra una folla delusa, infastidita, propria dei banchetti di raccolta di firme, può succedere di intercettare e capire che dieci, venti, trenta, quaranta e più persone hanno attraversato una sequenza di pensiero e di esperienza per la quale si comunica oltre il senso comune ma in termini comuni.

L'aggancio poteva essere il lavoro precario, come il salario, ma era la domanda di libertà, la necessità di trovare il modo di uscire dalla cappa dell'oppressione di classe, la consapevolezza della difficoltà estrema del come e con chi riorganizzare questo bisogno che faceva pensare che i comunisti c'erano, quelli a cui non basta la ridistribuzione del reddito o migliori condizioni, che pure sono importanti, ma che hanno l'esigenza  di ben altro dall'accontentarsi del meno peggio.

La questione comunista esiste ed esiste, per quanto sommerso dal revisionismo o dal riformismo, lo spazio politico e sociale perché ne riprenda la domanda e quindi l'organizzazione in termini contemporanei. La questione del soggetto e delle nuove modalità è oggi all'ordine del giorno ed è campo di ricerca quanto di individuazione di lotte concrete. 

Ma dovrebbe essere chiaro che le contraddizioni e le oppressioni sono già tutte aperte e che una analisi sulle trasformazioni strutturali del Capitale è già avviata, pur se ovviamente non compiuta è certo delineata dai dati di fatto.

Il blocco sociale oppresso e potenzialmente antagonista è sotto i nostri occhi, non è una opinione peregrina o roba da gioco di prestigio, il capitale stesso lo determina. La difficoltà è trovare le leve giuste perché torni a esprimersi.

Un ostacolo pesantissimo, volendo attenersi a una questione, è  quello della riorganizzazione delle istituzioni in senso maggioritario e bipolare, riorganizzazione voluta dalla stessa sinistra, fattore che aliena o quanto meno compromette, la possibilità di avvalersi di rappresentatività e protagonismo. Lo scontro si giocherà, se si giocherà, tutto fuori e tutto contro lo schema bipolare, dovrà trovare se li trova, strumenti e luoghi dove legittimarsi a partire da una piattaforma programmatica, rivendicativa in termini di classe, cosa difficile per i comunisti, impossibile per i riformisti, per quanto lo dichiarino alzando il tiro senza praticare il bersaglio.

Una confederazione, in assenza di un pensiero unico dei comunisti, che intercetti la realtà dei bisogni immediati, pratichi azioni e lotte concrete che contengano elementi di prospettiva su un terreno dove il bipolarismo, anche di sinistra radicale, non può a fondo scendere, rimane un’ipotesi concreta  e  aperta di lavoro.

Certo, aveva ragione chi diceva che lavorare stanca, anche il lavoro politico stanca quando comporta tanti sforzi e pochi risultati.

Quello dell’esperienza elettorale ha visto sforzi e risultati, significa molto per chi l'ha prodotto e per i compagni e le compagne che ha avvicinato.

Significa poco se non si riprendono subito nuove iniziative che favoriscano e determinino nuova aggregazione. Non è scontato ma  è possibile, se non è un’istanza che gira solo nella testa di alcuni tenaci, sebbene la tenacia, proprio adesso che è rara sia materia utile.