Una popolazione salariata eccedente
O.Lunghi
"L'ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA
PRODUCE IN CONTINUAZIONE ED ESATTAMENTE IN RAPPORTO ALLA PROPRIA ENERGIA E ALLA
PROPRIA ENTITA' UNA POPOLAZIONE OPERAIA RELATIVA, CIOE' ECCEDENTE LE
ESIGENZE MEDIE DI VALORIZZAZIONE DEL
CAPITALE, cioè superflua ossia supplementare."
Dal libro primo del Capitale.
La teoria dell'esercito industriale
di riserva, in diretta relazione all'introduzione delle macchine meccaniche nel
processo di accumulazione, non è oggi contraddetta, anzi, se si pensa alla
questione dell'immigrazione è nel caso avvalorata, come se si volesse
approfondire l'accentuarsi del
carattere proprietario del tempo di lavoro e non lavoro.
Si tratta piuttosto di tentare
l'avvio di una analisi aggiornata attorno a questa questione, sempre centrale,
a fronte della introduzione delle nuove macchine informatiche, dello sviluppo delle applicazioni scientifiche,
legando la teoria stessa al rivoluzionamento ormai stabile delle modalità di
produzione odierne e alla conseguente
riorganizzazione del lavoro.
Secondo il mio punto di vista, in
tutti i punti alti dello sviluppo, pur permanendo le precedenti modalità di
ricavare plusvalore si è affermata, in termini generalizzati e stabili, la
necessità di ridurre l'intera
popolazione salariata a condizione di eccedenza.
Il lavoratore come soggetto, sembra
oggi determinarsi con il peculiare carattere di singolo individuo facente
parte, come unico senso di "comunità", di una popolazione di salariati tutti eccedenti, supplementari, nella
difficoltà quindi di poter collettivamente condizionare il capitale che può
accedere, quasi avesse incorporato l'unica mediazione relativa possibile tra
Capitale Lavoro, la forza lavoro e quindi l'insieme del lavoro.
Ovviamente si tratta di una ipotesi
e quindi opinabile sia come campo di indagine che come verifica.
Ma l'afasia del soggetto, della sua
rappresentanza politica e sindacale, la
difficoltà conseguente che il conflitto, pure soggiacente in quanto prodotto
dalla natura oppressiva del capitalismo, favorisce l'esercizio delle ipotesi,
auspicando comunque che altre e più compiute potranno emergere, tali da
indicare una traccia operativa di lavoro politico e strategico.Una lettura dei
processi in corso presenta quesiti molteplici quanto la realtà. Ma difficile è farne sintesi se non a livello di
approssimazione o percezione trattandosi di fenomeni in divenire e mancando
oggi un referente sociale, un interlocutore collettivo, con i quale misurare
ipotesi, linea e agire politico.
Comunque, riguardo alla
riorganizzazione del lavoro, quanto si svolge sotto i nostri occhi è un
fenomeno così eclatante che non necessita di dimostrazioni e forse neppure di
dati, spesso confusi o artatamente fatti circolare per avvalorare le ideologie
dominanti. Ma comunque in qualche caso la lettura dei dati qualche riflessione
può suggerirla.
Nel 1963, secondo l'Istat, erano
considerati lavoratori sotto occupati, interessante definizione in quanto
presupponeva una data tipologia di occupazione, quanti in una settimana avevano
lavorato meno di trentacinque ore.
I dati Istat dell'Aprile 2000
leggono la curva dell'occupazione in sensibile crescita, partendo ovviamente da
inversi parametri sulla quantità di ore lavorate.
Oggi è crescita occupazionale quanto
veniva ufficialmente definita sotto occupazione e precarietà, quindi l'anomalia
di ieri è oggi la nuova norma.
E, sempre la lettura dei dati Istat,
offre spunti interessanti da cui partire riguardo alla questione stessa
dell'esercito di riserva.
Questa nuova forma di occupazione
che si asserisce in crescita, occupa in termini indifferenziati giovani, più o meno specializzati, lavoratori sopra i trentacinque anni,
lavoratori del Mezzogiorno d'Italia e le donne e queste in misura maggiore riguardo agli uomini.
Nell'allegato ai dati, l'Istat
afferma che la crescita annua di questa occupazione nell'arco del trascorso
triennio è stata in continua ascesa, raggiungendo oggi uno stabile 1,5% in
termini assoluti, con punte ovviamente superiori, e che le previsioni per il
biennio futuro, fatte salve turbative imponenti, sono per una ascesa costante,
"la più rilevante espansione dall'inizio degli anni 80 considerando che la
tendenza è comparabile, all'insieme dei paesi europei oltre che per gli Stati
Uniti dove il fenomeno si è avviato in
fase precedente."
Sempre nell'allegato si riportano i
dati della crescita dei profitti, si afferma che questo passaggio positivo in
Italia comincia ad allungare il suo passo a partire dal 1997, con
l'introduzione del pacchetto Treu, che ha stabilito l'utilizzo di forme di lavoro
a termine e a tempo parziale, e di seguito, la diffusione di contratti atipici,
stagionali e il concetto di flessibilità.
La disoccupazione verrà
"abbattuta" attraverso l'ulteriore abbattimento dei vincoli
ancora presenti nel mercato del lavoro,
essendosi "avviata una tendenza che ha già fatto risalire l'occupazione,
rispetto al P.I.L., ai valori più alti degli ultimi tre decenni."
In un anno, sono stati però
persi ulteriori 19.000 posti di lavoro
a tempo indeterminato in settori ancora diversi da quelli tradizionalmente
legati alla produzione che ha subito una flessione relativa, ma nei comparti
dell'acqua, energia e gas etc ed è davvero difficile il riscontro del saldo
positivo.
Se i commenti alle valutazioni Istat
possono essere trascurati, è interessante leggere dove e come questa
occupazione crescerebbe, non trascurando la questione di fondo che verrà in
seguito affrontata relativa alla possibilità o meno che l'occupazione, con
l'introduzione di nuove macchine, possa concretamente crescere. Partendo
comunque dal dato di crescita di questa nuova occupazione, si evidenzia, contro
ogni luogo comune, che questa investe anche il mezzogiorno, fattore di novità
rilevante in quanto il Sud d'Italia è da sempre serbatoio di lavoro di riserva.
Altro fattore riportato dai dati è
l'incidenza della crescita della occupazione femminile che si presenta in
termini esponenziali in confronto a quella maschile, arrivando al 16-17% di occupate in più. Quindi, la
riserva delle riserve dell'esercito di riserva, supererebbe quattro volte la
quota maschile di nuovi occupati, ed è interessante leggere che questa tendenza
è in linea ai dati relativi delle altre economie sviluppate. .
Quindi questa nuova occupazione
crescerebbe occupando lavoratori che hanno fatto parte della componente storica
dell'esercito di riserva. Se inoltre si considera che troverebbero occupazione
quanti hanno più di trentacinque anni anche dequalificati e che questa è la direzione di marcia
nazionale e sovra nazionale all'interno dei paesi sviluppati, il quadro che si
evidenzia, conseguente allo sviluppo del capitale e alle modalità di produzione
è quello di una trasformazione in corso dello schema dell' esercito di riserva
tradizionalmente inteso.
Se era centrale il lavoratore a tempo indeterminato, ovviamente
pronto ad essere sostituito, se era previsto il lavoratore sotto occupato come
ulteriore corollario allo sfruttamento tenendo in campo la disoccupazione come
minaccia concreta e permanente, oggi questa centralità appare ribaltata.
E' il lavoro supplementare che si allarga restringendo il campo
del lavoro stabile e la disoccupazione è la condizione di partenza piuttosto
che il temibile approdo.
Una riserva illimitata di lavoratori, tutti esposti in prima linea
in termini orizzontali piuttosto che suddivisi e collocati in definite se non
rigide retrovie.
La nuova modalità di determinare occupazione può ovviamente dipendere da
diversi fattori. L'introduzione delle nuove macchine, i processi economici
competitivi determinati dallo scontro imperialista sorto dal nuovo quadro
politico, i passaggi storici, potrebbero comportare la necessità di assestare e
dilatare il lavoro su un unica linea e
su questa linea unica, frazionare e ricollocare, l'ingente quantità di quel
minor tempo necessario oggi occorrente alla produzione di tipo fordista pur
rimanendo questa consistente, addensandone lo sfruttamento nei luoghi di
lavoro, ma allargando a tutto campo lo sfruttamento di salariati
intercambiabili a seconda di necessità e funzione.
"Il pagamento del salario è un atto di circolazione che si
svolge simultaneamente e parallelamente all'atto di produzione."( Grundisse)
Con una torsione si torna quindi a questo nodo.
La stessa formazione del salario
così come si è andata conformando nella fase di lavoro a tempo determinato,
potendo oggi il Capitale accedere al lavoro indeterminato senza alcuna
mediazione e variabili, viene nei fatti modificato ed è erogato in termini di
scambio immediato. Infatti si provvede allo smantellamento di tutte le
componenti che l'avevano per lunga fase
costituito.
In questo senso, dal punto di vista politico, una grande lotta sul
salario generalizzato avrebbe oggi ragione e senso se ci fosse una forza
organizzata che si fosse fatta carico di promuoverla e organizzarla. Assistiamo
invece al silenzio dell'opposizione di sinistra, quand'anche si espropriano i
lavoratori delle singole componenti del salario per investirle nel giuoco del
profitto, come per la questione del T.F.R, mentre uno strano salario di
cittadinanza( di quale città, ci domandiamo) diventa uno slogan da tirare fuori
di tanto in tanto, specialmente in campagna elettorale.
La qualità e dislocazione di questa
nuova occupazione, non può che comportare una diminuzione del tempo di lavoro
impiegato e retribuito in primo luogo come conseguenza diretta
dell'introduzione delle macchine informatiche, così come è accaduto con
l'introduzione delle macchine meccaniche che comportarono la contrazione della
base occupazionale.
Per sviluppare, in termini di grande
approssimazione quanto vorrei delineare in questa nota suggerirei alcuni temi
tra loro intrecciati che andrebbero ben altrimenti sviluppati per aprire una
reale discussione.
- La prima questione, dal mio punto di vista, riguarda la
condizione umana e sociale alla quale sono costretti i lavoratori in
conseguenza alla nuova composizione e organizzazione del lavoro.
- Di seguito potrebbe avere interesse il chiedersi se è stata, insieme ad altre questioni politiche e
storiche, l'introduzione della macchina informatica, il fattore che ha
contribuito maggiormente alla modificazione dell'organizzazione del lavoro.
- Se al rivoluzionamento avvenuto sul fronte del lavoro, non
risponda specularmente una modificazione delle componenti del capitale stesso,
così come si era determinato fin dall'introduzione delle macchine meccaniche ad
oggi. Il Capitale, non essendo dio, non necessariamente deve mantenere una
forma codificata ed eternizzata.
- Altro tema, conseguente e di diretto interesse politico,
riguarda il carattere che ha assunto oggi il
lavoro, e quindi da quale presupposto ripartire per un processo di
riaggregazione del soggetto in termini politici e sindacali.
Il
lavoro, del quale sembra che il Capitale abbia in questa fase
incorporato la potenzialità di scontro propria della forza lavoro nei propri
processi di accumulazione riducendolo quindi a proprio strumento, dovrebbe, dal
mio punto di vista essere considerato nemico
dei lavoratori.
Nemico in quanto tramite diretto
della riduzione a cosa dell'intera persona umana, corpo, tempo, intelligenza.
Questione questa niente affatto nuova, anzi già affrontata in altre fasi della
storia del movimento operaio, in quanto l'alienazione, la cosificazione del
lavoro e dei lavoratori è nella struttura stessa del Capitale.
"La Storia politica del
Capitale - scriveva già Tronti nei
primi anni sessanta - è una sequenza di tentativi di sottrarsi al rapporto di
classe". Il tentativo della classe capitalista di emancipare se stessa
dalla classe operaia per mezzo di forme di dominio è insomma costante. Oggi il
tentativo è ancor più aggressivo in quanto incontrastato e la posta in giuoco
non è più il dominio ma il possesso, l'incorporazione.
Infatti, come Confederazione dei Comunisti e movimenti
antagonisti, centrammo a mio avviso un obiettivo politico e sindacale
interessante, tentando di avviare uno scontro all'apertura delle prime agenzie
di lavoro interinale individuando un campo d'intervento forse capace di
riunificare i nuovi soggetti dello sfruttamento.
La responsabilità di rendere quello
scontro testimonianza di pochi in luogo di lotta di tanti, da parte del P.R.C. e delle stesse organizzazioni
sindacali non confederali, non è stata irrilevante.
Si trattava, si tratta, di mirare analisi e lotte per
l'individuazione di terreni politici e sindacali immediati che contengano però
elementi di prospettiva per una aggiornata aggregazione del soggetto oggi
disperso, di un blocco sociale esistente ma invisibile e non rappresentabile
senza la ideazione attiva e la pratica
adeguata.
Lo scopo di quanti si richiamano al
comunismo, proprio in una fase come questa, non può essere disgiunto, nel
mentre si tenta di lavorare per gli
interessi diretti dei lavoratori, dal tentativo di individuare il pensiero e lo
strumento politico capace di produrre rotture in campo avverso in luogo di
studiare, nei casi migliori, i processi del Capitale e nei peggiori, adeguarsi.
Il costo umano e sociale oggi
richiesto a tanta parte dell'umanità è altissimo. Il rischio, se non si riavvia
un processo rivoluzionario, come non mai necessario, è che il Capitale divori e
incorpori quanto esiste e quanto riproduce, morendo d'indigestione ma lasciando
dietro di se rovina in luogo di alternativa.
Infatti, in tanta parte del mondo,
alla faccia della nuova ortodossia paralizzante della globalizzazione, milioni
di esseri umani e interi continenti sprofondano in termini di genocidio,
annientamento o barbarie.
Specularmente, quanto si prospetta
per i salariati che vivono dove risiede il nucleo più vivo del Capitale, il
lavoro, espropriato dalla potenzialità di contrasto della forza lavoro, dalla
politica intesa in termini comunisti e quindi fuori dal recinto della
omologazione, è solo condanna alla cosificazione, condizione anti umana per
definizione ma insita nello sviluppo incontrastato del Capitale.
Si presenta ai nostri occhi la
possibilità concreta di una nuova popolazione di salariati, tutta
eccedente e supplementare, costretta a muoversi allo sbando, incalzata da un
nemico se non invincibile certo implacabile.
Un costo ovviamente temperato per
quanti convivono nel cuore dell'imperialismo, ottenendone vantaggi e
compensazioni, oltre all'avvalersi ancora di quei presidi e garanzie sociali
che si erano determinati come
mediazione dello scontro di classe tra Capitale e Lavoro e quindi tutti
deperibili a breve tempo se la politica
non interviene.
E' ovvio che quando si scrive si
tende a raggelare la realtà prospettandola in termini eccessivi e che basta
fermarsi un attimo, guardare negli occhi una persona o un cane, mangiare un
gelato o guardare il cielo ed ecco che l'alito della vita ricompone il
paesaggio disgelandolo, fosse anche grazie al tramite di quell'esercito mobile di metafore che ci consentono di vivere,
di ideare possibilità di fuga o di riscatto.
Ma continuando la scrittura di
questa nota, per riprendere la definizione marxista riguardo all'esercito di
riserva, siamo di fronte a una popolazione operaia al cui interno, come per una deflagrazione,
sono saltate soggettività e centralità
consolidate.
Saltate perfino, nel bene e nel
male, le gerarchie interne che il movimento operaio aveva pur codificato, come
accade a chi si fa parte organizzata per lunga fase. Basti chiedersi che
significato, oltre la residualità o la resistenza, hanno oggi definizioni quali aristocrazia operaia, crumiro,
intellettuale organico, quadro politico
o sindacale etc.
Nessun rimpianto, è ovvio, per la
precedente organizzazione del lavoro. Una vita lavorativa di quaranta anni
legata alla stessa catena di un lavoro alienato e faticoso, con orari e salari
di rapina, non può rappresentare nessuna età dell'oro.
Nel caso, il nodo duro che oggi
sembra sciolto anche a livello di ordine simbolico, è quello del lavoro inteso
come forza antagonista concentrata e organizzata, conoscenza dei processi
produttivi da utilizzare all'avvio del processo rivoluzionario, coscienza dello
sfruttamento e solidarietà di classe.
Lavoro da liberare e da cui
liberarsi, in quanto sotto il comando del Capitale e certamente non fine, ma
piuttosto da intendersi come mezzo di scontro che contiene elementi di
alternativa speculari al Capitale, agente di trasformazione per il portato
stesso della coscienza politica dell'oppressione e non come oggi tutto
consegnato, ridotto a macchina
proprietaria dell'avversario.
A diversi livelli il proletariato è chiamato a collaborare con lo
sviluppo del capitale, a diversi livelli deve scegliere la forma specifica del
suo rifiuto politico.
Questioni di questo carattere, pur
se poste in termini diversi, non sono certo nuove nella discussione tra comunisti
e nel movimento operaio, se solo si ricorda il dibattito negli anni 60
all'interno dei Quaderni Rossi.
Tronti, Rieser, Alquati, Panzieri,
con il suo saggio "Sull'uso capitalistico delle macchine nel neo
capitalismo" (Q.R. n.1) analizzavano le forme concrete dell'estrazione del
plusvalore e la condizione operaia in termini interessanti anche oggi non fosse
altro per la ricchezza di analisi anticipatrici e per l'aderenza alle questioni
concrete tramite la ricerca e l'
inchiesta sul campo. Anche se non mancarono contrasti e scissioni, non fu certo
una esperienza sterile, anzi , dette luogo a confronto, nuove formazioni politiche, un nuovo
approccio della questione sindacale, riviste, scuole di pensiero.
Quell'esperienza andrebbe riletta.
Politica, sindacato, partito, poco fu trascurato. Dalle lotte alla Fiat, al
frammento sulle macchine, alle relazioni sulle lotte nel biellese, al concetto
di autonomia operaia, dal primato della politica o del sociale, la ricchezza e
la passione di quell'accidentato percorso le ritroveremo, come lascito fattivo,
per tutti gli anni settanta, rimanendo preziosa in questi giorni di
dimenticanza.
Panzieri già asseriva che le nuove
forme del lavoro erano nemiche dei lavoratori in quanto tendevano a ridurli a
strumenti, individuava la necessità di una piena autonomia del lavoro contro il
Capitale, arrivando a citare quel passo dei Grundisse in cui Marx sostiene che
prima di imboccare il mercato del lavoro, l'operaio avrebbe preferito diventare
ladro.
Ovviamente in quella fase
Panzieri poteva parlare di movimento
operaio e di lotte, come Tronti, alla grande, di centralità operaia e partito, del Piano del Capitale e di
questioni di grande politica.
Oggi che le lotte operaie non ci
sono, come non ci sono partiti di riferimento della classe contro cui
scontrarsi o meno, e neppure quel sindacato da cui staccarsi o meno, può
apparire che si tenti una rilettura senza aderenza con l'oggi. Eppure
riguardare la nostra storia, in questo caso così recente, e trarne lezioni
nonostante i mutamenti di fase non è inutile né dannoso, dannoso invece secondo
il mio punto di vista è non avere più cognizione del passato, quindi del
presente, quindi dello stesso futuro. Si concorrerebbe a opacizzare, in questa terra desolata della
politica odierna, la necessità e la possibilità del sovvertimento. Scordare noi
per primi che il ‘17 è esistito e non è stato orrore e delitto ma un processo
di emancipazione straordinario non collocabile nella lettura dell'oggi ma su un
piano storico, è rendere, tra i tanti un buon servizio alla borghesia.
Era il 1735, J.Watt, annunciò con
grande enfasi propagandista la sua macchina per "filare senza dita".
Il macchinario era mosso da un asino.
La rivoluzione industriale si
annunciava esclamando la propria vocazione. Ebbe bisogno di uomini, donne e
fanciulli ma la vocazione a rendere cosa, strumento, quanto è animato, è, oggi
come allora, un intento mai abbandonato.
Il Capitale ha più memoria degli
esseri umani, come la Chiesa si muove per obiettivi e certezze inamovibili.
L'espropriazione della
potenzialità-intenzione di un Lavoro contro il Capitale e di uno strumento
politico capace di dirigere l'assalto al potere della borghesia, è la ragione
del rovello che ha appassionato i militanti comunisti, questione ben diversa dal rammarico delle
perdute forme prima esistenti, avendo ben presente la palude in cui il
riformismo aveva già cacciato e caccia la potenzialità del conflitto.
L'inquietudine e la fatica che
comporta la ricerca incessante di una strada nuova, è oggi riferibile alla
necessità e difficoltà di intercettare e percorrere, in questa fase di
rivoluzionamento del Capitale, la leva che possa far ritrovare quella coesione
che ha determinato in periodi recenti, parlando in termini storici,
processi rivoluzionari straordinari.
Seguendo in termini non organici i
temi proposti, viene da domandarsi, come accennato, se esiste la possibilità
che dentro il proprio processo di rivoluzionamento il Capitale non tenda a
incorporare nella sua componente fissa, come si trattasse di un ulteriore
macchinario, quella forza-intenzione che è la forza lavoro, quella merce che è
di diversa natura da tutte le altre merci in quanto quando viene contrattata
non è già prodotto e non ha luogo di produzione. Ai lavoratori insomma sarebbe stato sottratto l'unico mezzo di
contrasto contro la forza del capitale. Ipotesi catastrofica se si trattasse di
un processo compiuto in quanto si sarebbe annullata la stessa contraddizione
tra lavoro e capitale.
E' un fatto però che incorporata o
schiacciata, questa forza lavoro, oggi non batte un colpo ed è paralizzata
dalla nuova organizzazione del lavoro.
Questo cambiamento non può non avere
delle ragioni, delle cause e delle conseguenze.
Le conseguenze sono evidenti a
livello sociale, come è ovvio, in quanto il
come oltre a cosa produrre
informa direttamente la società sia in
termini generali che individuali, sia in termini di struttura che di
sovrastruttura, fino alla percezione
della realtà stessa da parte degli individui, trasformandone il carattere
delle aspettative, delle istanze e delle prospettive sulle quali si costruisce
l'impianto del vivere quotidiano e si disegna l'immediato futuro.
Essere ridotti, e la percezione
della realtà è diretta, penetra in
profondità oltre la mistificazione, a individuo eccedente, supplementare,
frantuma il senso individuale insieme al sentire collettivo, genera altre
modalità di aggregazione.
Le cause che hanno concorso a questa
trasformazione, vorrei ribadire, sono molteplici e non tutte riferibili
unicamente ai processi di accumulazione e sviluppo del capitale, non credo si
possa meccanicamente trascurare l'impatto dei grandi processi storici che
abbiamo attraversato e che hanno scompaginato gli assetti internazionali, la
questione della competitività intercapitalista che è implosa al proprio
interno, senza il deterrente del nemico comune, portando all'accrescere delle
guerre e del riarmo.
Ma volendo rimanere nell'ambito
individuato per questa nota, è necessario restringere il campo alla radice
partendo dalla considerazione che "la
Borghesia non può vivere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di
produzione e quindi l'insieme dei rapporti sociali".
Si tratta allora di ragionare
attorno all'attuale rivoluzionamento.
Il superamento della forma originaria,
piatta, dell'accumulazione che si esprimeva in termini quantitativi e
individuali è stata la storia stessa dell'evoluzione del capitalismo che andava
saldando masse di capitali, con l'ingresso delle macchine, filiere per il
cotone, l'aratro a vapore etc, la sua stessa differenza organica tra parte
costante e parte variabile. Inizia con questo movimento uno sviluppo del
Capitale che non si è arrestato pur nelle modificazioni successive.
"Il capitale di ogni sfera di
produzione deve partecipare, pro rata della sua entità, al plusvalore
complessivo estorto agli operai dal capitale complessivo sociale; ossia che
ogni capitale individuale deve essere considerato come una frazione del
capitale complessivo, e che ogni capitalista non è in realtà che un semplice
azionista dell'impresa complessiva della società" (Marx).
La giornata lavorativa sociale,
lavoro o non lavoro, funziona direttamente dentro il processo di produzione del
capitale sociale e dentro questo processo, produce, riproduce e accumula nuovo
capitale.
Dal momento che a un determinato
grado di sfruttamento del lavoro corrisponde un determinato livello dello
sviluppo capitalistico, oggi che il concetto stesso di giornata lavorativa può
essere sostituito con tempo illimitato a disposizione su una unica linea e che
lo sfruttamento oltre alla produzione riproduzione sociale tende a
impossessarsi e socializzare intelligenza
e ideazione, la stessa
suddivisione tra componente costante e variabile deve essersi modificata
in quanto è stata immessa nel processo un'altra ricchezza da cui estrarre plusvalore, la macchina informatica.
Gli azionisti del Capitale vedono
insomma crescere "l'impresa complessiva" con l'immissione nel circuito, in forma di
macchina proprietaria, un valore di cui prima potevano avvalersi solo come
supporto ideologico : le idee, le informazione, la cultura, l'ideazione.
Lo sviluppo delle macchine è stato
evolutivo e continuo , dall'introduzione delle macchine, fino alla
robotizzazione.
Oggi vede aggiungere, agli strumenti di produzione meccanica, macchine di derivazione scientifica, non dichiaratamente ostili ai lavoratori né così fuori dalla loro possibilità d'uso, come sono le presse etc, anzi, si tratta di macchine in vendita, acquistate, diffuse e utilizzate, se non comandate, da migliaia di persone. Queste nuove macchine hanno invaso campi non inesplorati della ricchezza umana da parte della Borghesia.
Detenerne il comando però le trasforma in strumenti di produzione e accumulazione, parte proprietaria del capitale e quindi vanno ad accrescere la sua componente costante insieme alla forza lavoro se fosse ridotta a strumento.
La componente variabile verrebbe
così sensibilmente alleggerita dalle sue funzioni originarie e quindi
necessariamente utilizzata in termini diversi, in gran parte come motore di
immissione e capitalizzazione dei processi di finanziarizzazione che infatti
sono in crescita.
Se così fosse, il Capitale si
troverebbe nella condizione di modificare la propria struttura originaria,
propria dalla prima industrializzazione, ricomponendo in termini unitari e
comunque non distinti quella scissione tra componente costante e variabile
funzionale a una fase del suo sviluppo.
Così come l'esercito industriale di riserva si è trasformato in
termini funzionali mettendo sulla stessa linea lavoratori attivi e lavoratori
supplementari, attraverso una
riorganizzazione del lavoro che consente il saccheggio in termini
orizzontali, il capitale potrebbe non aver più necessità di una suddivisione ma
di una espansione circolare.
Anzi, questa ricomposizione del
capitale e non viceversa, potrebbe
essere la ragione del rivoluzionamento che ha comportato della nuova e
generalizzata modalità di lavoro e di
estrazione del plusvalore. Si sarebbero insomma rotte le righe da parte di
ambedue gli estremi della contraddizione tra Capitale e Lavoro e non solo in
termini unilaterali, su un solo fronte quello del lavoro, come ci appare dalla
lettura degli eventi. L'introduzione della macchina informatica, potrebbe aver
generato questo rivoluzionamento della composizione del capitale, così come
l'introduzione delle macchine meccaniche ne ha
determinato la forma che ad oggi ha avuto una relativa stabilità. Le
macchine informatiche possono far assumere porzioni crescenti di lavoro, di
lavoro di ideazione e collegamento, di circolazione delle informazioni su tutti
i campi.
Anche in passato questa ricchezza
data dalla conoscenza era a disposizione della borghesia, anzi la borghesia in
parte la produceva. Ma il dominio non è proprietà, non è "strumento di
produzione".
La capacità di ideare, progettare,
collegare, è patrimonio ad oggi inalienabile dell'umanità, pur
se da sempre questa facoltà, questa ricchezza, è stata, salvo eccezione, soggiogata o pagata.
Non è questione di poco conto se si pensa che la capacità di
ideare e progettare è una funzione primaria dell'umanità senza la quale nulla
la distinguerebbe dalle altre specie.
Nelle macchine informatiche risiede
una potenzialità simile a quella già esaminata per la forza lavoro, una
potenzialità che per brevità potremmo definire astratta ma una astrazione che
si può trasformare in concreti processi di accumulazione.
Del resto l'interazione tra astratto
e concreto è presente in Marx in termini costanti.
La straordinaria questione della
vendita di forza lavoro da parte dei lavoratori i quali non vendono una merce
ma l'intenzione astratta di una merce non ancora prodotta è emblematica.
L'astrazione che ha valenza di
concretezza e viceversa è uno dei luoghi teorici di Marx, ed è per noi un metodo per non smarrire oggi
il senso della materialità dello sfruttamento proprio nel mentre si ragiona di questioni che da questo
sfruttamento sembrano separate.
Infatti, se è vero che si continuano
a produrre merci, è ancora vero che queste "costano poco ma sono prodotte
con la carne umana" come ebbe a dire J.B.Byles nell'850.
Immettere questa potenzialità della
ideazione umana nel circuito dell'accumulazione, cosificare questa fonte di
ricchezza insieme al tempo di vita e alla natura, che già Marx nella Critica al
Programma di Gotha, definiva come l'altra fonte di ricchezza dopo il lavoro,
darebbe al Capitale una forza senza precedenti ma segnerebbe al tempo stesso la
sua certa implosione.
Dal frammento sulle macchine:
"la gran massa del capitale ha
assunto una tale forma da esistere senza profitto, sia come valore di scambio
che come valore d'uso fino al momento in cui viene a contatto con il lavoro
vivo, diventato costante"
E quando tutto divenisse strumento di produzione, quindi parte costante, senza che lo stesso Capitale si ridisegni, e quando anche lo facesse, la sua "contraddizione in processo" diverrebbe insostenibile. Si determinerebbe una potenza sociale prodotta dal proprio sviluppo enorme ma del tutto indipendente dal proprio controllo e quindi, a rigore di logica, ne conseguirebbe una implosione mortale.
Per sapere se è vero occorrerebbe
più che una analisi sulla natura del Capitale, sempre faticosa, una vera
autopsia in corpo vivo. Ma il Capitale, se non è dio non è neppure un essere
umano. Difficile andare oltre all'osservazione dei fenomeni devastanti che
produce sugli esseri umani, i quali
essendoci prossimi, sono almeno un po’ più comprensibili. Una questione
certa è la tendenza ad accrescere, nell'immediato, con l'introduzione delle
nuove macchine, la componente costante del Capitale.
Deve allora essere tenuto fermo il concetto che quando parte del
capitale variabile viene convertita in capitale costante, l'occupazione si
contrae, non può ridurre l'orario di lavoro, né rendere meno denso lo
sfruttamento degli addetti, né consente, se non per briciole, di distribuire
nessuna ricchezza.
Queste semplici cose devono essere ribadite perché sono il
repertorio classico e sempre smentito nei fatti di tutti i riformisti (non so
se il termine è ancora adeguato) e della borghesia illuminata, oggi sono
cavallo di battaglia elettorale del centro sinistra, ma non solo. La questione
dell'orario da ridurre, non per una battaglia di libertà che è sacrosanta, ma
perché aumentano i profitti è anche parola d'ordine del P.R.C come del resto la
questione della distribuzione della ricchezza per la quale si portano i
compagni in piazza.
Non scherziamo, anche nella pur utile propaganda politica, è
necessario distinguere coordinate sensate e percorribili da parole d'ordine
fuorvianti.
Confondere il Capitale con S. Martino che divide la cappa con i
poveri è improponibile per i comunisti
e per il buon senso, oltre che svolgere funzione di una inquietante
opacizzazione del carattere dell'avversario di classe.
L'avversario esiste ed è cattivo.
Per chi sta dall'altra parte, sarebbe utile cercare di comprendere cosa sta
accadendo sul fronte del Capitale e del Lavoro, individuare il passaggio di
frontiera, sperimentare con analisi e adeguate ipotesi la riaggregazione
sindacale, politica e, se si dice di tenere aperta la questione comunista,
avere un occhio alla prospettiva strategica.
Ogni giorno si presentano occasioni
di lotte e battaglie politiche che potrebbero contenere elementi, tracce, per
ricostruire in termini nuovi quanto è disperso.
Tutto, ad oggi, può incorporare il
Capitale fuorché la inattaccabile e inalienabile resistenza dell'umanità alla propria negazione totale, la
popolazione salariata eccedente e supplementare può
trovare forme di organizzazione,
aggregazione oggi impensabili e tentare la politica.
Certo, se ogni giorno ci sono
occasioni perdute, demotivazioni profonde, richieste di elemosine
redistributive, chi vince la partita è nei fatti come le responsabilità.
Sarebbe interessante sapere sulle questioni che ci si pongono, cosa ne pensa la sinistra buona e cattiva.
Ma, ovviamente, l'accordo mascherato
per le elezioni, sarà il rovello del 2000 e i rovelli di questa natura non
lasciano spazio né respiro. Infatti non si sente un alito di vento
sottocoperta.
Rimane comunque come buon tema alla
ragione di appassionarsi alla politica, tentare di studiare, pensare e agire,
anche nei limiti dati. Altri più capaci e nuovi, espressione diretta dello
sfruttamento e dei bisogni di oggi. La popolazione salariata, sfruttata,
eccedente formerà forse le proprie avanguardie, la propria organizzazione, la
propria forma della politica.
Chi è fuori dall'ambito della
omologazione politica ha il magro ma sufficiente vantaggio di poter tenere gli
occhi aperti, capendo il giusto di quanto accade, ma almeno provandoci.
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