Nervosismo
crescente sulle due sponde dell’Atlantico
Europa e
Stati Uniti: una collisione ineluttabile?
Sergio
Cararo
La
sintesi della nuova stagione delle relazioni tra Italia/Europa e Stati Uniti, è
stata recentemente riassunta da Giuliano Amato sulla Repubblica del 27 gennaio
– l’Europa deve cominciare ad agire come potenza regionale con proiezione
globale, gli USA devono rinunciare alla loro posizione ambivalente verso
l’Europa, i dubbi e le perplessità europee sullo scudo antimissile devono
essere prese in considerazione, occorre evitare che si creino blocchi monetari
commerciali regionali in conflitto tra loro – quanto esposto da Amato, indica
una agenda di priorità che dieci anni fa nessun membro europeo della NATO si
sarebbe mai sognato di avanzare.
Indicative
di questo scenario sono le recenti rivelazioni del settimanale “Panorama” (24
febbraio) sulla guerra segreta e senza esclusione di colpi che si sta
combattendo tra Italia e Stati Uniti in due settori strategici come il petrolio
e le telecomunicazioni.
I
processi in corso appaiono per certi aspetti ineluttabili. La costruzione
dell’Unione Europea, la sua unificazione monetaria, la costituzione di un
esercito europeo e la riorganizzazione dei poteri decisionali dell’unione (vedi
il Trattato di Nizza), danno il segno delle ambizioni dell’Europa a giocare un
ruolo di “superpotenza” – parole testuali di Prodi – nelle relazioni
internazionali ed anche in quelle con il vecchio tutore statunitense.
E’
chiaro che se qualcuno acquista una automobile da corsa, lo fa per correre a
velocità elevate e non per tenerla parcheggiata sotto casa. La costituzione di
un polo europeo e dei suoi apparati economici, politici, monetari, militari è
la macchina da corsa su cui è salita una parte crescente del capitale finanziario
e gran parte di quello radicato nel mercato interno europeo.
Specularmente,
l’irritazione dell’amministrazione statunitense emerge ormai sistematicamente
su quasi ogni aspetto della agenda bilaterale.
Sulla
questione delle armi all’uranio utilizzate dalle forze armate USA nei Balcani,
la posizione italiana e tedesca sulla moratoria – posizione rigettata dagli
altri paesi in sede NATO ma fatta propria dal parlamento europeo e dal
consiglio d’Europa – ha fatto imbestialire gli americani. Questa irritazione,
confermata da Luttwak in una recente intervista, si era già manifestata con
largo anticipo a dicembre in occasione del consiglio atlantico di Bruxelles.
In quella
occasione, il ministro statunitense della difesa uscente – Cohen – aveva
tuonato contro gli “infidi partners” per le ambizioni sulla autonomia
dell’esercito europeo, registrando al termine del suo intervento un imbarazzato
ed ostile silenzio prima dell’applauso di circostanza. Ma il Sunday Times rivela
che anche uno dei nuovi consiglieri di Bush, John Bolton, non ha fatto mistero
di ritenere la Forza di Reazione Rapida europea “una spina nel cuore della
NATO”.
Un altro
settimanale inglese – l’Observer – mette in guardia la leadership
europea: “Gran Bretagna ed Europa scopriranno che i rapporti con la nuova
amministrazione saranno tesi, ostili e improduttivi. La situazione sarebbe già
difficile se Bush avesse avuto un vero mandato. Senza, ci dobbiamo aspettare un
percorso davvero molto accidentato”.
Inoltre,
secondo Le Monde, lo stesso vice-presidente Dick Cheney non ha mai
nascosto la sua ostilità verso qualsiasi idea di Difesa Europea.
La “spina
della Difesa Europea”
Il Consiglio
Europeo di Helsinki del dicembre ’99, ha deciso di costituire un Corpo d’Armata
Europeo composto da 60.000 soldati con capacità operative a partire dal 2003 e
dotato di tutte le infrastrutture logistiche, di intelligence e comunicazioni
necessarie per renderlo operativo. In realtà i soldati che dovranno essere resi
disponibili saranno 180.000 per permettere il ricambio delle forze sul campo
almeno ogni due mesi.
I successivi
Consigli Europei (Lisbona) e il vertice di Nizza hanno fatto un ulteriore passo
avanti in questa direzione. Un vertice dei Ministri degli esteri e della Difesa
europei a Bruxelles a marzo dello scorso anno, ha discusso e approvato dei
documenti che prevedono:
a)
l’istituzione
di un Comitato Militare Europeo;
b)
la
definizione dell’organigramma di Stato Maggiore;
c)
l’individuazione
delle prime proiezioni degli “obiettivi di forza”;
d)
il
contributo in termini di uomini e strutture da parte di ogni singolo paese
europeo.
I ministri
europei a questo punto dovranno soprattutto definire chiaramente cosa intendono
per “Missioni Petersberg” ovvero il campo degli interventi militari all’estero.
I governi che
integreranno l’Esercito Europeo saranno chiamati a contribuire con tre livelli
di possibilità:
1)
da solo e
con i propri mezzi;
2)
insieme
alle strutture della NATO (e quindi insieme agli americani);
3)
nell’ambito
della NATO e insieme agli altri paesi NATO non appartenenti alla UE.
Javier Solana,
Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune Europea
(PESC), ha già chiarito ampiamente un anno fa questo passaggio di qualità. “Un
primo fattore è la disintegrazione dell’URSS che ha mutato radicalmente la
situazione strategica europea” ha detto Solana “Abbiamo davanti una
varietà di rischi che minacciano la stabilità europea senza tuttavia minacciare
l’essenza stessa delle nostre società… Il secondo fattore è il progresso
dell’integrazione europea e lo sviluppo di interessi comuni europei. Il
risultato è che gli Stati membri dell’UE vogliono acquisire gli strumenti
necessari a difendere questi interessi” (El Pais-La Stampa, 12 gennaio
2000).
Solana e i
dirigenti europei smentiscono continuamente che l’Europa voglia costituire un
esercito europeo sovranazionale né che abbia l’ambizione di creare una nuova
alleanza militare europea che competa o sostituisca la NATO, ma quando si nega
più del necessario di voler far questo o di voler far quello con l’obiettivo di
tranquillizzare i partner USA, si ottiene esattamente l’effetto contrario e si
rivela un obiettivo completamente opposto a quello dichiarato.
Il nervosismo
dimostrato a dicembre dal segretario alla Difesa USA Coehn (con il mandato
della amministrazione Clinton in via di esaurimento), conferma che l’aria che
tira tra i “partner trans-atlantici” non è più quella di qualche anno fa.
Gli Stati
Uniti non vedono affatto positivamente l’ambizione europea ad una forza
militare autonoma. Per questo insistono ad utilizzare la NATO come gabbia per
frenare questa tendenza ma soprattutto, sostiene Brzezinski, “come strumento
per il controllo dell’Europa” al quale gli USA non potranno mai rinunciare se
non a causa di un conflitto diretto o di una crisi verticale con i partners
europei.
Questa
posizione emerge chiaramente anche da un documento presentato dal Pentagono al
Congresso USA dal titolo “Divisione delle Responsabilità” in cui viene ribadito
testualmente che “L’Alleanza (la NATO, NdR) continua a servire come
insostituibile meccanismo per l’esercizio della leadership USA nella sicurezza
internazionale e per la proiezione della potenza e dell’influenza americana
attraverso l’Atlantico ed oltre”.
Anche la
consueta lamentazione del Congresso e dell’Esecutivo USA sulla ripartizione
delle spese per la sicurezza con gli alleati della NATO, nasconde una realtà
che vede gli USA fare pressione affinché gli alleati spendano di più ma questo
aumento delle spese militari serve solo a coprire i costi dei settori più
arretrati dell’Alleanza (logistica, basi militari ecc.) mentre gli USA
finanzierebbero solo i settori tecnologicamente più avanzati, spesso tenendone
fuori gli stessi “alleati”. L’adozione di standard di armamenti diversi nella
NATO non pone in competizione direttamente solo Europa e Stati Uniti ma la
allarga anche ai nuovi arrivati come i paesi dell’Europa dell’Est che sono
entrati o devono entrare nella NATO.
Impetuosa
concentrazione nell’industria militare europea
Parallelamente
alla escalation “politica” che ha portato alla nascita dell’Esercito Europeo,
in questi ultimi mesi c’è stata un’altra escalation che ha visto fusioni ed
acquisizioni tra tutte le maggiori industrie europee nei settori aeronautico,
aerospaziale, missilistico, radar e comunicazioni. Anche qui l’obiettivo
dichiarato è quello della competizione con i giganti del complesso
militare-industriale statunitense.
Le società
francesi, denunciano l’esistenza di un documento del Pentagono che pone il veto
alla collaborazione sulle tecnologie avanzate tra aziende USA e quelle di paesi
europei che sulla lista non figurano come “fidati”. Tra questi ultimi compaiono
solo Gran Bretagna e Norvegia. Mentre Germania, Spagna, Italia e soprattutto
Francia figurano in una posizione che non permette “collaborazioni”. Nel
giudizio di alcuni osservatori europei, l’esistenza di questa lista pregiudica
molte delle collaborazioni in corso ad esempio quella tra Areospatiale Matra
(francese) e Lockheed Martin (americana), quella tra Thomson-CSF e Raytheon per
il sistema di controllo ACCS destinato alla NATO oppure quella tra la tedesca
DASA e la Northrop Grumman (Air Cosmos, del 17 settembre 1999).
Fonti francesi
confermano l’obiettivo della competizione con gli USA nel settore aeronautico
soprattutto tra il consorzio europeo Airbus e il gigante americano Boeing. Nei
primi sei mesi del 1999, Airbus ha venduto 234 aerei contro i 120 della Boeing.
La competizione è stata durissima soprattutto sui mercati asiatici (Revue
Aerospaziale, settembre 1999).
Questo quadro
di competizione aperta e durissima è probabilmente alla base dell’esplosione
dello scandalo “Echelon” ovvero della rete mondiale di spionaggio sulle
comunicazioni messo in piedi dagli Usa con la collaborazione di Gran Bretagna,
Canada, Australia e Nuova Zelanda. L’ex direttore della CIA, Woolsey, in una
recente intervista al Wall Street Journal, ha confermato l’esistenza e il ruolo
di spionaggio di Echelon verso le aziende dei paesi europei perché “esse fanno
ricorso alla corruzione per ottenere commesse e contratti con altri paesi che
sono in affari anche con gli Stati Uniti”.
Il caso
Echelon è arrivato al Parlamento Europeo mettendo in serie difficoltà il
governo inglese accusato “di pugnalare alle spalle” i partners dell’Unione
Europea ma soprattutto di mantenere le sue relazioni speciali con gli USA
invece di aderire pienamente al programma di integrazione monetaria, politica e
militare europea.
Per affrontare
la sfida della competizione con le grandi società della produzione militare e
tecnologica degli USA, le maggiori aziende europee del settore hanno dato vita
ad un processo di concentrazione e fusione impressionante.
Negli Stati
Uniti nel giro di dieci anni (’85-’95) delle 15 maggiori società di
medio-grande dimensione sono rimasti solo quattro grandi gruppi: Boeing,
Lockheed-Martin, Northrop Grumman e Raytheon.
In Europa il
processo è cominciato in ritardo ma è ormai pienamente sviluppato.
“L’Europa
della difesa avanza ormai a grandi passi” commentava ad ottobre un quotidiano
finanziario italiano. Infatti appena una settimana dopo la creazione del grande
polo europeo dell’aereonautica EADS (European Aeronautic Defence and Space)
nato dall’alleanza tra Aerospaziale-Matra e DASA, le industrie europee hanno
dato vita al numero due mondiale nel campo della missilistica: il NMBD (New
Matra Bae Dynamics). Questa alleanza è composta da British Aerospace,
Aereospatiale-Matra e Finmeccanica (italiana).
Una nuova
fase di competizione commerciale tra USA ed Europa?
La nuova
amministrazione Bush, non fa affatto mistero di voler rivedere la politica
verso l’Europa e di puntare piuttosto a rafforzare il “polo delle americhe” in
contrapposizione con quello europeo ma con una procedura molto analoga. La
dollarizzazione a marce forzate dei paesi centro e latinoamericani (Ecuador,
Panama,Salvador, tra breve il Guatemala, dollarizzata nei fatti è anche
l’Argentina) corrisponde pienamente a questa logica.
A conferma di
questa tesi, non ci sono solo i discorsi elettorali di Bush o le indicazioni
dei suoi consiglieri. Ad esempio dei negoziati commerciali è stato incaricato
Robert Zoellik, il quale, come riferisce una fonte ben informata, "ha
sostenuto la necessità di rilanciare entro aprile una politica per il Nord e il
Sud America, con l'obiettivo di far avanzare un nuovo blocco commerciale che
vada oltre il Nafta" .
In
questo senso, il ventaglio delle guerre commerciali tra Stati Uniti ed Europa
si va sistematicamente allargando: dalla carne agli ormoni alle banane, dai
sussidi all'Airbus ai sussidi per l'export delle multinazionali USA, dagli OGM
alle proprietà intellettuali.
Tra
gli inviti a non sottovalutare l'amministrazione Bush (vedi Dornbush) nè il
rallentamento dell'economia americana (vedi De Cecco) e la crescente
soddisfazione di sé della classe dirigente europea manifestata al World
Economic Forum di Davos, possiamo aspettarci una fase assai più turbolenta che
in passato nelle relazioni tra le due sponde dell'Atlantico.