IN RICORDO DEL COMPAGNO BABUSCI

Serafino Quaresima

 

Il 30 marzo scorso è morto Francesco Babusci. Siamo stati compagni di lotta e di partito per trent’anni. Negli ultimi dieci ci siamo frequentati ed aiutati più di quanto, generalmente, avvenga tra fratelli.

Stento a scrivere in morte di Francesco come chi, evitando di parlare di un caro compagno estinto, si illude di continuare a vivergli accanto.

Di fronte alla morte di un compagno con il quale si sono condivise, per un lungo tempo e quasi quotidianamente, passioni, idee, azioni, vittorie e sconfitte è facile essere preda della retorica e perdere la lucidità e la sobrietà necessarie a raccontare, in modo giusto, la sua opera umana e politica.

La vicenda umana di Francesco Babusci è vicenda nobile, piena, ricca di sentimenti. Francesco era un uomo dotato di grande personalità, sensibilità, finissima cultura mai ostentata. La sua storia politica è altrettanto intensa: andrebbe esaminata a fondo e valutata con maggiore attenzione, molto al di là degli apprezzamenti ufficiali post mortem.

Francesco era un compagno esemplare, limpido, sempre pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Dotato di grande senso critico ed autocritico. Ideologicamente rigoroso, ma mai chiuso nelle torri del dogmatismo e del settarismo. Divenne militante comunista nei primi anni sessanta. Dopo aver lavorato in botteghe artigiane entrò come operaio nel 1968 in un’importante fabbrica romana: la “Contraves”. In poco tempo Francesco costruì, all’interno della “Contraves” il Consiglio di fabbrica. Successivamente negli anni settanta contribuì alla creazione dei Consigli di zona a Roma. Fu anche uno dei più importanti promotori delle lotte unitarie messe in campo da studenti e operai. Verso la fine degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta Babusci assunse posizioni critiche verso il moderatismo sindacale. Posizioni più radicali e combattive e critiche più severe verso la C.G.I.L. e, spesso, anche verso il P.C.I., partito al quale era iscritto già dalla prima metà degli anni sessanta, non gli impedirono di manifestare sempre la più ferma opposizione e condanna politica nei confronti delle B.R. e della lotta armata, giudicata come oggettivo nemico del movimento antagonista di massa e della partecipazione popolare al rinnovamento della Società e dello Stato.

Dopo la sconfitta dell’ottanta alla FIAT e il taglio dei punti di scala mobile attuato dal governo Craxi, la contestazione alla politica della C.G.I.L. e del P.C.I. crebbe. In quel periodo Babusci fu tra i promotori del movimento dei Consigli autoconvocati e delle grandi mobilitazioni operaie. La sconfitta subita dai lavoratori nel referendum sulla scala mobile, a causa anche del disimpegno e delle lacerazioni dei sindacati confederali, fecero maturare in Babusci la rottura con la C.G.I.L. La morte di Berlinguer, che accentuò il conflitto interno al P.C.I. e il prevalere di posizioni liquidatorie, fecero assumere a Francesco posizioni sempre più critiche verso il gruppo dirigente del P.C.I. Alla fine degli anni ottanta Babusci fu tra i fondatori della F.M.L.U. (Federazione Metalmeccanica Lavoratori Uniti). Nel 1991, consumatasi la liquidazione del P.C.I., Babusci fu tra i fondatori del Movimento della Rifondazione Comunista.

Il suo ultimo decennio di militanza politica in Rifondazione e nella istituzione regionale è denso di avvenimenti politici dei quali Francesco fu protagonista assoluto.

Nella fase magmatica della costituzione del movimento prima e del P.R.C. poi, Francesco fu ancora determinante, con le sue capacità aggregative e organizzative.

Presente al Brancaccio e al Palaeur; la sua adesione, come quella di altre/i compagne/i delle fabbriche, attestava la partecipazione di importanti settori del movimento operaio al tentativo di rifondare un movimento e un partito comunista.

Con il primo Congresso di Rifondazione, nel 1991, entrò negli organismi politici nazionali. Nel 1992 fu eletto nella segreteria della Federazione romana con l’incarico di seguire i problemi del lavoro. Nel 1993 le sue posizioni sui problemi del lavoro e del sindacato entrarono in collisione con le posizioni della segreteria nazionale. Babusci diede la dimissioni dalla segreteria della Federazione romana, ma continuò ancora più strenuamente la sua battaglia politica dentro e fuori il partito. Babusci sosteneva che si stavano realizzando, in quel momento (inverno 1992-93), a seguito delle manifestazioni dei lavoratori di tutte le categorie e dell’iniziativa del mondo studentesco e giovanile, le condizioni per dare una spallata al sindacalismo confederale e avviare, con il concorso del movimento che era in piedi, l’unificazione e il rafforzamento del sindacalismo antagonista e di base. D’altra parte anche all’interno della C.G.I.L. il 30% degli iscritti erano apertamente contrari alla linea del gruppo dirigente.

Dentro Rifondazione sostenne, insieme ad altri, una battaglia affinchè il partito rompesse il rapporto privilegiato e vincolante con la C.G.I.L. e guardasse con maggiore attenzione il sindacalismo autorganizzato e di base. Sapeva che non era una richiesta da poco, ma visto il quadro generale di allora, la dirigenza del P.R.C. poteva valutare con maggior discernimento politico questa possibilità. Ciò non avvenne.

Nel 1993 si aprì lo scontro nel gruppo dirigente del PRC che portò all’abbandono del segretario Garavini e alla segreteria del partito, nel successivo Congresso,  Bertinotti.

Dalla metà del 1994 a quasi tutto il 1995, Babusci, insieme ad altri compagni, si fece promotore di un tentativo difficile ma interessante: cercare, nelle diversità e nel rispetto delle organizzazioni di appartenenza, di confederare forze comuniste ed antagoniste di Roma e non solo. Per questo venne avviato il tentativo di istituire, sulla base di un programma politico e su un telaio organizzativo leggero ma stabile la “Convenzione anticapitalista”.

Posso testimoniare, essendo stato anch’io tra i promotori di questa operazione, che non c’era alcun tentativo di creare un nuovo partito ma di avviare un processo aggregativo di stampo politico tra forze antagoniste e comuniste sparse che avesse come perno centrale la stessa Rifondazione.

Non si mirava alla creazione di un partitino in competizione con il P.R.C., ma nemmeno ad un’indistinta sinistra plurale, si voleva creare una Confederazione di forze comuniste ed anticapitaliste.

L’operazione fu bollata da molti dirigenti piccoli e grandi del PRC. Qualcuno non la capì affatto, qualcuno la capì e s’impressionò. Sta di fatto che fu boicottata e calunniata.

Quando qualcuno, ricordando Babusci, accenna, quasi con ironia, al fatto che Francesco fosse un po’ stravagante tanto da candidarsi alla segreteria del partito nel Congresso del 1994 in alternativa al neo-iscritto Bertinotti, non considera bene quell’atto politico. Non fu solo una questione metodologica, quell’atto faceva riferimento al quadro politico che ho descritto: la battaglia sul sindacato, la concezione del partito, l’organizzazione delle lotte.

Quantunque fossero sproporzionati gli schieramenti che sostenevano i due contendenti non fu una boutade. Babusci è stato molto critico con il PRC. Lo è stato dentro gli organismi dirigenti, lo è stato all’interno delle istituzioni e nelle manifestazioni pubbliche davanti ai cittadini. Babusci, però, è rimasto sempre fedele al PRC che amava molto, perché amava i suoi militanti, i suoi iscritti, i suoi sostenitori.

Francesco non ha mai perso la speranza che all’interno di Rifondazione prevalesse un giorno quest’idea e questa politica di riaggregazione, innanzitutto, di tutte le forze comuniste ed anticapitaliste. Sapeva che l’unità di tutti i comunisti non basta da sola a risolvere i problemi ma era certo che quella era una condizione indispensabile per dare forza alle classi deboli e per avviare, da posizioni robuste, più larghe intese.

Nel 1997 io sono uscito da Rifondazione perché pensavo, invece, che in quel partito non ci fossero più le condizioni e le convinzioni politiche per avviare il progetto che mi ha accomunato a Babusci e ad altri compagni.

Di queste nostre diverse collocazioni in presenza di una comune volontà e di un  identico progetto ho parlato con Francesco fino a pochi giorni prima della sua morte.