Jeremy Rifkin   L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy

                                    Milano, Mondatori, 2000 (Saffi-Frontiera) pg. 405. £. 35.000

Paolo Mencarelli

 

Si tratta dell’ultimo lavoro di Rifkin, presidente della Foundation on Economic Teends di Washington e studioso ben noto al pubblico italiano soprattutto come autore del precedente La fine del lavoro. Con un linguaggio chiaro e accessibile il libro intende sostenere la tesi per cui “nella nuova era i mercati stanno cedendo il passo alle reti e alle proprietà è progressivamente sostituito l’accesso. Imprese e consumatori cominciano ad abbandonare quello che è il fulcro della vita economica moderna: lo scambio su un mercato di titoli di proprietà […] lo scambio di  proprietà fra compratori e venditori […] cede il passo a un accesso temporaneo che viene negoziato fra clienti e server operanti in una relazione di rete” (9-6-7). E’ probabile che Rifkin come ha già sottolineato Loris Campetti (“Il Manifesto”, 15 ago. 2000), tenda ad enfatizzare alcune tendenze comunque reali e soprattutto già operanti nelle realtà statunitense: fette sempre più ampie del mercato americano (ad esempio quello automobilistico) sono caratterizzate, attraverso la straordinaria diffusione dei sistemi di “Leasing”, non tanto dalle vendite di prodotti, quanto dalla cessione temporanea della disponibilità di beni comunque controllati da reti di fornitori. Proprio la “New economy” inoltre tenderebbe a rendere sempre meno importante la distinzione tra chi è proprietario di qualcosa e chi non possiede nulla, mentre il vero divario sarà sempre di più tra chi ha l’accesso al cyberspazio e chi non ce l’ha.

Assai efficaci le pagine della seconda parte del libro “recintare i territori comuni della cultura” in cui Rifkin tratta dei nuovi termini del rapporto cultura-comunicazione-consumo: turismo globale, industria dell’intrattenimento, commercializzazione estrema delle risorse culturali (arti, feste, sagre, pratiche spirituali) segnano, a parere dell’autore, una nuova frontiera per la stessa attività economica capitalistica. La “produzione culturale”, da intendersi in una accezione molto vasta fino ad investire ogni forma di mercificazione del divertimento e delle stesse relazione umane, sta già ora rivestendo un ruolo fondamentale nello sviluppo economico statunitense. Il fatturato di grandi multinazionali dei media (Time Warner, Disney, Sony, Polygram, Microsoft ecc.) ha ormai sopravanzato quello dei “vecchi giganti dell’era industriale” (Exxon, General Motors, Sears ecc.), mentre la diffusione di enormi centri commerciali ridisegna radicalmente gli spazi di socializzazione oramai improntati sul consumo individuale di prodotti o di “esperienze di vita”.

Ma le pagine più impressionanti per la nostra sensibilità di europei sono quelle che Rifkin dedica ai “Rapporti umani come merci, con una analisi attenta delle ultime tendenze dei circoli del marketing in cui si parla esplicitamente di “LIFETIME VALVE” degli individui-consumatori. Attraverso i processi di “fidelizzazioni” della clientela le grandi aziende tendono a creare dei nuovi generi dello stesso marchio aziendale puntando non solo sul prodotto, ma sull’insieme di relazioni sociali, amicali e al senso di appartenenza ad un gruppo di persone con mentalità simili.

A questo proposito Rifkin parla addirittura di “fase finale delle Relazioni capitalistiche di mercato” in cui aziende e marketing tendono non soltanto a vendere prodotti, comunque destinati ad una rapida obsolescenza, quanto alla costruzione di surrogati della sfera sociale: “La trasformazione della natura dell’attività economica della vendita dei beni alla mercificazione del rapporto con il cliente e alla creazione di comunità di consumatori segna un punto di svolta nelle modalità con cui viene gestito il commercio. La sfera economica sta ampliando la propria portata e aumentando la penetrazione in tutti gli aspetti dell’esistenza […] in questo mondo il possesso dei beni, benché ancora rilevante, sarà sempre meno importante rispetto all’accesso, a pagamento, a reti di interessi comuni, di relazione e di comunione […].

Essere abbonato, membro e utente, sarà altrettanto importante di possedere, e sempre più l’accesso, non il semplice possesso, sarà l’elemento determinante dello status sociale del singolo”. (p.151) Benché resti fondamentalmente limitata all’ambito USA, l’indagine svolta da Rifkin riguarda o riguarderà presto trasformazioni in atto anche nel “vecchio mondo” e ci pare possa fornire utili elementi di conoscenza soprattutto sul nesso consumo - stili di vita – cultura – immaginario non sempre adeguatamente indagato dagli studiosi italiani.