La Cena delle beffe al ristorante dell'Ulivo
Federico Giusti
La
vittoria del Polo alle elezioni del 1994 spinse la sinistra a riflettere sulle
ragioni della sconfitta e sui concetti ontologici, culturali e teorici sui
quali costruire la scalata al potere. Gli anni successivi hanno sgomberato il
campo dagli equivoci, il dibattito si é ben presto arrestato, le logiche
elettorali e di servitù ai dettami capitalistici esigevano patti elettorali e
desistenze politiche, retrive scelte economiche e sociali in linea ai dettami
di Maastricht.
Per
ragioni di buon senso e di opportunità politica, crediamo inutile partire dal
fortunato pamphlet di Bobbio[1] e dalle centinaia di articoli scaturite
da quella pubblicazione , che nei fatti é servita come paravento ideologico e
culturale per ogni genere di misfatto politico[2].
Sinistra
é ormai sinonimo di impulso alla innovazione e ad una flessibilità controllata,
coerentemente con le teorie della produttività e della partecipazione ai cicli
produttivi che tanti danni recarono negli anni ottanta.
La
scomparsa del Pci sancisce la crisi irreversibile di una sinistra indipendente
e capace di articolare proposte politiche, una sinistra che lega le proprie
sorti alla storia dei comunisti, ai loro successi elettorali e al radicamento
sociale tipico di una organizzazione di massa. Scomparsi o chiusi nel ghetto i
comunisti, la sinistra tradizionale ha
subito una metamorfosi con massicce dose di trasformismo. Tuttavia
pensiamo sia falso e storicamente inaccettabile il mito di una sinistra pura e
coerente con dettami anticapitalistici, una deformazione dei fatti storici e
del dibattito politico che consente il perdurare di luoghi comuni. Il Pci per
anni ha praticato un'egemonia culturale su aree attigue e comunicanti, ma
comunque distinte e identificabili con la cosiddetta sinistra. Con la nascita
del Pds, invece, le involuzioni della Quercia hanno fagocitato via via la
stessa sinistra che in breve tempo ha
rimosso alcune determinanti differenze culturali (pacifismo, antimilitarismo,
difesa del Welfare e della costituzione, tutela dei lavoratori e delle
categorie più deboli)
Tuttavia,
in nome della sinistra, intellettuali, giornali, politici e sindacalisti
continuano a proporre aggregazioni, riviste, circoli o cenacoli che vorrebbero
ridefinire percorsi attuabili per arrestare la deriva liberista; questo fitto
fumo ideologico suscita entusiasmi sempre più circoscritti e in aree
anagrafiche destinate alla pensione, oppure in salotti e istituti
autoreferenziali.
Ha
poco senso continuare a distinguere liberismo e liberalismo , l'eredità non solo di Gobetti ma perfino
quella dell'anticoncordatario Benedetto Croce rappresenta un modello di
coerenza intelletuale che ha poco da spartire con i Boselli, i La Malfa o i
Mastella di turno. E poi questa dicotomia cancella cinquanta anni di dibattito
e di scontri furibondi tra riformatori del
Welfare e teorici del libero mercato e del suo incontrollato predominio,
un dibattito che riempirebbe intere biblioteche perché non basterebbe un libro
solo per contenere le citazioni monografiche.
La
Rivista del Manifesto (numero Giugno 2000) continua a strillare per “un lavoro di ricostruzione della sinistra,
un coraggioso rinnovamento dall'alto e dal basso” , predica una svolta nei
Ds e nella Cgil come se da queste due organizzazioni continuassero a dipendere
le sorti progressive dei lavoratori e delle classi subalterne. Venti anni di
relazioni industriali e cinque anni di governo passati in rapida rassegna
bastano a distruggere residue speranze ed illusioni.
Se
non fosse per le ostinate e retrive posizioni clericali in occasione del Gay
pride, la sinistra solidale, libera e progressista non avrebbe avuto niente da
dire, dacché molti dei suoi esponenti continuano per altro a giudicare
inopportuna la manifestazione omosessuale, lasciando a Veltroni il ruolo di
paladino degli Homosex. In nome della sinistra, hanno guadagnato terreno il trasformismo politico, la
subalternità ideologica e culturale al capitalismo, le ragioni pseudoumanitarie
ed individualiste, ai danni di istanze collettive e sociali, a discapito di
ogni seria opposizione sindacale.
La
cultura della sinistra si avvale di bagagli retorici che propongono alleanze e
sinergie fino ad ieri impossibili. La sinistra vota la fiducia ai governi Filo
Nato e poi partecipa alle manifestazioni pacifiste, sostiene il Trattato di
Schengen, lo sfruttamento degli extracomunitari assunti al nero e con stipendi
da fame, ma poi parla di società multirazziale, condanna gli incidenti e le
morti bianche sui luoghi di lavoro, anche se poi accorda continui aiuti alle
imprese che dovrebbero finanziare gli interventi per la sicurezza e la tutela
della salute . La sinistra si erge a paladina dei giovani e degli anziani
mentre ai primi impone forme crescenti di precariato, ai secondi taglia i
servizi pubblici e prova a ridurre le pensioni, manifesta contro la svendita
della scuola pubblica, e contemporaneamente sostiene il governo che accorda
aiuti alle private , si parla di alti valori formativi, anche se la scuola
azienda diventa il solo modello da seguire con lo strapotere di presidi e
burocrati
E'
sempre la sinistra a preparare il nuovo Welfare dei miserabili su basi
assistenzialiste, difende la previdenza pubblica solo a parole perché entra in
affari con i fondi pensione (in Usa i fondi pensione investono in borsa e
acquistano società come una vera e propria multinazionale).
I
lettori a questo punto giudicheranno frettolosa e parziale la nostra analisi,
magari settaria, minoritaria ed estremistica, quindi proveremo ad introdurre
alcune riflessioni, attingendo da qualche articolo o libro apparso sulla
stampa. Lo scopo dell'excursus é quello di dimostrare che, solo manipolando la
storia e attraverso processi di rimozione collettiva, il concetto di sinistra
può avere ancora una sua fondatezza teorica e politica
I
riferimenti alla cultura di sinistra appaiono quanto mai fuorvianti perché sono
scomparsi testi, riviste e argomenti sui quali per anni si é fondata; dove sono
finiti Gramsci, Marx, Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, il cinema
impegnato, la solidarietà
internazionale, le riviste di settore che coniugavano l'impegno culturale con
la militanza politica in un partito o in un movimento?
Nelle
case editrici, nelle emittenti
pubbliche e private, nelle organizzazioni sindacali, politiche, nei circoli
culturali, nella stampa indipendente, in ogni ambito della vita collettiva,
oltre venti anni fa, é iniziata una feroce epurazione dei soggetti più esposti,
intellettualmente onesti e liberi dai giochi di partito; seimila detenuti politici,
centinaia di esuli, per non parlare poi della repressione quotidiana,
silenziosa, subdola e diretta verso militanti e organizzazioni di base per
rimuovere ogni traccia, ogni forma di resistenza, di non omologazione ai poteri
dominanti. La sinistra ha cancellato la memoria, riscritto le pagine del
Novecento attraverso la microstoria che ben si é prestata a denigrare la
Resistenza, fino all'utilizzo strumentale ed antistorico del concetto di
antifascismo. Non basta essere contro i fascisti per stare dalla parte giusta,
non si cancellano cinquanta anni di storia con operazioni ad effetto , non si
perdona/ giustifica l'avversario di classe a meno di non avere già deciso una
strategia subalterna ai grandi capitali.
Nel
1981 durante l'ottavo congresso nazionale Uil, l'allora segretario, oggi dei
Ds, Giorgio Benvenuto scrisse che erano maturi i tempi per un sindacato
protagonista e non più antagonista, passano pochi mesi ed inizia la campagna
contro la scala mobile. Ma la vera svolta avviene ancora prima, nel 1976/77 con
il compromesso storico tra Dc e PCI simultaneo all'intesa sindacale dell'EUR,
una svolta che non segna tanto il presunto tradimento dei lavoratori compiuto
dai riformisti, quanto la premessa per l'adesione italiana allo Sme (sistema
monetario europeo), il blocco dei salari, la messa in discussione dei
meccanismi di scala mobile, l'approvazione di contratti capestro e la
subalternità verso i licenziamenti degli anni ottanta. La Dc, il Psi e i loro
alleati comprendono, insieme al partito trasversale degli industriali, che
dilatando la spesa pubblica e attraverso i meccanismi di cassa integrazione é
possibile evitare lo scontro di classe, ridurre le spinte antagoniste perché
tanto poi saranno sempre i lavoratori a pagare in altro modo, vuoi con la perdita
del potere di acquisto, vuoi con la sconfitta del sindacato, fino agli anni
novanta con il passaggio al sistema previdenziale privato e con il contributivo
nel settore pubblico. La Cgil e il Pci sono consapevoli di queste grandi
manovre, in nome della lotta contro la crisi
troviamo un consenso vasto e diffuso alle ricette confindustriali, chi
accetta le spese pubbliche gonfiate in
cambio di poche briciole pochi anni dopo si erge a moralizzatore e grande
riformista, in perfetta coerenza con i dettami
capitalistici.
La
vertenza Fiat del 1980, il sostegno al pacchetto antiterrorismo passato da
legislazione emergenziale a legge ordinaria, l'invito alla delazione e alla
intesa con le forze dell'ordine porta all'arresto arbitrario e alla
persecuzione di centinaia di comunisti finendo con il reprimere ogni resistenza sui luoghi di lavoro , nelle università e nei quartieri.
Senza
la Cgil e il Pci, questo disegno capitalistico non sarebbe stato possibile,
senza il neocontrattualismo del biennio 1981/83 nessuno avrebbe potuto
attaccare e distruggere il meccanismo di scala mobile, proprio come accade nei
giorni nostri[3] Senza il Pacchetto Treu e la
legislazione a favore del precariato non saremmo mai giunti a pianificare la ormai prossima dissoluzione dello Statuto
dei lavoratori ,con piena libertà di licenziamento e una legge sulla
rappresentanza sindacale calzata su misura per il monopolio dei sindacati di
regime Cgil, Cisl, Uil, senza i codici di autoregolamentazione voluti dalla
Cgil nei servizi non sarebbe stata possibile la legge 146 e le successive
restrizioni del diritto di sciopero.
Dobbiamo
ringraziare proprio la sinistra di questi regali, il principio sociale della
flessibilità impone bassi costi e alti benefici, la finanziarizzazione
dell'economia impone logiche di mercato al vivere sociale, alla scuola e alla
sanità. Come sempre accade, da venticinque anni a questa parte, é la cosiddetta
sinistra ad aprire le porte ai processi di ristrutturazione, salvo poi vestire
i comodi panni dei paladini di diritti e conquiste che essa stessa ha
contributo a distruggere.
Diffidare
della sinistra non basta, serve di più, ossia rilanciare un percorso
organizzato dei comunisti contro il trasformismo politico e culturale, contro
la cultura della flessibilità oggi impersonificata dai santoni di turno (Foa, Trentin, Cofferati,
Veltroni), mandando a casa quel ceto politico che ruota attorno a Il Manifesto
responsabile di tanta confusione ideologica e illusioni su i poteri taumaturgici
di stregonerie politiche oggi ridicolizzate dalla politica e dall'economia
reale.
Un'ultima
parola su Rifondazione che rinuncia ad una strategia per inseguire le avventure
pseudomovimentiste, ora Carta e i Cantieri Sociali, ora La Rivista del
Manifesto, ora i cobas scuola anche se continua a privilegiare la Cgil, infine
il vecchio amore per la Rifondazione della sinistra, un espediente squallido
intriso dei soliti tatticismi finalizzati alle desistenze elettorali e agli
accordi come dimostrano le elezioni Regionali dell'Aprile 2000. Di più non
possiamo dire perché il copione seguito da Bertinotti é vecchio come il cucco,
tanto per usare una efficace metafora del dialetto toscano, rischieremmo di
ripeterci proprio come fa la sinistra da trenta anni a questa parte.
Pisa Giugno 2000
[1] N. Bobbio sulla rivista virtuale Caffè Europa
(www.caffeeuropa.it) bacchetta un intervento scritto a più mani da Manconi ed
altri ecologisti riaffermando la
legittimità dei diritti sociali riaffermando il ruolo dello Stato e della
politica come arte della mediazione. Come vediamo, la posizione di Bobbio per
quanto non condivisibile, conserva una sua coerenza di fondo e ribadisce alcune
pregiudiziali che ex rivoluzionari sono invece disposti a rimuovere con scarso
senso della storia e dell'economia. La
critica antistatalista di Manconi poi non aggiunge niente di nuovo, almeno
rispetto agli scritti di A. Bihr e della scuola francese. Liquidando lo
statalismo si butta il bambino con l'acqua sporca (Welfare, pensioni, sanità
pubblica), il dibattiro sui massimi sistemi e le venature libertarie ricordano
il conservatorismo di Proudhon ridicolizzato dal vecchio Marx. Su questi
atteggiamenti antimoderni rimandiamo alla lettura dei testi di A. Burgio.
[2]V. Foa, A. Ranieri
Il tempo del sapere domande e
risposte sul lavoro che cambia Einaudi
2000
Le tesi dei due autori non aggiungono niente di nuovo al dibattito
ma hanno il "merito" di
investire direttamente e al suo interno la Cgil. Oggi essere di sinistra si
riduce ad una condizione, ossia "se lavori con gli altri nel segno
dell'inclusione, non lo sei se pensi solo a te stesso nel segno
dell'esclusione". Ranieri parla in una intervista al quotidiano La
Repubblica del 21 Giugno di accogliere
la flessibilità nei rapporti di lavoro per soddisfare il cliente in tempi rapidi
e per promuovere la crescita professionale dei lavoratori. Il presidente
dell'Inail nell'aprile scorso, intervenendo in un convegno sulla sicurezza,
condannò invece la flessibilità come la principale responsabile degli incidenti
e di una organizzazione produttiva che rendeva sempre meno sicuro il
lavoro. Lo stesso Ranieri ipotizzando
nuove forme di tutela per i lavoratori asserisce che "lo Statuto dei
lavoratori non é più in grado di rispondere ai cambiamenti", quindi hanno
ragione i Confindustriali a volerlo cancellare insieme alle norme che
consentono al licenziato il reintegro .
[3]Consigliamo vivamente la lettura istruttiva di un
testo confindustriale edito da Il Mulino (M. Mascini Profitti e salari). Questa breve analisi delle relazioni
industriali tra il 1980 e il 2000 aiuta a comprendere l'indissolubile legame
tra scelte economiche e politiche. Nella vulgata della sinistra, anche quella
extraparlamentare, avremmo trovato verbose analisi o accuse di tradimento senza
cogliere le questioni essenziali senza le quali l'offensiva padronale appare la
sola causa delle sconfitte subite. A nostro avviso non c'è solo il capitalismo
ma anche una politica subalterna che é figlia della cultura riformista. Non a
caso oggi vengono pubblicate alcune lettere di Amendola dell'anno 1978, dove si
muovono obiezioni al sindacato del tutto identiche a quelle avanzate dalla
Confindustria e dall'Ulivo . Quindi, capiamo da dove provengono le accuse di
conservatorismo, di rigidità mosse ai lavoratori.