La legge di riordino dei cicli scolastici: ancora un passo verso la scuola-azienda

di Paolo Mencarelli

 

Sulla natura delle riforme berlingueriane, da quella dell'esame di stato alla parità tra scuola pubblica e privata fino alla recente riforma dei cicli scolastici sta aprendosi un dibattito finalmente pubblico, ben al di là del normale coinvolgimento degli addetti ai lavori. Le mobilitazioni e gli scioperi degli insegnanti degli ultimi mesi (vale la pena di ricordare almeno la grande manifestazione del 17 febbraio, lo sciopero del 30 maggio e il recente blocco degli scrutini del 12-13 giugno), animati soprattutto da Cobas , Gilda e Unicobas hanno del resto fatto emergere il disagio profondo e il malcontento, innanzitutto di tipo salariale, che investe ormai da anni una categoria di lavoratori dipendenti particolarmente colpita, molto più di quanto comunemente si creda, dai processi di trasformazione produttiva e culturale degli anni ottanta e novanta. Il 2 febbraio scorso, di fronte ad un senato ridotto alla metà dei suoi componenti e con 146 voti favorevoli e 65 contrari, è stata definitivamente approvata la legge quadro per il riordino dei cicli scolastici, senza dubbio uno dei tasselli fondamentali delle riforme della gestione Berlinguer. La legge prevede un ciclo primario di studi della durata di 7 anni ed un ciclo secondario di 5 per un totale di 12 anni di studio, in cui la scuola dell'obbligo si conclude con un biennio inserito nella scuola secondaria al termine del quale lo studente può scegliere se continuare la scuola secondaria nei "licei", divisi in quattro indirizzi, o frequentare una forma di apprendistato nella formazione professionale, che può cominciare anche dall'anno conclusivo della scuola dell'obbligo. Intanto occorre notare come di fatto si anticipi di un anno l'avvio di un'attività manuale-addestrativa (12 anni anziché gli attuali 13) proprio in un periodo in cui occorrerebbe consolidare almeno le basi dei saperi fondamentali, cioè di quel bagaglio di conoscenze linguistiche, umanistiche, matematiche e scientifiche, che possono permettere di elaborare un proprio punto di vista critico evitando un prematuro appiattimento dell'istruzione nella formazione professionale. Di fatto si torna ad una situazione per certi versi assai vicina a quella precedente il 1962, anno in cui fu superato l'avviamento professionale, considerato lo sbocco "naturale" dei giovani provenienti dagli strati sociali proletari, in favore della scuola media unica. Assai opportunamente nella relazione introduttiva al convegno appositamente dedicato all'analisi di questa legge, tenutosi a Roma il 7-8 aprile e promosso dal Cesp (Centro studi per la scuola pubblica), struttura legata ai Cobas , Anna Grazia Stammati ha messo bene in evidenza il carattere di continuità, ben oltre l'apparente "rottura epocale" contrabbandata dalla retorica nuovista berlingueriana, che questa riforma presenta rispetto alla precedente struttura scolastica di impronta gentiliana, precedente alle novità, anche legislative, . introdotte dalle lotte degli anni settanta. Innanzitutto la restrizione, formale e presto sostanziale, degli spazi di democrazia e di eleggibilità degli organi di rappresentanza viene oggi a sommarsi con l'accentramento dei poteri di controllo sul personale docente, in particolare nella figura del preside-manager, mentre i contenuti, i tempi fino alle stesse modalità didattiche vengono piegate sempre più esplicitamente alle esigenze della formazione, da intendersi come prevalentemente professionale e non cultuale e civile dello studente. Qualcosa sembra comunque muoversi nell'ambito delle forze del sindacalismo di base e dell'intellettualità critica, di sicuro alla fase di passività e apatia che ha contraddistinto per anni la categoria si è contrapposta negli ultimi una volontà di protagonismo che potrebbe preludere ad una più vasta opposizione alla politica del Centrosinistra sui temi della suola e della formazione.