Alcune considerazioni sul voto del 16 aprile

LA SCONFITTA DI D’ALEMA (E DEL SUO GOVERNO)

Leonardo Mazzei

Il governo D’Alema è stato spedito a casa dal voto del 16 aprile.

Un anno fa, esattamente negli stessi giorni di aprile, l’allora presidente del consiglio zittiva ogni dissenso sulla guerra affermando che "non si possono discutere tutti i bersagli".

Ma se i bersagli, umani e non, dei bombardamenti della Nato lo lasciavano indifferente, deve essere stato per lui meno piacevole essere diventato l’unico bersaglio della sua maggioranza parlamentare dopo la sconfitta alle elezioni regionali.

La ricerca fulminea del capro espiatorio è sempre indice della cattiva coscienza di chi la promuove, ma l’accusato – che aveva chiesto una sorta di voto di fiducia - in questo caso non poteva avere scampo.

Poiché al peggio non c’è limite, sembra (nel momento in cui chiudiamo il giornale) che il suo posto debba essere preso dall’ex segretario di Craxi, Giuliano Amato. Si tratta in tutta evidenza di un degnissimo successore, tagliatore delle pensioni e devastatore della sanità pubblica, potrà così realizzare gli obiettivi che D’Alema era soltanto riuscito ad enunciare.

La scelta di Amato ci offre una prima, chiara ed inequivocabile indicazione: il centrosinistra non può far altro che riproporre se stesso nell’unica veste che sa indossare, quella del puntuale contabile, dell’oculato gestore degli interessi di lorsignori.

Non è un caso del resto il continuo ricorso ai banchieri. Dopo Ciampi e Dini può darsi infatti che in futuro il centrosinistra si rivolga a Fazio, ma la scelta dell’ex ministro del Tesoro va comunque nella stessa direzione.

Il centrosinistra è questo, la "sinistra" – piaccia o non piaccia – è questa. Giova ribadirlo non fosse altro per prevenire le lacrime di chi implora un’impossibile palingenesi, lacrime che servono soltanto a preparare l'ennesima rifrittura della logica del "meno peggio" in nome della lotta alla destra.

La sconfitta di D’Alema è stata in realtà la sconfitta della sua coalizione di governo. E’ significativo come i suoi maggiori nemici interni (l’accozzaglia raccolta attorno ad un asinello assurto inopinatamente al ruolo di vendicatore delle truppe prodiane) abbiano subito un’autentica disfatta elettorale.

Questa sconfitta è arrivata dopo una campagna elettorale priva di contenuti, con tante facce sui manifesti, ma nessuna idea degna di attenzione. A un certo punto sembrava che le scelte degli elettori dovessero orientarsi sulla base della preferenza per la nave da crociera di Berlusconi, piuttosto che per la barca a vela di D’Alema.

Purtroppo non si trattava di uno scherzo, bensì della conferma del reale funzionamento dell’odierno mercato della politica, un mercato che ammette solo variazioni di gusto, ma non opzioni politiche veramente alternative.

L’americanizzazione delle campagne elettorali ha subito in questa occasione una forte accelerazione, alla quale le forze politiche si sono adattate senza alcuna difficoltà. D’altra parte, che fatica dover fare dibattiti, assemblee, comizi! Meglio una serata in discoteca e al ristorante, l’annuncio di fantomatici incontri con gli elettori al mercato (che naturalmente non si saranno accorti di aver incontrato nessuno), un bel "santino" patinato per posta, e via….a contare le preferenze individuali.

A questo andazzo non si è sottratto praticamente nessuno. Anche molti candidati del Pdci e del Prc hanno scelto di partecipare a questo carnevale, spesso con la richiesta di un voto non per il partito, ma per se stessi. Di conseguenza la lotta personalistica per le preferenze ha raggiunto vette sconosciute: non lo diciamo noi, lo ha affermato il segretario del Prc Bertinotti nella relazione alla Direzione nazionale post-voto, dove ha parlato di "una guerra di preferenze" all’interno del proprio partito.

Fatte queste brevi considerazioni, passiamo ora ad un esame più attento del voto che, come al solito, ci riserva diverse sorprese.

Il primo dato da valutare è quello delle astensioni. Così temute prima del 16 aprile, tanto da produrre esilaranti appelli terroristici al voto come quello promosso dal Prc in cui si affermava che: "il peggiore nemico per le forze della trasformazione e quindi della sinistra è l’astensionismo"; quanto sottovalutate nelle analisi del dopo-voto.

In realtà l’astensionismo è cresciuto, confermando la percentuale, considerata episodica ed eccezionale delle europee del ’99. Ha infatti partecipato al voto il 72,6% degli aventi diritto (alle europee il 72,2%) contro l’81,3% delle precedenti regionali.

Su 41.548.767 elettori interessati al voto, solo 30.191.708 si sono recati alle urne. Se agli 11.357.059 astensionisti aggiungiamo i 4.819.605 di schede bianche o nulle, otteniamo un totale di 16.176.664 persone che hanno deciso di non esprimere un voto, pari al 38,9% del corpo elettorale.

Tenere ben presente la portata di questo fenomeno è essenziale ai fini di una corretta analisi delle principali tendenze. Un solo dato ce lo evidenzia: se si calcolano i voti di Forza Italia - il partito che ha indiscutibilmente vinto queste elezioni - sul totale degli elettori, anziché dei voti validi, si scopre che gli italiani che hanno realmente scelto il simbolo di Berlusconi sono "solo" il 15,5%.

Un secondo elemento da considerare è quello dei reali rapporti di forza tra i due poli in cui è strutturato l’attuale mercato della politica (a proposito: che si tratti di un mercato, anche nel senso più squallido, ce lo dicono le attuali accuse e controaccuse sulla compravendita dei parlamentari).

In queste elezioni la vittoria di Berlusconi è stata calcolata anzitutto sul numero delle regioni in cui il centrodestra ha conquistato la maggioranza. Otto a sette è stato il risultato finale, mentre nel ’95 il centrosinistra aveva vinto nove a sei.

E’ questo però un modo assai approssimativo di determinare vincitori e vinti, dato che non ha senso, ad esempio, attribuire lo stesso peso al Molise e alla Lombardia.

Se si guarda al numero degli abitanti governati dai due schieramenti il vantaggio dei berlusconiani è assai superiore, rappresentando il 66,3% della popolazione. Ma già con le regionali del 1995 la popolazione governata dal centrodestra raggiungeva il 60,8%, eppure si era parlato di vittoria del centrosinistra.

L’unico metodo realmente oggettivo per valutare gli spostamenti è allora quello, ovvio ed elementare benché in disuso, di confrontare i voti dei due schieramenti e dei partiti che li compongono.

Il primo dato che se ne ricava (e che riportiamo in tabella), è apparentemente sorprendente: gli spostamenti tra i due poli sono stati minimi e si registra anzi una stabilità incredibile dal 1995 in poi.

RIEPILOGO

NAZIONALE

REGIONALI 2000

EUROPEE '99

POLITICHE '96

REGIONALI '95

CENTROSINISTRA + RIFONDAZIONE

43,9%

43,3%

44,1%

44,6%

CENTRODESTRA + LEGA

51,7%

45,1%

52,4%

47,5%

ALTRI

4,4%

11,6%

3,5%

7,9%

Confronto tra le liste raggruppate per area politica

Fonte

Ds

Come si può vedere il centrosinistra con Rifondazione aveva il 44,6% nel ’95, ha ottenuto il 43,9 quest’anno; lo schieramento di centrodestra più Lega è si passato dal 47,5% del ’95 al 51,7% del 16 aprile, ma aveva già il 52,4% nel ’96 (quando l’Ulivo vinse le elezioni del 21 aprile), mentre alle europee del ’99 era sceso al 45,1% ma la lista Bonino (evidentemente molto affine) aveva ottenuto allora l’8,7% dei voti contro il 2,2% attuale.

Insomma, la vittoria di Berlusconi non viene principalmente da un aumento di voti, ma fondamentalmente dalla ricomposizione unitaria dello schieramento che aveva vinto alle politiche del ’94 e che avrebbe rivinto a man bassa, se fosse stato unito, anche quelle del ’96, quando la Lega da sola superò il 10% dei voti.

Il successo politico del centrodestra è dunque innegabile, ma è più il frutto di rinsaldate alleanze, piuttosto che di una crescita di consensi. Ed anche questi ultimi sono aumentati non tanto attraverso la conquista di voti dall’altro schieramento, bensì con il risucchio del voto radicale (soprattutto con un flusso verso An invertito rispetto alle europee) e di quello della Fiamma di Rauti.

Se le cose stanno così ad Arcore e dintorni, è inutile dire che vanno assai peggio nello schieramento opposto dove nessuno può sottrarsi alla responsabilità della sconfitta.

In definitiva il voto delle regionali ha confermato quello delle europee, un risultato che probabilmente a Palazzo Chigi e Botteghe Oscure ritenevano occasionale e poco indicativo. In realtà il centrosinistra più Rifondazione è passato dal 43,3% del ’99 al 43,9% delle regionali, segnando un incremento troppo modesto per evitare una sonora sconfitta.

Il voto ai partiti, che rimane l’aspetto più interessante se si vogliono cogliere le tendenze di fondo, registra una tenuta delle forze più strutturate rispetto a quelle di opinione. Secondo i dati dell’Istituto Cattaneo i Ds hanno recuperato sulle europee 303.000 voti, il Ppi 271.000, il Prc 93.000, mentre i Democratici ne hanno persi 585.000 e i cossuttiani 51.000.

Nel campo opposto An ha guadagnato 548.000 voti, il Ccd 243.000, mentre Forza Italia ne ha persi 246.000. Da considerare infine il crollo verticale (al quale brindiamo anche in vista dei referendum del 21 maggio!) della Lista Bonino che ha perso 1.778.000 voti.

Quest’ultimo risultato dimostra che i consensi elettorali, benché manipolati come non mai, non sempre vanno di pari passo con lo spazio nei mezzi di comunicazione. Anzi – almeno in questo caso – la sovraesposizione massmediatica ha giocato un brutto scherzo al duo Pannella-Bonino: a volte insomma può essere meglio non farsi conoscere troppo! Un particolare che deve essere sfuggito al D’Alema dell’appello ai radicali per il voto "disgiunto"!

Un altro dato che ci interessa esaminare è quello del duo Prc-Pdci, un duo in perenne conflitto pur se inserito in 14 regioni su 15 nello stesso schieramento, quello dello sconfitto D’Alema.

Il Prc ha cantato vittoria dicendo di aver invertito la tendenza manifestatasi alle europee. In realtà, se assumessimo il confronto con le europee come unico criterio di valutazione, ne risulterebbe – come abbiamo già visto – un successo dei Ds e la stagnazione di Forza Italia!

In ogni caso Rifondazione ha recuperato sulle europee mezzo punto percentuale e 93.000 voti in valore assoluto. E’ da tenere presente però che ben 77.000 di questi voti sono stati conquistati in una sola regione, la Lombardia, dove il centrosinistra si presentava in un unico listone, favorendo così il voto ad altre liste collegate come quella del Prc (è questa una costante di tutte le consultazioni dove si presentano listoni di quel tipo). Quel che è più importante ricordare è che il minuscolo recupero di 93.000 voti è su un dato elettorale (quello appunto delle europee) che aveva visto un gigantesco tracollo di circa 1.800.000 voti (solo per un terzo attribuibile alla scissione cossuttiana) sulle politiche del ’96.

Sempre rispetto alle europee il Pdci ha perso lo 0,1% e 51.000 voti in valore assoluto.

Rispetto alle precedenti regionali il quadro si presenta assai pesante: la somma dei voti di Prc e Pdci raggiunge appena il 7,1% contro l’8,4% di Rifondazione nel ’95, mentre in termini assoluti la perdita è di 402.576 voti. Davanti a questi dati appare arduo parlare di "tenuta" o, addirittura di "inversione di tendenza".

Quello che emerge è piuttosto la conferma della profonda crisi dei due tronconi provenienti da un partito nato per rifondare il comunismo e ritrovatisi, pur seguendo percorsi diversi, a portare acqua al mulino della governabilità di D’Alema e soci.

Sui cossuttiani c’è poco da dire. Da tempo non sono altro che una delle tante componenti del centrosinistra, una componente che fa della tenuta del governo l’unica ragione di esistere, stretti ieri a D’Alema anche quando bombardava Belgrado, stretti domani ad Amato quando riprenderà lo scempio di quel poco che resta di "stato sociale".

Sul Prc il ragionamento è più complesso. Le acrobazie di Bertinotti possono forse tappare qualche falla nell’immediato, ma rendono quel partito assolutamente vulnerabile sul piano strategico, incapace com’è di collocarsi realmente al di fuori di quel bipolarismo che pure dice di voler combattere.

In conclusione, premettendo che sarebbe sbagliato considerare i risultati elettorali come lo specchio fedele della società che li esprime, sono possibili alcune considerazioni di carattere generale.

  1. L’astensionismo rimane in forte crescita. Si tratta di un astensionismo variamente motivato, ma che assume sempre più spesso una connotazione politica.
  2. Come Movimento per la Confederazione dei Comunisti ci siamo astenuti in queste elezioni, non per vocazione ma per necessità: la scelta del "meno peggio" non ci ha mai convinto, tantomeno poteva convincerci in un quadro di generale appiattimento nel modello bipolare.

    L’astensionismo non va enfatizzato, ma al suo interno è ormai ben riconoscibile la componente del rifiuto di quel modello, una componente che – per quanto passiva – esprime con il non voto il rifiuto delle forme autoritarie ed omologanti della Seconda Repubblica.

  3. Se il bipolarismo è rifiutato da una parte significativa del non voto, esso esce invece rafforzato dal tipo di voto espresso il 16 aprile.
  4. Il voto viene dato sempre più spesso a uno dei due poli, piuttosto che ai singoli partiti.

    Poche, e poco significative, le eccezioni alla regola delle "ammucchiate": così come il centrodestra si è ricomposto con la Lega e con la Fiamma, il centrosinistra ha inglobato il Prc con l’unica eccezione della Toscana.

    Una forte conferma dell’affermazione del bipolarismo viene poi dal crollo clamoroso della Lista Bonino che veniva accreditata come possibile terza forza.

    Si tratta insomma di un dato da valutare appieno, che mostra quanti passi in avanti abbia già fatto la controriforma istituzionale nell’indirizzare e modellare scelte e comportamenti individuali e di massa.

  5. L’americanizzazione culturale procede a vista d’occhio.
  6. L’azzeramento delle identità, l’appiattimento dei programmi e degli indirizzi politici, lascia ormai spazio soltanto a differenziazioni del tutto secondarie e di immagine. Il look del candidato prevale sempre più sui contenuti politici, la spettacolarizzazione delle campagne elettorali è la norma.

    Il maggioritario, insomma, benché ancora lasci insoddisfatti gli ultras alla Segni, ha dato ormai i suoi frutti velenosi.

  7. Queste elezioni preparano l’alternanza.
  8. D’altra parte il sistema bipolare non può farne a meno, pena la smentita del meccanismo dell’intercambiabilità. Si ha un bel gridare contro Berlusconi, ma chi sostiene il bipolarismo dovrebbe sapere che esso si regge su un’alternanza al governo di schieramenti tutt’altro che alternativi nei contenuti politici.

    E’ chiaro perciò che, prima o poi, toccherà anche al centrodestra governare l’Italia. L’unica cosa che davvero stupisce in tutto ciò è lo stupore di chi ha dichiarato l’Italia un "Paese normale", costruendo una Seconda Repubblica fondata sulla pregiudiziale anticomunista accompagnata dalla riabilitazione dei neofascisti di An.

  9. Inizia un anno incerto – a meno di una precipitazione della crisi verso le elezioni anticipate – in attesa delle politiche del 2001.

Un anno nel quale ad un centrodestra che cercherà di preparare e di preservare quella che sembrerebbe una vittoria annunciata, il centrosinistra cercherà di rispondere con un rinnovamento di leadership ed una maggiore coesione interna.

In questo quadro il Prc ripeterà presumibilmente la manovra dell’ultimo anno. Urla, strilli, accuse contro il governo per poi accordarsi in vista delle elezioni. Ma nel 2001 gli spazi di manovra si restringeranno, indipendentemente dall’esito dei referendum del 21 maggio.

Tutti sanno che la desistenza non è riproponibile e alle politiche non ci si potrà nascondere dietro la foglia di fico di "programmi locali più avanzati" come alle regionali.

Di fronte a questa situazione di ulteriore normalizzazione del sistema politico, ed alla prevedibile deriva verso di esso del Prc, i comunisti dovranno attrezzarsi per rendere visibile un’opposizione strategica al regime della Seconda Repubblica.

Il tema elettorale non è mai per i comunisti quello principale, ma non è neppure un terreno da abbandonare nelle mani dell’avversario di classe. In questo anno, incerto e inquieto, si deciderà anche questa possibilità di dare un segnale di lotta e di ricostruzione di una presenza comunista in Italia.