POTERE CENTRALE E AUTOGOVERNO

a proposito di Engels, del marxismo e delle istituzioni

Jacques Texier

 

Nell’ambito della discussione sullo Stato, l’imperialismo e la riorganizzazione dei comunisti oggi, avviata dal Convegno nazionale di Firenze del 20-21 maggio scorsi, riteniamo utile pubblicare su questo numero di “Rosso XXI°” la sintesi di uno scritto dello studioso francese Jacques Texier,
co-direttore della rivista “Actuel Marx”.

L’articolo originale uscì nel 1995 con il titolo “Les innovations d’Engels, 1885, 1891, 1895” mentre il testo che qui pubblichiamo ne costituisce una riduzione a suo tempo uscita sulla rivista “La Contraddizione” diretta da Gian Franco Pala.

Jacques Texier venne a Lucca  nel settembre del 1995, invitato dalla Federazione del PRC di cui ero segretario, per partecipare ad un convegno dedicato a Friedrich Engels nel centenario della sua morte.

Il contributo che il ricercatore marxista di Grenoble portò alla discussione era riferito allo stesso argomento ed anticipava un saggio più completo che Texier si stava allora accingendo a produrre e che ancora non è stato tradotto in lingua italiana.

Vale la pena, allora, ritornare su questa lettura altamente stimolante perché puntualizza la visione di Engels (e di Marx) sul problema dello stato, delle istituzioni e della transizione alla società comunista.

Francesco Giuntoli

 

 

Engels, in due occasioni tra il 1880 e il 1890, fu indotto a tornare sull’epoca della Lega dei comunisti  e della rivoluzione del 1848 (Marx e la “Nuova gazzetta renana, del 13.3.1884 e Qualche parola sulla storia della “Lega dei Comunisti” dell’8.10.1885). Il testo dell’Indirizzo del Consiglio centrale della Lega, del marzo 1850, fu ripubblicato da Engels nel 1885 con una osservazione nella quale la ben nota tesi di Marx [sviluppata nel 18 brumaio], secondo la quale la rivoluzione francese non avrebbe fatto altro che prolungare la precedente opera della monarchia assoluta, è rettificata da cima a fondo. Non fu la rivoluzione ma Bonaparte che instaurò forme di centralizzazione burocratica. La tesi sulla rivoluzione, accettata per lungo tempo da Marx ed Engels, era un’invenzione degli storici liberali e bonapartisti. La Prima repubblica era senza dubbio centralizzata; ma essa costruì a livello locale di comuni, circoscrizioni e dipartimenti, un notevole sistema di autogoverno o di autonomia amministrativa, che Engels prese a considerare come un modello.

<<E’ oggi un fatto riconosciuto – scriveva Engels – che durante tutta la rivoluzione, fino al 18 brumaio, l’intera amministrazione dei dipartimenti, delle circoscrizioni e dei comuni era formata da autorità elette dagli stessi amministrati che, nel quadro delle leggi generali dello stato, godevano di una completa libertà; e questa amministrazione autonoma provinciale e locale, simile a quella che si ha ora in America, divenne essa la leva più potente della rivoluzione, e lo divenne a un punto tale che Napoleone, immediatamente dopo il colpo di stato del 18 brumaio, s’affrettò a sostituirla con un regime prefettizio ancora in vigore ai nostri giorni, che rappresentò così, fin dall’inizio, uno strumento di reazione>>.

Fu solo dopo il colpo di stato del 18 brumaio 1798 che il futuro imperatore dei francesi soppresse le libertà locali introdotte dai giacobini e le sostituì con le autorità prefettizie. Un popolo che è comandato al vertice da un imperatore e alla base da prefetti subisce l'oppressione di una macchina statale burocratica che deve essere rotta da una rivoluzione. Questa è, per così dire, una precondizione per poter delineare un qualsiasi passaggio al socialismo. Nella prefazione all’edizione tedesca del 1872 del Manifesto Marx ed Engels affermavano che dopo la Comune di Parigi era necessario precisare che la classe operaia non poteva contentarsi di utilizzare la macchina dello stato così come l’aveva trovata per condurre a buon fine i compiti della trasformazione socialista. Ne risulta che la “Repubblica della Comune” è la forma specifica della dittatura del proletariato, se questa la si intende come una serie di misure coercitive che espropriano il capitale per una proprietà sociale. Ma d’altra parte, con le repubbliche democratiche non burocratizzate, come la Prima repubblica francese, si apre un nuovo orizzonte in materia di forma politica della dittatura del proletariato.

La preoccupazione costante dell’Indirizzo della Lega del 1850 era di assicurare su tutti  i piani l’autonomia del partito proletario nella rivoluzione permanente: autonomia ideologica, organizzativa, militare, elettorale, programmatica. La piccola borghesia democratica è un’alleata momentanea nella lotta che si va sostenendo, ma rimane fondamentalmente un nemico che occorre tallonare e battere, fintanto che gli obiettivi della rivoluzione proletaria siano pienamente realizzati. Codesta costante preoccupazione può sembrare ben comprensibile se si vuole assicurare l’autonomia politica del partito del proletariato, ma la violenza che essa implica potrebbe sembrare posta in un contesto completamente illusorio. Giacchè se un tale programma fosse totalmente irrealistico, quella violenza e quella durezza nella concezione dei rapporti politici con la democrazia piccolo-borghese si rivelerebbero semplicemente estremistici.

L’Indirizzo concepiva le divergenze sulle istituzioni come strettamente legate alle divergenze economico-sociali tra i due partiti: <<Per realizzare tutto ciò, ai piccolo-borghesi occorre una costituzione politica, democratica e repubblicana, che assicuri loro la maggioranza, assieme ai contadini loro alleati, e una organizzazione “comunale” democratica che metta nelle loro mani il controllo diretto della proprietà comune e una serie di funzioni attualmente esercitate dai burocrati>>. Più avanti, l’opposizione su tale questione delle istituzioni politiche era ripresa così: <<I democratici cercheranno, se non possono evitare la repubblica una e indivisibile, di paralizzare il governo centrale dando ai comuni e alle province il massimo di indipendenza e di autonomia. In opposizione a un simile piano, gli operai devono non solo perseguire la costituzione della repubblica una e indivisibile, ma anche cercare di realizzare, in tale repubblica, la massima centralizzazione nelle mani dello stato. Non devono lasciarsi fuorviare da ciò che i democratici raccontano circa la libertà dei comuni, del governo autonomo, ecc. Non si può tollerare che il diritto del cittadino del comune, che coesiste con quello del cittadino dello stato, si perpetui – grazie a continue deviazioni – a danno degli operai, attraverso una regolamentazione sedicente liberale>>.

In relazione a tale opposizione, definita nel 1850, tra i comunisti e il partito democratico sulla questione delle istituzioni, Engels confermò le sue opinioni in materia di centralizzazione, ma – di lì in poi – non solo assunse pienamente le esigenze di autonomia amministrativa dei democratici, bensì considerò il decentramento antiburocratico come la rivendicazione essenziale dei comunisti sulla questione dello stato. Il testo fondamentale di riferimento rimane l’introduzione del 1895 alle Lotte di classe in Francia, considerato a buon diritto come il testamento politico di Engels, in cui egli prese una grande distanza critica rispetto alle illusioni rivoluzionarie del 1848 riguardanti le possibilità di una rivoluzione “sociale” in Europa. [Ma già Marx, nel 1857, ebbe modo di definire così l’esperienza del ’48: <<Le cosiddette rivoluzioni del 1848 furono soltanto dei poveri episodi – piccole rotture e crepe nella dura crosta della società europea. Eppure esse resero visibile una voragine>> - ndr].

In un altro celebre documento, ripubblicato da Engels nella medesima circostanza – le Rivendicazioni del partito comunista tedesco, del marzo 1848 – ciò che interessava a Marx ed Engels, che dirigevano allora la Nuova gazzetta renana, che si qualificava come “organo della democrazia”, erano i rapporti di alleanza con le altre forze democratiche. Del resto, sul punto di programma relativo alle istituzioni, Engels nel 1895 prese ancora come modello i giacobini, proprio nel momento in cui i giacobini non erano più visti come quelli che si credeva che fossero: la loro Repubblica era bensì “una e indivisibile”, ma la centralizzazione vi si armonizzava con un fortissimo decentramento amministrativo costruito sul modello dell’autogoverno.

L’articolo di Engels su Marx e la “Nuova gazzetta renana” contiene preziose informazioni sullo spirito dei comunisti tedeschi che si presentavano come ala estrema del partito democratico. Essi intendevano difendere la loro concezione proletaria della democrazia, sapevano che non potevano sul momento adottare altro che un programma immediato dal contenuto limitato, avevano una grande intelligenza tattica, ma non potevano più nascondere chi fossero; ossia quelli indicati dal Manifesto come comunisti (tedeschi) che avevano concepito per il loro paese un programma di rivoluzione permanente, con una tappa democratica e una tappa “sociale”. Dunque, la questione che si pone è: che ne è delle conquiste democratiche della prima tappa della rivoluzione nel corso della seconda? Ma nel 1848 la questione non era tale soltanto dal punto di vista della democrazia, giacchè essa stessa risultava utopica nel senso peggiore del termine, dato che la rivoluzione comunista non era possibile.

Nella Germania del 1885, viceversa, dopo 35 anni di sviluppo industriale e di lotte del proletariato questa tattica sembrava applicabile. La rivoluzione democratica era ancora da fare, poichè si viveva sotto una monarchia bonapartista che esercitava una repressione legale contro il partito social-democratico. Così Engels parlava ancora del duro Indirizzo del marzo 1850 in termini estremamente positivi:  <<Codesto indirizzo, redatto da Marx e da me, presenta ancora oggi motivi di interesse, poiché la democrazia piccolo-borghese resta sempre il partito che, al prossimo ribaltamento della situazione europea, occuperà il potere immediatamente, senza riserva alcuna, per non lasciar cadere la società nelle mani degli operai comunisti. Su più di un punto, quello che dicevamo allora vale dunque ancora oggi>>. La lettera che Engels scrisse ad August Bebel l’11.12.1884 andava nello stesso senso. Engels lì considerava che il partito della “democrazia pura” è, in tutte le rivoluzioni, l’ultimo bastione della reazione.

D’altra parte, in una lettera a Eduard Bernstein del 22.9.1882, Engels intravvedeva a diverse riprese una possibile evoluzione politica di Clemenceau in direzione del socialismo, pur continuando sempre a difendere il principio essenziale dell’indipendenza politica del partito operaio anche nei riguardi del partito più a sinistra della borghesia. Non si poteva diventare, come gli operai inglesi, una “appendice” del partito radicale borghese. Ma in che cosa consisteva, allora, codesta repubblica alla Clemenceau?

Il programma di Clemenceau mirava a riformare le istituzioni dello stato in maniera da accordare una larga autonomia ai comuni e ai dipartimenti. Si trattava dunque di un programma che aveva l’ambizione di sopprimere la burocrazia. A questo proposito, rispetto alle idee espresse da Marx e da lui stesso sulla Comune di Parigi, è importante che Engels considerasse la possibilità che potesse realizzarsi una simile riforma senza una rivoluzione tale da rovesciare tutta la società. Tuttavia in una successiva lettera a Bernstein [8.10.1885] Engels scrisse: <<Ma dopo (ossia se i radicali prendono il potere) i radicali dovranno non solo mantenere le loro promesse sostituendo l’amministrazione napoleonica centralizzata con l’autonomia dei dipartimenti e dei comuni, quale si ebbe nel periodo 1792-1798, ma dovranno anche appoggiarsi ai socialisti. Non potremmo desiderare una situazione più favorevole>>.

Come si vede, a proposito dell’autonomia amministrativa, si pone qui anche la questione riforma o rivoluzione. Come di consueto, Engels era fondamentalmente scettico circa la possibilità delle riforme, ma finiva per considerarle. E ammetteva che una “forma politica” praticamente equivalente a quella inventata dalla Comune avrebbe potuto essere instaurata senza rivoluzione operaia. Così spiegava a Bernstein [1.1.1884] questa nuova forma politica inventata dai comunardi: <<Si tratta semplicemente della dimostrazione che è necessario per il proletariato vittorioso cominciare subito a dare un’altra forma al vecchio potere dello stato con tutta la sua burocrazia e la sua amministrazione centralizzata, e ciò ancor prima di servirsene per raggiungere i propri obiettivi>>.

In queste osservazioni engelsiane si tratta senza dubbio del caso in cui il proletariato è vittorioso dopo un’insurrezione. Ma, allo stesso tempo, Engels commentava come una riforma antiburocratica, ancorchè limitata, sarebbe stata la più grande rivoluzione a partire dal 1800. Dopo la Comune di Parigi, la “Costituzione della comune” descritta da Marx nella Guerra civile in Francia era considerata da Engels come l’unica forma politica adeguata per una trasformazione socialista della società (il cui contenuto storico sociale è indicato con l’espressione “dittatura del proletariato”). A partire dal 1891 egli ravvisava due forme politiche possibili: ancora quella della Comune, e quella della Repubblica democratica non burocratica. Ma se la prima era possibile solo a seguito di una rivoluzione a guida proletaria, sembra anche che l’instaurazione della seconda, che non è certo ancora il socialismo, fosse possibile attraverso le riforme.

 

Engels nel 1891, in una lettera a Kautsky del 21.6, criticò il programma di Erfurt [del partito socialdemocratico tedesco]. Fu in quella occasione che Engels si occupò anche di rendere pubblico il testo delle Glosse critiche al programma di Gotha scritte da Marx nel 1875. Non è più lecito ripetere la leggenda di Marx ed Engels teorici della politica senza una teoria delle istituzioni. Fa piacere qui citare un passo da dedicare a quanti ancora continuano a crederci. <<La costituzione del Reich, per quanto concerne la limitazione dei diritti riconosciuti al popolo e ai suoi rappresentanti, è una copia pura e semplice della costituzione prussiana del 1850; una costituzione in cui la reazione più estrema possa trovare la sua espressione in forma scritta, in cui il governo abbia tutto il potere effettivo, e in cui le camere con possano neppure respingere le imposte; una costituzione che, durante i periodi di conflitto, ha dimostrato come il governo potesse fare ciò che voleva. I diritti del parlamento del Reich sono esattamente gli stessi della camera prussiana: è per questo che Liebkneckt ha chiamato questo Reichstag la foglia di fico dell’assolutismo>>.

A proposito della Germania, dunque, Engels criticava coloro che, per evitare il ritorno della repressione, avrebbero voluto subito <<che il partito riconoscesse l’ordine legale costituito in quanto sufficiente a soddisfare tutte le sue rivendicazioni per via pacifica>>.

Tali rivendicazioni erano di due tipi: quelle che si riferivano a un sistema politico democratico e quelle che invece si rifacevano specificamente all’obiettivo del socialismo di un partito operaio. E si sarebbe voluto che questi due obiettivi potessero essere raggiunti pacificamente e legalmente nel quadro di un regime dispotico bonapartista! Per passare al socialismo (in Germania diceva Engels) occorreva <<far saltare il vecchio involucro, con la stessa violenza con cui il gambero rompe il proprio>>, senza parlare della necessità di <<rompere gli intralci dell’ordine politico ancora semi-assolutista>>.

Concatenando la trasformazione politica con quella socio-economica si considerano due rivoluzioni, l’una delle quali si prolunga nell’altra, secondo lo schema della rivoluzione permanente. Se il ricorso all’insurrezione non risultasse possibile senza correre il rischio di un massacro del movimento operaio (dato il carattere reazionario dell’impero tedesco), occorrerebbe inventare qualcos’altro, una nuova tattica capace di aggirare questa difficoltà senza rinunciare agli obiettivi finali: ma in ogni caso non ci si possono raccontare storie circa le possibilità di una via legale e pacifica di trasformazione politica e sociale.

Engels indicò tuttavia qualcosa di nuovo per quei paesi in cui si poteva ravvisare come possibile il passaggio pacifico al socialismo. <<Si può concepire che la vecchia società possa evolvere pacificamente verso la nuova in quei paesi in cui la rappresentanza popolare abbia tutto il potere; laddove, secondo la costituzione, possa fare ciò che vuole, avendo dietro di sé la maggioranza della nazione. Ma in Germania, dove il governo è pressochè onnipotente, dove il parlamento e gli altri organi rappresentativi sono senza poteri effettivi, pensare queste cose, e senza alcuna necessità, significa solo togliere la foglia di fico all’assolutismo per coprirne le nudità col proprio corpo>>.

Engels parlava con grandissima precisione di sistemi politici in cui la rappresentanza popolare avesse tutto il potere in confronto a quelli in cui fosse invece impotente di fronte all’esecutivo. Sapeva che quei sistemi istituzionali risultavano dall’attuazione di una costituzione, pur sapendo altresì come spesso occorra una rivoluzione per cambiare radicalmente una costituzione. E’ la natura stessa delle istituzioni politiche che porta a considerare la possibilità o meno di un passaggio pacifico al socialismo. Ciò che diceva Engels è estremamente importante, perché enunciava dei criteri che prendevano le mosse dalle trasformazioni avvenute nell’ultimo quarto del secolo scorso, incidendo sulla riflessione relativa a una nuova tattica per il movimento operaio.

In quello stesso periodo Engels continuava a pensare che una rivoluzione fosse necessaria sul continente, una rivoluzione europea, attraverso un contagio rivoluzionario tra i differenti paesi. Ma il ricorso alle armi era visto con sempre maggiore circospezione: esso è possibile solo quando sia raggiunta tutta una serie di precise condizioni politiche, che assommano tutte alla conquista dell’egemonia. Inoltre, lo spettro di un colpo di forza preventivo da parte delle classi dominanti, con provocazioni e massacri, preoccupava Engels. Lo scontro armato era visto in una sottile combinazione con l’utilizzazione del suffragio universale, come mezzo di organizzazione e termometro preciso per valutare i rapporti di forza e il momento opportuno in cui non fosse più suicida affrontare una prova di forza.

Ciò che in quelle circostanze appariva ormai chiaro era che non già un’offensiva armata del proletariato, bensì una sua vittoria legale, non sarebbe accettata dalle classi dirigenti, che andrebbero allora considerate come ribelli. In un paese dispotico completamente burocratizzato, la violenza rivoluzionaria è però indispensabile, ma il suo uso è estremamente delicato. Occorre attendere il momento opportuno, e nell’attesa saper procedere legalmente e pacificamente, eludendo tutti i trabocchetti predisposti dalle classi dominanti, sempre pronte a ricorrere alla violenza estrema. Engels, appunto, aveva due grandi preoccupazioni: quella di una provocazione seguita da un massacro e quella di una guerra mondiale dagli esiti imprevedibili. <<Una cosa assolutamente certa – scriveva Engels – è che il nostro partito e la classe operaia potranno arrivare al potere solo nella forma della repubblica democratica. Quest’ultima è anche la forma specifica della dittatura del proletariato, come è stato già mostrato dalla grande rivoluzione francese>>. Lenin affermava in effetti che qui veniva richiamata la ben nota tesi di Marx ed Engels sulla repubblica democratica come terreno sul quale si sarebbe svolto lo scontro finale tra la borghesia e il proletariato. Ma quella che si chiama “dittatura del proletariato” sarebbe stata attuata in una forma politica ben precisa e storicamente conosciuta: la repubblica democratica.

Stando in un paese dispotico – concludeva Engels – in cui era vietato per legge parlare di repubblica democratica, occorreva almeno rivendicare <<la concentrazione di tutto il potere politico nelle mani dei rappresentanti del popolo>>: il sistema istituzionale così definito fu utilizzato durante la rivoluzione francese. In quale forma politica specifica? Sulla forma della repubblica(la forma della forma) Engels argomentò con forza e sottigliezza sull’opportunità, secondo il paese, tra l’opzione della repubblica federale e della repubblica unitaria. <<Dunque, repubblica unitaria. Ma non nel senso dell’attuale repubblica francese, che altro non è che un impero del 1798 senza imperatore. Tra il 1792 e il 1798 ogni dipartimento francese, ogni comune, ebbe la sua completa autonomia amministrativa>>. Engels diceva ai liberali: non fu la rivoluzione francese a continuare l’opera della monarchia assoluta, per ciò che concerne la questione dell’autonomia amministrativa. Tale continuità è solo tra monarchia assoluta e impero.

E’ importante capire che Engels, a proposito della Terza repubblica (francese), continuava a tener ben presente la distinzione tra forma politica e contenuto di questa forma. In una lettera a Bernstein (27.8.1883) scriveva: <<La lotta tra borghesia e proletariato si può regolare definitivamente solo entro la repubblica. Se condizioni favorevoli e un passato rivoluzionario hanno aiutato i francesi a rovesciare (Napoleone III) Bonaparte e ad affermare la repubblica borghese, il risultato è che i francesi hanno questo vantaggio rispetto a noi, che ci troviamo in un guazzabuglio di semi-feudalesimo e di bonapartismo, di possedere già la forma politica entro la quale la lotta deve essere portata fino alla sua conclusione. Una restaurazione non potrebbe avere come conseguenza che di rimettere all’ordine del giorno la lotta per il ripristino della repubblica borghese.

Il mantenimento di tale repubblica significa al contrario una crescente esacerbazione della lotta di classe diretta e senza veli tra proletariato e borghesia, fino alla fase critica. Nelle nostre condizioni il risultato immediato della rivoluzione non può che essere, per quanto concerne la forma, la repubblica borghese, innanzitutto per conquistare al socialismo rivoluzionario la grande massa degli operai, mentre tutti i partiti di centro, diversi dal nostro, si autodistruggono>>.

In questa lettera Engels tese a incidere su quel punto di vista che sottostima l’importanza della repubblica borghese, mentre altrove criticò le tendenze opposte che sovrastimano il ruolo della repubblica per la rivoluzione socialista. In una lettere del 6.3.1894 a Paul Lafargue, l’obiettivo primo di Engels era combattere contro le illusioni eccessive dei francesi circa l’importanza della forma repubblicana. A proposito delle illusioni di Jaurès, che presentava come socialista un progetto di monopolio statale d’acquisto del grano, Engels criticò codesta forma di “socialismo di stato” che il partito socialdemocratico (tedesco) aveva già conosciuto una dozzina d’anni prima sotto il regno di Bismarck. Come!, diceva Engels, voi vorreste affidare al governo, che è il comitato esecutivo della maggioranza parlamentare che rappresenta gli speculatori di ogni risma, il controllo dell’acquisto del grano! Volete regalar loro nuovi mezzi per depredare la ricchezza della nazione, dando loro il controllo delle finanze pubbliche!

Come già aveva scritto qualche mese prima a Friedrich Sorge: <<la forma repubblicana è soltanto la negazione semplice della monarchia; la vostra repubblica e le nostre monarchie sono la stessa cosa di fronte al proletariato>>. La repubblica borghese come fase intermedia necessaria sparisce nella tormenta degli scandali finanziari.

<<La repubblica, riguardo al proletariato, differisce dalla monarchia solo per il fatto che costituisce la forma politica bell’e pronta per il futuro dominio del proletariato. Ma la repubblica, come ogni altra forma di governo, è determinata da ciò che contiene; fintanto che essa è la forma del dominio borghese, ci è ostile come qualsiasi monarchia (tranne che per la diversità delle forme di tale ostilità).E’ perciò un’illusione del tutto gratuita scambiarla per una forma socialista in quanto tale; tanto da affidarle compiti socialisti, anche quando è dominata dalla borghesia. Potremo strapparle delle concessioni, ma giammai assegnarle l’adempimento dei nostri compiti. Anche se potessimo controllarla con una minoranza talmente forte da trasformarsi un giorno in maggioranza>>.

La polemica con gli ex-radicali ha un tono sarcastico, mettendo l’accento sull’identità di contenuto tra monarchia borghese e repubblica borghese. Engels sottolineava una caratteristica essenziale della Terza repubblica, cioè che tutto il potere era concentrato nella rappresentanza nazionale e che, di conseguenza, il suo contenuto poteva cambiare insieme al cambiamento dei rapporti di forza politici: quando fosse dominata dal proletariato essa avrebbe il contenuto della “dittatura del proletariato”. Forma repubblicana più contenuto proletario uguale “repubblica sociale”. La frase finale di questa lettera di Engels indica una situazione intermedia nella quale il partito del proletariato non ha ancora la maggioranza in parlamento, ma costituisce una minoranza sufficientemente forte per trasformarsi presto in maggioranza. In un caso simile, sembrerebbe dire, anche senza detenere il potere, possiamo controllarlo, e di conseguenza si può anche ravvisare qualcosa di più che l’ottenimento di semplici concessioni.

 

Nell’introduzione del 1891 alla Guerra civile in Francia, Engels affermò chiaramente che la “repubblica sociale” del proletariato non era all’ordine del giorno. <<Dopo ogni rivoluzione, fatta versando il sangue degli operai, si accende una nuova lotta che finisce con la loro sconfitta>>. Una tale formulazione ha l’andamento di una legge di natura, che fa della classe operaia un alleato scomodo della borghesia, tanto che questa lo deve schiacciare dopo la vittoria. Nel 1848, l’intervento del proletariato fu decisivo e ciò che ne risultò fu la repubblica, <<la repubblica “sociale”, come la chiamarono gli stessi operai>>. Ed Engels aggiungeva: <<Che cosa si dovesse intendere per repubblica sociale non lo sapeva nessuno, neppure gli operai stessi>>. Tuttavia, ancorchè in maniera confusa, la lotta per eliminare l’antagonismo di classe tra capitalisti e operai appariva chiaramente. Ma con il riferimento alla Comune di Parigi la rievocazione della sua fine mostrava un massacro ancora più sanguinoso.

Riflettendo sugli avvenimenti e sui soggetti di quella rivoluzione proletaria, Engels scriveva:<<La distruzione del potere statale così come si presentava e la sua sostituzione con un potere nuovo, veramente democratico, sono descritti dettagliatamente nella terza parte della Guerra civile in Francia. Ma è necessario considerarne alcune caratteristiche poiché (in Germania, in particolare) la superstizione dello stato è passata dalla filosofia alla coscienza comune della borghesia e anche di molti operai>>. Si ricordi che quando Marx parlò per la prima volta di “dittatura rivoluzionaria del proletariato”, verso la fine della rivoluzione del 1848, lo fece citando Blanqui.

Nell’introduzione del 1895 – il suo “testamento politico” – alle Lotte di classe in Francia, Engels aggiunse delle osservazioni al testo marxiano proprio per quanto concerneva i blanquisti. <<E che fece la Comune che, in maggioranza, si componeva proprio di blanquisti? In tutti i proclami ai francesi della provincia essa li invitava a una libera federazione con Parigi di tutte le comuni francesi, a un’0rganizzazione nazionale che, per la prima volta, avrebbe dovuto essere effettivamente creata dalla nazione stessa. Era proprio la forza repressiva del governo centralizzato, l’esercito, la polizia politica, la burocrazia, creati da Napoleone nel 1798 che dovevano essere rovesciati dappertutto, come era già avvenuto a Parigi>>. La libera associazione delle comuni francesi con Parigi, e la distruzione della forza repressiva del potere centrale creato da Napoleone I, rimanda alla Prima repubblica francese che servì ad Engels per la critica del programma di Erfurt.

Engels doveva avere coscienza della profonda novità prospettata, allorchè concludeva: <<I filistei socialdemocratici sono stati recentemente afferrati da un sacro terrore sentendo pronunciare l’espressione “dittatura del proletariato”. Ebbene, signori, volete sapere di quale dittatura si tratti. Guardate la Comune di Parigi. Quella era la dittatura del proletariato>>. Eh sì! Si stenta a credere che la dittatura del proletariato dia la “vera democrazia” descritta da Marx nella terza parte della Guerra civile in Francia. Sia chiaro, non è solo una “vera democrazia” per il fatto che strappa il potere economico e politico dalle mani della borghesia, è una vera democrazia perchè il popolo governa con un nuovo sistema istituzionale che non lo depriva del potere: la Costituzione della Comune.

Occorre perciò non stupirsi se, nelle riflessioni di Engels sulla portata storica della Comune di Parigi, lo schema teorico dell’autonomizzazione  degli organi pubblici nei confronti della società occupi un posto di rilievo. Engels tornò sulla questione a più riprese: <<In che è consistita, finora, la caratteristica dello stato? La società aveva creato, a partire dalla semplice originaria divisione del lavoro, propri organi per occuparsi degli interessi comuni. Ma, con il passare del tempo, codesti organismi, al cui vertici si poneva il potere dello stato, si erano trasformati, per difendere propri interessi particolari, da servitori della società in suoi padroni>>. Non è possibile comprendere appieno il tema dello stato che diventa un organo di classe, se non se ne considera l’opposta origine. Tanto più che gli stessi stati di classe raramente rinunciano a occuparsi, in qualche maniera, di quegli interessi comuni, quale loro fonte di legittimazione.

Oltre al tipo della Prima repubblica francese, Engels citava anche la repubblica americana. Tuttavia, già nell’introduzione alla Guerra civile in Francia, formulò con maggior precisione la critica del modello americano. <<E’ proprio in America che si può vedere meglio come il potere dello stato pervenga all’indipendenza rispetto alla società, di cui originariamente avrebbe dovuto essere strumento>>. Per sottrarsi al giogo della partitocrazia americana, Engels ripropose i rimedi, a suo avviso sovrani, adottati dalla Comune: elezioni a suffragio universale in ogni situazione, con revoca possibile i qualsiasi momento e indennità pari al salario operaio. Proprio la difficoltà della questione spiega perché Engels (come, per altri versi, già Marx) continuasse a conservare un “jolly” imbattibile, di cui chiunque potesse pensare qualsiasi cosa: la teoria del deperimento dello stato.

E’ all’inizio dello stesso anno 1891 che Engels, si è detto, rese pubbliche le Glosse critiche di Marx al programma di Gotha. Si sa anche che lì Marx riprese il concetto di dittatura rivoluzionaria del proletariato. <<Tra la società capitalistica e la società comunista, si colloca un periodo di trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. A esso corrisponde un periodo di transizione politica ove lo stato non sarebbe altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato>>. Perciò rimproverava al partito di aver dimenticato un punto centrale allorchè formulava le proprie rivendicazioni democratiche: <<tutte codeste belle piccole cose implicano il riconoscimento di ciò che si chiama sovranità popolare, che dunque stanno al loro posto solo entro una repubblica democratica>>.

Non ci si può confondere, a questo proposito, con il sarcasmo di Marx rivolto contro le “litanìe democratiche” che il partito socialdemocratico prende in prestito dai partiti democratici della piccola borghesia. Marx si beffava di un partito che da un lato era pietrificato nella superstizione dello stato, caratteristica dei lassaliani, e dall’altro in quella della democrazia, tipica della piccola borghesia. Egli difendeva la specificità del partito operaio, nondimeno difendendo fortemente al contempo un programma minimo democratico. Peraltro, anche se Marx non diceva niente sulla forma politica della dittatura del proletariato, ne forniva tuttavia un principio generale capace di dare un orientamento per la determinazione di una tale forma politica che sia adeguata all’emancipazione del proletariato. E lo forniva in relazione alla parola d’ordine sullo “stato libero” presente nel progetto di programma: <<la libertà consiste nel trasformare lo stato, da organismo che è posto al di sopra della società in un organismo completamente subordinato ad essa>>.

Ma, <<quali trasformazioni subirà lo stato in una società comunista? Ovverosia, quali funzioni sociali saranno analoghe alle attuali funzioni dello stato?>>.

Uno dei problemi della teoria politica di Marx ed Engels è che non basta dire che la dittatura rivoluzionaria del proletariato caratterizza, dal punto di vista dei contenuti, la fase storica della trasformazione sociale: occorre anche precisare quale sia la forma politica in cui essa si attua. Dopo la Comune di Parigi si ha una prima risposta a questo problema di forma. Il catastrofico vuoto formale che si rimprovera al marxismo in materia di istituzioni scompare.

Per condurre a termine la rivoluzione socialista, il proletariato ha bisogno di una forma di politica democratica che è stata inventata dalle rivoluzioni precedenti. Occorre quindi istituirla allorchè non esista e conservarla (o perfezionarla) quando esista già. Tutt’altra questione è sapere quali siano le forme di lotta, legali e illegali, pacifiche e violente, quali le tappe (se sono più d’una) e quali le alleanze (nelle diverse tappe) per raggiungere il risultato finale.

A volte, osservava Engels, è meglio tacere per non finire in prigione, ma bisogna essere particolarmente stupidi per impegnarsi a rispettare per sempre l’ordine legale esistente. Il ricorso alla violenza è senza alcun dubbio necessario per conquistare sia la democrazia sia il socialismo.

Il problema consiste solo nel sapere in quale momento sia possibile impiegare quella violenza per uscire vittoriosi dalla prova di forza. La violenza rivoluzionaria ha una forma: una forma democratica.