Pubblichiamo questo articolo pervenutoci da un compagno del Movimento Antagonista Toscano presente alla manifestazione di Praga
Giungiamo
alla frontiera della Repubblica Ceca la mattina del 22 settembre; siamo in sei
a bordo di un camper, noleggiato per partecipare fin dai primi giorni al
controvertice di Praga e ai lavori preparatori della manifestazione del 26.
Mentre i passaporti vengono controllati, una poliziotta procede ad una sommaria
perquisizione del camper; dopo pochi minuti possiamo ripartire. Visto il
precedente di alcuni attivisti bloccati alla frontiera, per evitare qualsiasi
tipo di problema avevamo stabilito di non portare con noi alcun materiale
politico.
Entriamo nella
città di Praga nel pomeriggio e, transitando per una delle principali vie di
scorrimento che taglia la città da nord a sud, possiamo osservare alla nostra
sinistra l’enorme edificio del centro congressi circondato dalla polizia. Per
le strade notiamo subito un capillare dispiegamento di forze dell’ordine,
gruppi di tre o quattro poliziotti camminano in prossimità degli incroci, sui
marciapiedi, alle fermate dei tram: osservano attentamente lo scarso traffico
cittadino. Ci dirigiamo verso uno dei luoghi del controvertice per avere
informazioni sul campeggio e sul programma delle assemblee, degli incontri e
delle manifestazioni dei giorni seguenti. Parcheggiato il camper, non facciamo
in tempo a percorrere dieci metri che sentiamo dietro di noi l’accenno di una
sirena della polizia; ci voltiamo e dall’auto scendono rapidi quattro agenti
che ci intimano bruscamente di mostrare i passaporti. Poco dopo giungono un
altro paio di poliziotti, uno di questi, l’unico che parli inglese, ci invita
ad aprire il camper per una perquisizione; intanto gli altri scrivono
alacremente su dei bloc-notes i dati dei passaporti, le descrizioni di ognuno
di noi e dell’automezzo; poco più in là un agente in borghese scatta numerose
fotografie. Il primo impatto con l’apparato poliziesco che presidia ogni angolo
della città è senz’altro indicativo di chi siano i padroni del territorio:
anche di fronte all’edificio in cui si sta svolgendo un’assemblea del
controvertice passano frequentemente gruppi di poliziotti e di tanto in tanto
chiedono i documenti a chi ha l’aria di essere a Praga non come semplice
turista. La visibilità e la pressione dell’apparato poliziesco sarà una
costante di queste giornate di protesta, e ci rendiamo conto col passare del
tempo che i cechi sono abituati a questa presenza incessante e invadente,
probabilmente in continuità con il sistema vigente prima della caduta del muro.
La
mattina del giorno dopo ci rechiamo al Convergence Centre , luogo di ritrovo di
tutti i manifestanti e sede logistica per preparare l’appuntamento del 26
settembre e le altre iniziative. Si tratta di un cantiere navale dismesso,
concesso dal governo in extremis dopo lunghe trattative portate avanti
dall’Inpeg (Iniziativa Contro la Globalizzazione Economica), il cartello di
soggetti cechi e non che ha indetto le mobilitazioni. Il Centro apre alle 8.00 e
chiude alle 22.00, nell’area scoperta è continua la presenza dei poliziotti.
Entriamo subito nel clima di costante mobilitazione partecipando a due
assemblee: una che riguarda l’organizzazione generale del blocco del vertice
del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, l’altra prepara una
manifestazione antifascista per il pomeriggio stesso in risposta ad un
annunciato presidio della destra radicale e nazionalista. Nella stessa giornata
è previsto un corteo dei partiti comunisti, che tuttavia appare totalmente
slegato dall’insieme delle iniziative e dall’impianto organizzativo del
controvertice e delle azioni di blocco vero e proprio. Come delegazione del
Movimento Antagonista Toscano decidiamo di partecipare al corteo antifascista,
mentre ci faremo raccontare da altri lo svolgimento di quello dei partiti
comunisti.
Quando
arriviamo nella piazza del concentramento è già presente un folto numero di
manifestanti, di varie nazionalità (Rep. Ceca, Spagna, Francia, Grecia i paesi
più rappresentati) e quasi tutti di matrice anarchica; molto numerosa la
componente degli studenti antifascisti cechi. Dai gradini della chiesa viene
letto un intervento dei compagni cechi, prima nella loro lingua e poi in
inglese, che specifica che non ci dimentichiamo del fatto che i veri fascisti
sono in questo momento seduti nel Centro Congressi a decidere dei destini di
miliardi di persone. Poco dopo ha inizio un corteo molto vivo, composto
soprattutto di giovani, che si snoda per il centro di Praga al grido di “no pasaran”
e termina in piazza San Venceslao senza alcun incidente a parte uno scambio di
opinioni con un gruppetto di nazi che vengono picchiati in una stazione della
metropolitana e qualche momento di tensione davanti ad uno degli onnipresenti
Mc Donald’s.
I
giorni che precedono il 26 settembre si susseguono rapidi in continue assemblee
e riunioni. Il Convergence Centre col passare delle ore accoglie sempre più
manifestanti provenienti da ogni parte del mondo. Tutti devono essere
aggiornati sulle questioni già decise e in fase di organizzazione concreta,
inoltre ancora molti sono i problemi da affrontare. Si agisce secondo il metodo
dell’autorganizzazione e della democrazia diretta: tutto viene deciso in sede
assembleare e tutto può essere messo in discussione in qualsiasi momento;
comune è l’obiettivo di essere efficaci nella protesta, bloccare cioè il
congresso del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Come si
può facilmente immaginare non mancano i momenti di confusione, il tempo è poco
e i problemi sono tanti, comunque si giunge alla sera del 25 con un quadro
abbastanza preciso di ciò che cercheremo di fare l’indomani durante la
mobilitazione. L’obiettivo è quello di impedire agli oltre 10.000 delegati di
uscire dal Centro Congressi bloccando tutte le vie di uscita e di rendere
impossibile la loro partecipazione alle iniziative di contorno come lo
spettacolo previsto al Teatro dell’Opera e il banchetto serale.
All’organizzazione partecipano tutti i gruppi, da quelli pacifisti e non
violenti a quelli più radicali e determinati; sono presenti anarchici,
anarco-sindacalisti, autonomi, comunisti, antagonisti, anticapitalisti,
pacifisti, ambientalisti, e altri che non si riconoscono in nessuna di queste
definizioni. La giornata del 26 settembre è stata pensata in modo da permettere
a tutti una piena partecipazione, ognuno secondo le proprie forme di lotta, di
protesta, di stare in piazza ed essere visibile e comunicativo. Si prevede
infatti un concentramento unitario in piazza della Pace (Namesti Mirou) a
partire dalle 9 di mattina, poi la partenza di un corteo già diviso in tre
spezzoni (blu, giallo e rosa) ognuno dei quali prenderà tre strade parallele
dirigendosi da nord a sud verso il Centro Congressi, in modo da bloccare le vie
d’accesso a ovest, a nord e ad est; contemporaneamente alcuni gruppi di
attivisti giungeranno dal lato sud. Il tutto verrà coordinato mediante contatti
con telefoni cellulari, una radio pirata e staffette di ciclisti che dovranno
osservare e riferire la disposizione delle forze di polizia. Sono inoltre
presenti una commissione legale e una medica per un’adeguata assistenza in caso
di necessità. La composizione dei tre cortei avviene in base a criteri di
affinità politica e di forme di lotta che si intendono praticare, così da
garantire a tutti la possibilità di espressione. Noi del Movimento Antagonista
Toscano con i compagni dell’Officina 99 di Napoli e alcuni delegati Cobas
decidiamo di partecipare al corteo blu in quanto vi partecipano anche gran
parte dei gruppi dell’Europa dell’est (cechi, polacchi, ungheresi).
La
mattina del 26, dunque, ci concentriamo in piazza e intorno alle 11 inizia il
corteo che dopo poche centinaia di metri si divide nei tre spezzoni previsti.
Il corteo blu procede ad un passo piuttosto veloce e nel giro di mezz’ora
giungiamo sotto la collina sulla quale si trova il Centro Congressi. La testa
del corteo attacca subito lo schieramento della polizia con lancio di molotov,
sampietrini e bastoni, dall’altra parte si risponde con l’idrante, lacrimogeni e
granate assordanti. La battaglia dura almeno un paio d’ore con ripetuti
attacchi dei manifestanti respinti a fatica dai poliziotti in assetto
antisommossa. Una parte del corteo decide di attestarsi più in basso per
bloccare un incrocio e una strada di accesso al Centro; vengono erette
barricate e si cerca di capire la disposizione delle forze dell’ordine per
vedere se è possibile cercare di sfondare in qualche punto. Iniziano poi le
cariche vere e proprie che riescono a frammentare il presidio ma non a disperdere
i manifestanti, che ogni volta si riaggregano per improvvisare altri blocchi
stradali e contrastare l’avanzata della polizia. Un gruppo di circa 200 persone
(tra i quali molti compagni cechi), approfittando della confusione e della
presenza di più fronti di battaglia, riesce a sfondare i cordoni di poliziotti
e a raggiungere il Centro Congressi, nel quale si attesta. Contratterà poi
l’uscita, essendo ormai circondato, senza subire alcun arresto. Nel frattempo
il corteo giallo, sul ponte a nord del Centro, impegna le forze dell’ordine in
ripetuti scontri; il corteo rosa, a est, mette in atto sit-in di resistenza
attiva in varie strade subendo numerose cariche. Il blocco delle vie intorno al
Centro Congressi è totale, tant’è che il presidente del Fondo Monetario viene
portato via in elicottero; gli altri delegati dovranno attendere per ore,
circondati da ogni parte da manifestanti che premono con insistenza sul
gigantesco apparato poliziesco, prima di riuscire ad andarsene. Saranno
costretti a farlo in metropolitana, chiusa in gran parte della città proprio
per permettere un’improvvisata manovra di evacuazione.
Intorno
alle 18.00 inizia il blocco del Teatro dell’Opera: i manifestanti di tutti e
tre i cortei si danno appuntamento davanti all’entrata per impedire l’accesso
dei delegati. Salta dunque questo momento di contorno previsto per lo svago di
banchieri, finanzieri e affini. Dopo un paio d’ore il presidio, svoltosi
pacificamente e senza bisogno di fronteggiare la polizia, si scioglie e nutriti
gruppi di manifestanti iniziano l’attacco alla proprietà privata delle
multinazionali. Mc Donald’s, Kentucky Chicken e banche vengono assaltati e
distrutti tra grida gioiose e flash di fotografi. Contemporaneamente iniziano
anche i rastrellamenti della polizia in tutta la città: per tutta la notte si
susseguono cariche e arresti. Arresti che proseguono il giorno dopo al
tentativo di blocco dell’Hotel Hilton e ai presidi che richiedono il rilascio
dei fermati.
La
riuscita delle manifestazioni e dei blocchi viene sancita dalla decisione della
chiusura anticipata dei lavori del vertice.
Sulla strada
del ritorno verso l’Italia riusciamo ad avere un quadro dell’impressionante
repressione messa in atto dall’apparato poliziesco ceco: centinaia di arresti
(alla fine saranno quasi 900), maltrattamenti, molestie sessuali, nessun
contatto diretto possibile con gli arrestati. A più di un mese dalle giornate
di Praga ci sono ancora 16 persone nelle carceri ceche, nei confronti delle
quali non vengono rispettati i più fondamentali diritti di contatto con legali,
familiari, amici e che vengono praticamente dimenticate dalle ambasciate dei
rispettivi paesi di provenienza.
Al
di là della cronaca dei fatti è sicuramente necessaria una sintetica
riflessione sul significato complessivo di questa mobilitazione. Praga si
inserisce nel quadro delle proteste che ormai da molti anni accompagnano i
vertici mondiali di organismi quali WTO, G8, FMI, BM, NATO, ecc. che decidono
le strategie globali del dominio capitalista. Un salto di qualità in queste
contestazioni si è avuto nel novembre 1999 a Seattle, quando un insieme
variegato di organizzazioni, associazioni e gruppi è riuscito a mettere in
crisi lo svolgimento del WTO bloccando fisicamente i delegati che vi dovevano
partecipare. Gli aspetti che contraddistinguono queste mobilitazioni sono da
una parte l’individuazione di un nemico che si muove su di un piano globale ed
impone sistematicamente le volontà di un ristretto numero di multinazionali a
tutti i popoli del pianeta, dall’altra la pratica, al di là delle differenze e
delle specificità, di un obiettivo comune che riesca ad incidere a livello
pratico (blocco dei vertici) e a livello di immaginario collettivo, così da
rendere visibile la possibilità reale di un’opposizione determinata a chi
sfrutta ad un costo tendente a zero la forza lavoro e le risorse naturali del
pianeta. Praga, in questo scenario, rappresenta la prima vera risposta unitaria
di un movimento europeo ai processi di globalizzazione, una risposta che
dovendo di necessità essere globale ha bisogno di un coordinamento e di una
continuità di pratica tra realtà anche molto diverse tra loro, sempre nel
rispetto delle peculiarità delle forze che si trovano a condividere tratti di
percorso in comune. Sicuramente questo movimento europeo ha mostrato delle
differenze rispetto a ciò che si è visto in precedenza a Seattle, Washington
ecc., innanzitutto per la radicalità e determinazione dei metodi di lotta
espressi in piazza almeno da alcuni settori, quali l’anarcosindacalismo e la componente
antagonista. Una capacità offensiva nei confronti del nemico comune che si
riflette, anche se solo in parte, nelle analisi sui processi di globalizzazione
e sulla fase capitalistica attuale, che esprimono un più radicale rifiuto del
capitalismo reale nel suo complesso e non solo negli aspetti più mediatici ed
evidenti.
I
paesi dell’est sono stati presenti soprattutto con componenti di ispirazione
anarchica, e non poteva essere diversamente vista la residualità delle
organizzazioni storicamente riconducibili al passato regime. Settori
consistenti del proletariato giovanile e degli studenti appaiono comunque
orientati contro un capitalismo selvaggio che finora ha prodotto tagli allo
stato sociale, nuova povertà, disoccupazione, appropriazione senza limiti di
territori urbani, produzione di rifiuti tossici senza alcun controllo,
criminalità organizzata diffusa, contraddizioni sociali inedite. Un
anticapitalismo che vede l’inizio di un radicamento e che trova forme di
organizzazione e di rivendicazione politica che si rifanno ad esperienze
passate di aggregazione del movimento operaio, precedenti alla nascita del
mondo diviso in blocchi.
E’
fondamentale da parte dei movimenti europei occidentali riuscire a creare
contatti e collegamenti con queste forme di opposizione anticapitalista,
soprattutto oggi, dato che appare già in fase avanzata il processo di
inclusione nella Comunità Europea dei paesi dell’est in una funzione di “sud”
in via di sviluppo da aggredire con capitali di multinazionali e ricette neoliberiste,
tendenti a farne luoghi di produzioni nocive, di sfruttamento della manodopera
a costi irrisori e discariche di rifiuti pericolosi. Si pensi solo alla rete di
centrali nucleari in grado di rivendere energia elettrica a prezzi convenienti
alle nazioni dell’ovest.
Gli
appuntamenti internazionali come quello di Praga sono momenti importanti
soprattutto per il riconoscimento di sé da parte dei movimenti e per sfruttare
il più possibile la sovraesposizione mediatica che permette, nonostante tutto,
di aprire brecce di comunicatività e di formazione di un immaginario
collettivo. E’ però a livello locale che deve realizzarsi un radicamento
sociale di opposizione a tutte le articolazioni con cui si mostrano i processi
di globalizzazione e il dominio assoluto del capitale sulla forza lavoro e
sulla natura. La circolazione delle lotte non può che avvenire a partire dalle
ricadute reali che sui territori ha la globalizzazione capitalistica con tutto
il suo carico di sfruttamento, morti sul lavoro, ingiustizia sociale,
inquinamento ambientale, manipolazione alimentare, repressione delle lotte e
delle rivendicazioni.
E’
difficile dire se il cosiddetto “popolo di Seattle” può rappresentare un
orizzonte di coordinamento internazionale delle lotte e un fronte di contrapposizione
credibile in grado di mettere in discussione l’attuale sviluppo capitalistico;
probabilmente è insufficiente e inadeguato, date le sue caratteristiche
attuali, ad un compito di tale portata. Forse alcune delle componenti che oggi
ne sono parte potranno in futuro sviluppare qualcosa di più efficace per
mettere i bastoni tra le ruote ad un capitale che se da una parte è sempre più
totalizzante e potente, dall’altra mostra contraddizioni che ne rendono quasi
palpabile la fragilità. Quello che è certo è che il movimento nato a Seattle e
diffusosi in tutto il mondo industrializzato è l’unico movimento globale reale
esistente; irrinunciabile dunque farne parte e lavorare affinché si sviluppi
sia dal punto di vista della forza da esprimere sul campo che dal punto di
vista delle idee e della critica al sistema capitalistico.