Referendum sui licenziamenti: lavoratori o schiavi?

di S. Scardigli

<<Volete voi che sia abrogata la legge 20 maggio 1970 n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità, dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento" e successive modificazioni, limitatamente all’art.18?>>

Quando entrò in vigore lo "Statuto dei lavoratori" (del quale fa parte l’articolo 18 che i radicali vogliono abrogare) si disse che finalmente nelle fabbriche era entrata un po’ di Costituzione. L’anno prima l’Autunno caldo aveva espresso non soltanto rivendicazioni di carattere salariale e sindacale, ma aveva prodotto strumenti nuovi di lotta e parziale contropotere della classe operaia sul posto di lavoro (spesso riuscendo a creare legami con altri soggetti antagonisti), come l’Assemblea generale dei lavoratori, il Consiglio di fabbrica, il Consiglio di Zona.

Il Contratto Nazionale di metalmeccanici (che conteneva elementi di egualitarismo sul salario e sull’inquadramento professionale dei dipendenti) e lo Statuto dei lavoratori risentivano fortemente di quelle lotte.

Si sa come è andata dopo. Le stragi di Stato, gli anarchici che volano dalle finestre "aiutati" dai poliziotti, un lento e metodico lavoro di erosione delle conquiste sociali e politiche del proletariato (con l’accelerazione forte degli anni ’90), fino ad arrivare ai governi di centro-sinistra che attuano quasi per filo e per segno il vecchio "Piano di rinascita democratica" di Licio Gelli e della P2, facendo così dell’Italia un Paese "normale".

Adesso che una gran parte delle conquiste dei lavoratori sono state smantellate e la stessa "concertazione" sta per divenire un qualcosa di superato dai rapporti di forza sempre più a favore del padronato, occorre eliminare anche le garanzie normative superstiti che possano configurare il lavoro come un diritto ed i lavoratori dipendenti come un soggetto collettivo di contrattazione.

Occorre quindi creare una legislazione che "liberi" il mercato del lavoro da ogni tutela, condizione necessaria per uno sfruttamento massimo delle macchine e delle persone in un quadro di competizione sempre più feroce fra le diverse borghesie imperialiste.

Ogni lavoratore deve sapere che il sua padrone può disfarsi di lui come e quando vuole. Il referendum radicale ha il pregio di mettere spudoratamente a nudo questo obiettivo.

Se verrà abolita la "giusta causa" per i licenziamenti e l’obbligo di riassunzione per i lavoratori ingiustamente espulsi chi oserà più esporsi sindacalmente?

Mentre proclamano tutti la scomparsa dei lavoratori come classe cercano di impedire ad ogni costo che ne possa riemergere la coscienza di sé.

Ma si mira anche a colpire la semplice libertà di parola e di espressione. Se si stabilisce che, pur avendo ragione, un lavoratore può essere licenziato dal proprio padrone, resta solo il "giù la testa".

Mentre siamo tutti sfidati a trovare le strade per dare un qualche orizzonte di difesa ai lavoratori "atipici", al mondo indifeso del precariato, il referendum si propone di estendere questa vandea padronale a tutto il mondo del lavoro. Per sempre. Il significato concreto che esso contiene minaccia tutti: passa il messaggio che anche la dignità umana si può comprare. Ogni padrone, con tre spiccioli di indennizzo, potrà permettersi di determinare il destino di una donna, di un uomo, a sua discrezione. C’è poi da dire che far decidere gli elettori sull’abolizione di diritti che riguardano direttamente solo una parte della società significa stabilire il principio che chi non lavora o vive del lavoro altrui decide la sorte e le condizioni di vita di chi lavora anche per lui.

I diritti che si vogliono abrogare fanno parte di un progetto di civiltà ed uguaglianza per il quale si sono battuti coloro che ci hanno preceduto. Ben altro da quello elettorale è il campo su cui essi sono stati conquistati. Ben altro è il campo su cui dobbiamo continuare a difenderli.

Tra la totale precarizzazione di ogni rapporto di lavoro prevista dal referendum e le politiche governative e sindacali non c’è una reale soluzione di continuità. Non possiamo quindi credere a quei parlamentari, politici e sindacalisti schierati sul fronte del NO.

Coloro che a questa situazione ci hanno portato non hanno una sola carta in regola per pretendere di essere creduti quando si ergono a difensori dei diritti dei lavoratori. Nessuno può ragionevolmente pensare che una eventuale affermazione dei NO possa comportare una qualche pur blanda mutazione della sostanza degli indirizzi governativi e sindacali. Una vittoria dei SI (a mio avviso molto improbabile) ci costringerebbe invece a subire il peso di una sconfitta su un terreno (quello referendario) a cui ci siamo piegati "democraticamente" a partecipare.

Occorre quindi un forte impegno per boicottare i referendum attraverso una campagna per l’astensione che possa innescare una voglia di uscir fuori dalle continue mediazioni al meno peggio con le quali stanno spazzando via, giorno dopo giorno, gli ultimi barlumi di diritti e civiltà che ci siamo conquistati. Un’astensione che metta a nudo lo stretto legame che c’è tra l’attacco diretto ai lavoratori e la trasformazione in senso sempre più autoritario dello Stato, attuata tramite il rafforzamento degli esecutivi a scapito delle assemblee elettive (tramite il maggioritario ed i progetti presidenzialisti o di cancellierato) e mirante ad inserire stabilmente l’Italia nel nascente polo imperialista europeo.