Respinto l’accordo alla Zanussi

A. Carotti

 

Il 31 dicembre 1999 è scaduto il contratto integrativo aziendale del gruppo Zanussi, ma solo a fine marzo del 2000 è pronta la piattaforma rivendicativa per il suo rinnovo. Questi tempi lunghi sono determinati dalla mediazione delle richieste fra le varie OOSS, ne esce una piattaforma modesta che ha come punti centrali la richiesta di un aumento salariale legato ai premi di risultato ed un recupero parziale del salario d’ingresso per i nuovi assunti previsto da un accordo precedente. La piattaforma viene approvata nel referendum tra i lavoratori con una larga maggioranza ma con una partecipazione al voto inferiore al 50%.

Inizia la trattativa con l’azienda che si trascina per alcuni mesi, fino a quando a giugno l’azienda fa una propria proposta: l’introduzione nel contratto aziendale del “Job on call”, il lavoro a chiamata. Si tratta di assumere lavoratori a tempo indeterminato ma con la certezza di lavorare 300 o 500 ore l’anno e di poter essere chiamati a lavorare in qualsiasi momento anche per un solo giorno. Su questa proposta aziendale si apre una forte discussione fra le OOSS e fra i delegati. L’esito di questa discussione è una divisione fra le OOSS,  FIM e UILM la condividono la FIOM è contraria. La trattativa continua fino a quando, a fine giugno, l’azienda presenta una ipotesi di accordo che prevede, oltre al lavoro a chiamata, un aumento della produttività “al netto degli investimenti” legato ai premi di risultato, un recupero salariale insignificante per i nuovi assunti e un aumento salariale a regime di circa 120.000 lire al mese.

A questo punto viene convocata l’assemblea nazionale dei delegati perché dia il mandato a concludere la trattativa. L’assemblea è divisa sin dall’inizio con due relazioni introduttive, una della FIOM contraria al lavoro a chiamata e ad altri punti dell’accordo, l’altra di FIM e UILM che sostanzialmente con modifiche marginali la ritiene condivisibile. In un clima molto teso, anche i delegati si dividono. Il voto finale fa prevalere, con circa il 60%, i delegati favorevoli all’accordo, questo voto è determinato anche da una parte di delegati FIOM che si schierano per l’accordo. L’ipotesi di accordo Zanussi, ed in particolare il lavoro a chiamata, diventano un caso nazionale, sia nella discussione interna al sindacato che nei mass-media.

I lavoratori del gruppo divengono il centro di questo dibattito, anche perché l’ultima parola spetta a loro con il referendum conclusivo. Dopo molti anni nelle fabbriche gli operai riprendono a discutere vivacemente, perché la divisione esistente nelle OOSS e nei delegati comporta che siano presenti nel dibattito più punti di vista, un confronto e uno scontro che partendo dai temi dell’accordo si estende ai concetti fondamentali dell’azione sindacale come la flessibilità, la produttività, le condizioni di lavoro e di tutela del lavoro stesso, ma anche elementi di riflessione più generali come la precarizzazione del lavoro in questa fase del capitalismo e la ingiustizia sociale di questo sistema. Ed è una discussione, seppure ovviamente parziale, che vede la partecipazione della maggioranza dei lavoratori. Questo clima diverso lo si verifica anche nello svolgimento delle assemblee che precedono il referendum: grande partecipazione ed attenzione ad uno scarto di idee e di prospettive che si ripete nelle assemblee e continua nella fabbrica. Ciò si verifica in tutti gli stabilimenti del gruppo, anche laddove, come a Firenze, c’è una maggioranza ampia a favore dell’accordo nella RSU, con un solo contrario e uno astenuto; ma la stessa cosa si ripete perfino a Forlì dove l’intera RSU è favorevole all’accordo.

Finalmente giunge il giorno del referendum, e quando arrivano i primi dati dello spoglio dei voti si capisce che sta emergendo un dato sorprendente, quasi dappertutto prevale il no all’accordo ed in particolare il no vince in tutti i grandi stabilimenti. Alla fine del conteggio dei voti il risultato è straordinario: 67% di NO e 33% di SI con una partecipazione al voto che supera il 90%. Si tratta di un esito sicuramente non scontato, perché raramente accade che un accordo sindacale venga bocciato dai lavoratori, ma è ancora più raro che ciò avvenga con queste dimensioni. Che cosa è accaduto?! Perché un’azienda solitamente accorta e le OOSS favorevoli all’accordo hanno sbagliato così clamorosamente le loro previsioni? Perché i lavoratori, che pure hanno accettato negli ultimi anni accordi di partecipazione, di flessibilità, di salario d’ingresso (?), ecc., hanno rifiutato quest’accordo, rinunciando così, almeno per il momento, all’aumento salariale previsto e a 700.000 lire di acconto comparse improvvisamente nell’ipotesi di accordo pochi giorni prima delle ferie? C’è stato innanzitutto negli ultimi anni un forte ricambio generazionale all’interno delle fabbriche che ha cambiato i soggetti e i riferimenti consolidatiti negli anni precedenti, che ha prodotto una difficoltà maggiore di leggere i comportamenti e gli orientamenti che si determinano fra i lavoratori e che ha prodotto uno scollamento fra delegati e lavoratori che si evidenzia nella netta divaricazione del voto: le RSU approvano l’accordo con il 60%, i lavoratori lo respingono con il 67%. Ha pesato, inoltre l’esperienza reale e quotidiana dell’applicazione degli accordi precedenti; la flessibilità, la produttività e il salario d’ingresso hanno prodotto un peggioramento concreto delle condizioni di lavoro e di vita.

L’accordo, peraltro, contraddice la stessa piattaforma che doveva dare una prima risposta ai temi della precarizzazione e della produttività che invece ne escono ulteriormente peggiorati. Ma c’è un altro elemento che spiega questo voto: per la prima volta dopo tanto tempo i lavoratori si sono resi conto che erano chiamati realmente a scegliere, che il loro voto contava. Questo perché la divisione fra i delegati e le OOSS ha permesso una libera scelta, è stato possibile con il proprio voto respingere un accordo inaccettabile. Il referendum si è così trasformato da rituale stanco e ripetitivo in vero strumento di decisione.

La riflessione che si può trarre da questa vicenda è che le contraddizioni anche se spesso sotterranee permangono nel nodo del lavoro e, quando le condizioni oggettive e soggettive ne consentono l’emersione, si manifestano. Certo non si tratta di un dato acquisito, questa esperienza dimostra che, anche in una situazione che veniva ritenuta da molti “pacificata” come la Zanussi, è possibile che si determinino le condizioni per rialzare la testa.

A questo punto però diventa importante il modo in cui si concluderà questa trattativa. Ad oltre due mesi di distanza da quel referendum, le difficoltà sono enormi, le forze che hanno subito quella sconfitta renderanno difficile il conseguimento di un buon risultato e di un accordo accettabile che, per essere tale, deve escludere il “lavoro a chiamata”.