Un percorso unitario per i comunisti

di Sergio Cararo (Rete dei Comunisti)

La Rete dei Comunisti e il Movimento per la Confederazione dei Comunisti, sono due esperienze nate in questi ultimi due anni dalla crisi di Rifondazione Comunista e dall’incontro tra militanti e dirigenti fuoriusciti dal PRC con gruppi e militanti comunisti esterni al partito (nel nostro caso il Forum dei Comunisti).Dopo una fase in cui valutazioni diverse sulle scelte organizzative, sulle forme della rappresentanza politica e sull’analisi del blocco sociale antagonista, hanno reso non sempre facile la discussione, negli ultimi mesi si è avviato un confronto positivo da cui è scaturito un primo documento comune "Una proposta ai comunisti".

Questo documento verrà presentato e discusso pubblicamente il 21 maggio a Firenze nel quadro di un convegno nazionale promosso unitariamente dalle due strutture e che intende rimettere a fuoco questioni strategiche per ogni ipotesi comunista rigorosa, ovvero la questione dello Stato e l’analisi dell’imperialismo moderno.

Il documento e il convegno di maggio segnano indubbiamente un passo avanti ma anche un salto di qualità nel processo di riaggregazione e riorganizzazione dei comunisti italiani.

In questi anni, come Forum dei Comunisti ma anche nella discussione interna all’esperienza della Rete dei Comunisti, abbiamo sostenuto la tesi che il processo di ricostruzione di un’ipotesi comunista non poteva che "ripartire dall’alto" cioè da un processo di confronto teorico (oltre che politico) che ponesse di fronte ai compagni non tanto i problemi dell’azione politica immediata quanto quelli strategici. Questo punto di vista in alcune occasioni ci ha attirato qualche critica. In realtà i risultati delle esperienze concrete che hanno visto i comunisti sottovalutare la complessità della fase storica in cui ci troviamo ad operare, ha portato al mantenimento della egemonia del politicismo rispetto a quella della strategia rivoluzionaria. In questo senso, il documento unitario "Una proposta ai comunisti" ha il pregio di aver cercato di rimettere tutti i compagni di fronte ai problemi di una rifondazione reale e non formale di un punto di vista comunista della realtà.

Il documento sintetizza una analisi del capitalismo reale e dell’imperialismo che contiene significativi passi in avanti rispetto al repertorio ormai inadeguato della "sinistra". L’individuazione dell’imperialismo europeo – e dentro di esso dell’imperialismo italiano – è senza dubbio una rottura importante con la sottovalutazione sistematica e fuorviante con cui in questi anni sono state analizzate le modificazioni intervenute nella struttura interna ed internazionale del polo capitalista – quello europeo – in cui come comunisti italiani dobbiamo agire politicamente. "La piena costruzione del polo imperialista europeo non è priva di ostacoli e contraddizioni interne" è scritto nel documento "Tuttavia la concorrenza intercapitalistica spinge con forza i gruppi dominanti del continente alla piena realizzazione dell’Unione Europea in tutti i suoi aspetti, come unico modo per poter competere con Stati Uniti e Giappone ".

Partendo dall’aggressione contro la Jugoslavia, il documento individua anche la specificità italiana nel nuovo contesto "Da questa guerra l’imperialismo italiano, come realtà autonoma e come parte del Polo europeo, è uscito bene". In questo passaggio c’è un elemento di consapevolezza del ruolo dell’Italia dentro il polo imperialista europeo che ha conseguenze rilevanti sull’azione politica, sindacale e sociale dei comunisti in un paese a capitalismo avanzato e di fronte al fallimento della "rivoluzione in occidente".

Il documento analizza poi il carattere autoritario che viene via via assumendo il regime che sta gestendo il passaggio alla Seconda Repubblica: "E’ un regime che ingloba entrambi i poli ed emargina ogni opposizione istituzionale. In secondo luogo esso si fonda su una ideologia pervasiva – quella del mercato – che tutto riesce a permeare proprio in quanto esterna e superiore ad entrambi gli schieramenti". Da questa constatazione viene tratta una prima rilevante indicazione politica "Non esiste lotta al bipolarismo se non ci si colloca intanto con chiarezza fuori di esso. Questa considerazione sarebbe banale se non contenesse il nodo fondamentale dell’attuale crisi del PRC… Il rapportarsi dei comunisti alle istituzioni" è scritto nel documento "fermo restando l’obiettivo rivoluzionario del loro abbattimento, non può non tener conto del loro modificarsi in relazione allo sviluppo delle forme produttive, dell’organizzazione del dominio di classe, delle forme concrete attraverso le quali si esercita l’egemonia della classe dominante sulla base dell’evolversi dei rapporti di forza tra le classi stesse". Ed è proprio per avere una valutazione reale di questa evoluzione dei rapporti di forza tra le classi che il documento invita a non guardare nostalgicamente al passato ma "ad indagare le attuali contraddizioni, gli attuali processi di composizione e scomposizione, l’attuale strutturazione delle classi, gli attuali soggetti prodotti dall’odierna configurazione di classe … Questo significa che al primo posto va collocato il lavoro di ricerca e di elaborazione teorica" prosegue il documento "cioè la ridefinizione di un’ipotesi comunista adeguata ai tempi odierni che parta dall’alto della concezione del materialismo storico e che sappia reindividuare, come è stato fatto nel ‘900, i punti di rottura rivoluzionaria dell’attuale assetto sociale".

Conseguentemente a questa analisi, il documento invita a non cadere più nella trappola della "dicotomia destra/sinistra" perché oggi "diventa una trappola indistinguibile dalla falsa alternativa del bipolarismo… Non si tratta di "ricostruire la sinistra" – questa c’è già ed ha il volto di D’Alema – bensì di ricostruire progetto comunista e la soggettività del blocco sociale anticapitalista".

Prendendo in esame gli strumenti per ricostruire il conflitto di classe, il documento conferma come punto decisivo il nodo del sindacato di classe come "condizione imprenscindibile per ogni ragionamento credibile sulla riaggregazione del blocco sociale". In tal senso i comunisti sostengono tutte le esperienze e i percorsi concreti tendenti a questa ricostruzione in un’ottica unitaria "consapevoli delle attuali diversità quanto delle pressanti esigenze imposte dal vuoto lasciato libero dal sindacalismo di regime …. In questa direzione" precisa il documento "la forma associativa e quella consiliare possono procedere parallelamente ricercando un rapporto sinergico ed una costante verifica nella pratica sociale".

Tra i punti che restano aperti nel confronto politico e strategico vi è certamente quello sulla natura del partito dei comunisti nel XXI° Secolo. Come compagni della Rete dei Comunisti infatti riconfermiamo la nostra convinzione che l’unico partito comunista in grado di affrontare la situazione attuale sia un partito che abbiamo definito di militanti, ovvero di compagni maturi sia sul piano delle capacità politiche che di quelle teoriche. I partiti di massa si sono rivelati inadeguati ad affrontare le modifiche complessive prodotte dalla borghesia tra gli anni ’80 e ’90 e, in molti casi, essi stessi sono stati un elemento di crisi del movimento comunista.

Poiché siamo per un partito di militanti ma non vogliamo, né possiamo, rinunciare al rapporto di massa ed alla costruzione delle organizzazioni di massa della classe, ci si pone evidentemente il problema di come lavorare anche in questa prospettiva e dunque delle forme e dei contenuti dell’organizzazione sociale e politica della classe oggi così come concretamente si configura.

Questo è perciò l’aspetto che vogliamo affrontare ora, alla luce e del dibattito di questi mesi, in particolare sul polo imperialista europeo, e sugli eventi sociali e politici attuali, che stanno cambiando qualitativamente il quadro generale nel quale collochiamo la nostra iniziativa di dibattito ma anche di intervento.

L’obiettivo che ci poniamo con questo confronto è cogliere quale deve essere la funzione dei comunisti che, mantenendo il riferimento strategico della trasformazione sociale e del partito, devono però svolgere una funzione sociale e politica qui ed ora. In altre parole si tratta di ridislocare l’iniziativa e l’azione dei comunisti, in modo originale ed adeguato ai tempi, attorno ai tre punti centrali del conflitto di classe individuati da Lenin ovvero quello teorico/ideologico, quello politico e quello sindacale.

Il documento assume con molto realismo la "sproporzione tra i compiti e le forze" ma sottolinea proprio per questa ragione l’indispensabile avvio di un "processo aggregativo capace di indicare una via d’uscita alla falsa alternativa tra le formazioni istituzionali (PdCI e PRC) e le tante organizzazioni residuali tenute insieme dall’ideologia ma incapaci di misurarsi con i problemi politici e teorici dell’oggi". La crisi dei partiti "di massa" e dei gruppi di "avanguardia" conferma l’impraticabilità di queste formule per chi vuole porsi l’obiettivo della "rinascita di un soggetto comunista inteso come lo strumento fondamentale della lotta al sistema e del suo rovesciamento".

In questo senso il Coordinamento Nazionale proposto e che verrà discusso a Firenze, non si limiterà a istituzionalizzare la consultazione e l’interscambio (che del resto è già in atto) ma intende definire alcune regole organizzative e un progetto di confronto ben precisi.

Il programma di lavoro comune del Coordinamento prevede due livelli di lavoro: il piano teorico che comincerà ad affrontare questioni strategiche oggi decisive come la "questione dello Stato" e l’analisi dell’imperialismo; il piano politico e sociale sul quale approfondire il confronto sulle esperienze in corso a livello sociale, sindacale e politico per verificarne i risultati e le possibilità.