Avanti tutta. Ma senza scorciatoie

Il 27 e il 28 ottobre si è svolto a Roma un Forum sul dialogo ecumenico e interreligioso dopo la Dichiarazione "Dominus Iesus". Due giorni di dibattito appassionato. Il dialogo proseguirà, nonostante la Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede. Ma ancora di più, nella chiarezza.

Due giorni di dibattito, 40 relatori, una decina di confessioni rappresentate, oltre centocinquanta cartellette di materiali distribuite: queste alcune cifre del Forum "I sentieri del dialogo dopo la Dominus Iesus. Ostacoli, scorciatoie, progetti", promosso da Confronti insieme alla Facoltà valdese di teologia, alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, ed alle riviste Jesus, Qol, Sefer.

Obiettivo dell'incontro era fare il punto delle relazioni tra le comunità di fede dopo la Dichiarazione Domins Iesus, il documento della Congregazione per la dottrina della fede voluto dal cardinale prefetto Joseph Ratzinger e approvato dallo stesso Giovanni Paolo II per "richiamare ai Vescovi, ai teologi e a tutti i fedeli cattolici alcuni contenuti dottrinali imprescindibili, che possano aiutare la riflessione teologica a mature soluzioni conformi al dato di fede e rispondenti alle urgenze culturali contemporanee". Ma per quanto la frase sia ben tornita e morbida nei toni, la Dichiarazione ha avuto l'impatto del famoso elefante nella cristalleria e più di qualche bell'oggetto è andato in frantumi: dopo i segnali di autocritica lanciati dai simposi vaticani sull'antisemitismo di matrice cristiana e sull'Inquisizione, dopo il mea culpa di Giovanni Paolo II per le colpe dei figli della Chiesa nell'esercizio della loro testimonianza, dopo i gesti di amicizia e fraternità nei confronti di ebrei e musulmani compiuti in Israele, le venti pagine firmate dal cardinale Ratzinger sembrano aver lanciato un segnale assai diverso: indietro tutta. È davvero così? Il cattolicesimo di oggi, così articolato e complesso, in che misura si riconosce nella rigida dogmatica del cardinale Ratzinger? E come reagisce quel popolo del dialogo ecumenico e interreligioso che in questi anni ha costruito tanti momenti di incontro fecondi ed intensi? A questi interrogativi il Forum ha dato - e non poteva essere altrimenti - risposte solo parziali. È comunque stato utile fare il punto su diverse questioni, come è accaduto nella prima tavola rotonda dedicata ai temi della laicità nello stato postrisorgimentale (Anna Maria Isastia), dei processi sociali e culturali connessi con l'immigrazione (Magdi Allam), dell'eredità del Concilio vaticano II. Gli interventi sono stati così numerosi, e spesso così ricchi di spunti, che non possiamo renderne conto in termini appropriati. Ce ne scusiamo con i relatori e con i lettori ai quali però, sin da questo numero della nostra rivista, proporremo alcuni dei contributi di rilievo che ci sono giunti in forma scritta; altri saranno pubblicati sui prossimi numeri e su Protestantesimo, la rivista della Facoltà valdese di Teologia.


Un 2001 di battaglia

"È bassa marea" ha affermato, tra i primi ad intervenire, Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. Si riferiva alle relazioni tra ebrei e cattolici e, più in generale, a "quei comportamenti che non facilitano il dialogo ed anzi lo ostacolano". Il cahier des doléances degli ebrei era già lungo e corposo: ma di recente la beatificazione di Pio IX e la Dominus Iesus hanno aperto un capitolo a parte: quest'ultima "più per quello che non dice, che per quello che dice", ha precisato Luzzatto, lamentando che in tutto il documento non vi sia alcun riferimento alla specificità delle relazioni tra ebrei e cristiani o alla condivisione del Primo Testamento, ed anzi si arrivi ad affermare che il dialogo fa parte "della missione evangelizzatrice" della Chiesa cattolica (n. 23). Ed allora? Avanti tutta, sembra rispondere il presidente degli ebrei italiani, convinto che il 2001 sarà "un anno di battaglia" proprio perché di dialogo; "in un vero dialogo, infatti, non è necessario pensarla allo stesso modo". Un anno di battaglia anche perché gli stereotipi antisemiti non muoiono mai se, perfino in un contesto come quello del Forum, titolati accademici sia pure intervenuti a livello personale e dal pubblico, hanno voluto distinguere tra "fede" e "religione" per concludere che - con espressione da vero infelice - è nel nome di quest'ultima che i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme hanno voluto la condanna a morte di Gesù. Del resto il cammino del dialogo delle relazioni tra cristiani ed ebrei è sempre stato molto accidentato e, come hanno ben ricordato Lea Sestieri, Maria Vingiani e Daniele Garrone, ha subito vere e proprie " svolte". I risultati sono importanti ma ancora parziali e sarebbe un errore considerarli definitivamente acquisiti.

La determinazione alla prosecuzione del dialogo, nonostante ostacoli e cadute di tono e di stile, espressa da Amos Luzzatto ha trovato una sponda molto significativa nell'intervento di Piero Coda, uno dei nomi più autorevoli della teologia cattolica italiana di oggi, consulente di varie commissioni vaticane e docente alla Pontificia università lateranense. "Il dialogo non si fa né per strategia né per tattica, è un valore in sé", ha affermato. "E non si dialoga per evangelizzare ma per porsi in ascolto dell'agire di Dio. Il dialogo allora diventa condivisione di esperienze di vita e ci spinge a mettere al centro l'amore per l'altro, la famosa regola d'oro che ci impone di fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi".

Una suggestione subito ripresa da Mariangela Falà, presidente dell'Unione buddhista italian, che ha insistito molto sulla necessità di una svolta in quello che convenzionalmente si definisce dialogo: "Occorre passare dalla conoscenza all'esperienza comune in campi decisivi come, ad esempio, quello dell'educazione. In questo senso - ha concluso - buddhisticamente potremmo dire che noi, gente del dialogo, saremo quello che faremo". Una svolta nella direzione del dialogo è importante anche per Nilos Vatopedinòs, archimandrita della Chiesa ortodossa in Italia, al Forum in rappresentanza del metropolita dei greci: "Ci preoccupa e ci stanca il troppo parlare che fanno ebrei e cattolici - ha affermato - e altri cristiani. Ci troviamo meglio con buddhisti e induisti, più inclini a pregare che a conversare".

Ognuno traccia così una particolare via di dialogo: bisognerebbe allora incontrarsi più spesso, confrontarsi, discutere. Ma mancano spazi e strumenti, soprattutto per il dialogo nella ferialità, non quello dei grandi appuntamenti ma quello vissuto nella quotidianità dell'incontro e della convivenza tra credenti di diverse tradizioni: "manca una casa comune per le famiglie del dialogo - ha rilevato Ali Schutz, presidente del Fondaco dei Mori di Milano e membro autorevole della locale comunità islamica. - Ed in certi momenti se ne sente proprio il bisogno, soprattutto quando si registrano terribili grandinate come quella che si è abbattuta sui musulmani in questi ultimi mesi". Un tema ampiamente ripreso nella tavola rotonda dedicata al tema dell'impegno delle religioni per costruire la convivenza e la pace cui hanno partecipato Tariq Mitri, del Consiglio ecumenico delle chiese; Giulio Soravia, del Consiglio islamico d'Italia e monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e grande animatore di Pax Christi. L'intervento di quest'ultimo è stato un ciclone di umanità, speranza ed anche allegria che, in un contesto segnato da una comprensibile severità, non guasta di certo. "Se i cristiani presteranno attenzione alla fede vissuta nel concreto - ha affermato - si ritroveranno con tanti uomini e donne per difendere la pace, la giustizia e l'armonia del creato". E la Dominus Iesus? "Il classico documento che, come ci hanno insegnato in seminario alcuni decenni fa, si sofferma sulla "fides quae", sulla formulazione dogmatica della nostra fede, piuttosto che sulla "fides qua", quella con cui il credente testimonia la sua missione".

"Se dovessi raccogliere in una espressione semplice ma comprensiva il significato ecumenico di questa "Dichiarazione" - ha ulteriormente precisato monsignor Ablondi - direi che è stato ed è un "porre i paletti" su alcuni valori il cui spazio era già stato delimitato, ma forse non in modo sufficientemente chiaro. Non disperazione dunque, tanto più perché di solito i paletti si mettono per una tenda che è sempre possibile spostare, speriamo in avanti, e poi la tenda è sempre aperta al soffio dello Spirito nella sua chiesa".


Un "subsistit" che fa discutere

Non è un mistero che la Dominus Iesus sia nata in primo luogo per "censurare" alcune teologie del dialogo che Roma giudicava troppo avanzate e spregiudicate, soprattutto in Asia. È meno chiaro - e molti interventi lo hanno puntualmente rilevato - come mai un documento sul tema delle relazioni interreligiose abbia finito per contenere un paragrafo sull'ecumenismo, forse il più controverso. Il Forum non ha fornito elementi utili a capire il senso di questo inserimento a quanto pare dell'ultima ora. Le ipotesi dietro le quinte sono molte e, come abbiamo scritto in altre occasioni (Confronti 10/2000), tanti pronunciamenti e tante scelte vaticane di questi mesi si devono collocare nel posizionamento delle varie correnti vaticane in vista del Conclave. E che ci sia un partito dell'intransigenza dogmatica contrapposto a quello del dialogo e del confronto non è più un mistero per nessuno: l'ecumenismo è solo uno dei temi controversi e, probabilmente, la corrente conservatrice ha voluto afferrare la bandiera del richiamo alla tradizione ed al primato della Chiesa di Roma rispetto alle altre chiese particolari (gli ortodossi e forse gli anglicani) ed alle comunità ecclesiali (protestanti).

Comprensibilmente queste interpretazioni sull'origine e la valenza politica della Dichiarazione sono rimaste solo sullo sfondo del Forum ed in molti hanno ragionato soprattutto sulle prospettive: "È un documento che aiuta la chiarezza dei dialoganti - ha affermato mons. Alberto Ablondi, vescovo di Livorno e sino alla scorsa primavera vicepresidente della Conferenza episcopale italiana. - Il papa, esprimendo la sua personale approvazione, ha inteso porsi al servizio dell'unità". E le critiche, allora, solo un inutile polverone? Monsignor Ablondi non ha risposto direttamente ma ha lasciato intendere che sono condizionate da un clima di scarsa fraternità: "Le chiese - ed ha sottolineato il plurale - camminano nella verità ma non nella carità. E la sfida è saper imboccare un cammino di carità nella verità". Ed a questo riguardo il vescovo di Livorno ha lamentato la mancanza, in Italia, di "un organismo permanente di consultazione ecumenica" che faciliti la comunicazione e l'incontro tra le diverse chiese.

Se l'intervento di Ablondi ha sottolineato la sfida pastorale dell'ecumenismo, padre James Puglisi, teologo cattolico presso il Centro Pro Unione, si è richiamato invece ad alcuni aspetti dogmatici del tema. Punto di partenza obbligato, il Concilio vaticano II ed in particolare quel passaggio della Lumen gentium in cui si afferma che "l'unica vera Chiesa di Cristo…sussiste (subsistit in) nella Chiesa cattolica". Su quel verbo in latino, subsistit in, si sono versati fiumi di inchiostro: il verbo originario nella prima proposta di testo offerta ai padri conciliari, era infatti un secco est (è). Come interpretare il cambiamento? Puglisi ne deduce che si è così inteso evitare "una identificazione esclusiva della Chiesa cattolica con la Chiesa di Cristo". A sostegno della sua tesi, chiama anche a testimone il cardinale Johannes Willebrands, uno dei protagonisti del Concilio, che negò che vi potessero essere diverse interpretazioni del famoso subsistit - una inclusiva che riconosceva "chiese" anche quelle diverse dalla cattolica, l'altra restrittiva - e che quella formulazione invece affermava "una ecclesiologia di comunione, come un tentativo di esprimere la trascendenza della grazia e di dare un'intuizione della larghezza della benevolenza divina".

Sulla base di quest'analisi, in che rapporto sta la Dominus Iesus con il Concilio? Può una Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede interpretare il Concilio? E quale delle due linee, quella aperta del cardinale Willebrands o quella restrettiva del cardinale Ratzinger fa testo nella chiesa Cattolica di oggi? Il Forum non ha dato risposte esplicite a questi interrogativi, ma il solo fatto che siano stati posti con forza ed autorevolezza dimostra che la Dominus Iesus esprime una teologia cattolica che, per quanto resa ufficiale dalla speciale approvazione del papa, non può cancellare altri documenti e prevedibilmente non fermerà quel cammino nel dialogo ecumenico ed interreligioso avviato da tanti cattolici in tutto il mondo. Insomma Roma locuta, su questo tema, la causa non appare affatto finita.

In dialogo, quindi, nonostante la Dominus Iesus. Forse, grazie ad essa, sarà semmai ancora più franco e diretto, quel dialogo che ci impone di affermare quello che siamo; consapevoli che, certamente, il contesto, la storia che passa, l'incontro con gli altri ci cambierà; ma altrettanto convinti che abbiamo delle radici e la fede di ciascuno è un dono prezioso e particolare. Lo ha spiegato con un midrash la scrittrice Giacoma Limentani: "Quando nel giorno del giudizio il Signore chiamerà il povero Sussia a rendere conto della sua vita - ha raccontato - non gli chiederà "perché non sei stato come Abramo? o "perché non sei stato come Mosè?" o "come Davide?" Più semplicemente gli chiederà, "Sussia, perché non sei stato Sussia?"".

Paolo Naso


SCHEDA
LA RISPOSTA DEL CONCILIO

Si chiama - dalle prime parole latine con cui si apre - Dominus Iesus [DI] la "Dichiarazione circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa", firmata il 6 agosto 2000 e pubblicata il 5 settembre dal card. Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il dicastero della Curia romana che vigila sulla "ortodossia" dei cattolici in tutto il mondo. Il documento (vedi Confronti di ottobre e novembre) ha provocato molte reazioni negative da parte delle Chiese non cattoliche e da parte di esponenti dell'ebraismo e delle religioni non cristiane; ma esso ha suscitato contrapposte reazioni (decisi "sì", cauti distinguo, aperti "no") anche all'interno della Chiesa cattolica romana, in particolare nel mondo teologico. Da parte sua, Giovanni Paolo II, che già aveva approvato DI "con certa scienza e con la sua autorità apostolica", all'Angelus del 1° ottobre ha ribadito: il testo è stato "approvato da me in forma speciale".

Del complesso documento segnaliamo qui alcuni dei passaggi che più hanno attirato critiche. La costituzione dogmatica sulla Lumen gentium (LG) del Vaticano II afferma al n. 8 che la Chiesa proclamata nel Credo una, santa, cattolica ed apostolica "sussiste nella (subsistit in)" Chiesa cattolica romana. Al posto di questo verbo latino Pio XII aveva invece usato "è" (est). La distinzione è sottile, ma sostanziale, e insistendo sul subsistit in molti teologi avevano detto che la Chiesa cattolica è "una delle" possibili realizzazioni storiche della Chiesa di Cristo, come lo sono altre. Ma la DI al n. 16 di fatto riafferma che la Chiesa romana "è" la Chiesa di Cristo. E, al n. 17, sostiene che le chiese nate dalla Riforma del secolo XVI "non sono Chiese in senso proprio". Ancora, DI ignora del tutto il rapporto Chiesa-Israele e afferma (n. 22) che, se anche i seguaci delle altre religioni che ignorano Cristo possono, se vivono rettamente, salvarsi, tuttavia "essi oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici".

(D. G.)