Rigidità del dogma, mobilità dello Spirito

È sbagliato dare una lettura riduttiva della "Dominus Iesus." È un documento che segnerà scelte e comportamenti della Chiesa cattolica anche nei prossimi anni: un documento centrato sui temi ecumenici e del dialogo interreligioso, ma che ignora le esperienze compiute in questi decenni da parte di tante comunità e in diverse parti del mondo.

Le sintesi degli interventi che proponiamo in questa sezione non sono state riviste dagli autori.

La Dominus Iesus (DI) è autorevole, e non può essere trascurata dai cattolici perché affronta, con argomenti seri, un problema teologico importante e urgente e perché sollecita esplicitamente ricerche teologiche. In questo senso apre delle prospettive per il futuro. […].

Si è cercato da qualche parte di contrapporre Ratzinger al papa ma, su questi argomenti, l'operazione è scorretta e infruttuosa. Del resto, all'Angelus del primo ottobre lo stesso Giovanni Paolo II ha detto che la DI è stata "approvata da me in forma speciale".

Il libro del gesuita Jacques Dupuis (Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso - vedi Confronti 2/99) è stato solo l'ultimo stimolo, per la Congregazione della dottrina della fede (Cdf), per affrontare un tema essenziale per le scelte teologiche e pastorali della Chiesa cattolica romana nel prossimo futuro. […]. Tra l'altro, sul tema della "unicità ed universalità salvifica di Cristo" la Cdf ha tenuto in gennaio una riunione straordinaria dei suoi membri. Allora, nella sua introduzione, il card. Ratzinger aveva presentato quello affrontato come "un grave problema dottrinale al quale la Chiesa deve necessariamente dare una risposta… in considerazione della diffusione di idee ed opinioni errate e confuse presenti non soltanto nell'ambito della discussione teologica, ma anche in certi modi di pensare e nel linguaggio di gruppi e associazioni ecclesiali". […]. Da parte sua, ricevendo il 28 gennaio 2000 i membri della stessa Cdf, il papa […] dichiarava "contraria alla fede della Chiesa" l'affermazione del "carattere limitato della rivelazione di Cristo, che troverebbe il suo complemento nelle altre religioni".

La DI riprende tra l'altro queste ed altre espressioni del discorso papale, insieme anche a molte affermazioni della Redemptoris missio, enciclica del 1990. Il valore della Dominus Iesus è relativo, per la sua consapevole e dichiarata impostazione, per alcune scelte teologiche compiute e per le corrispondenti argomentazioni. Essa infatti afferma esplicitamente di non volere "trattare in modo organico la problematica" affrontata, né di volere "proporre soluzioni alle questioni teologiche liberamente disputate" (3). Essa vuole "riprendere la dottrina insegnata in precedenti documenti del Magistero, con l'intento di ribadire le verità, che fanno parte del patrimonio di fede della Chiesa" (3). Nel fare ciò, tuttavia, DI non tiene in alcun conto le esperienze dell'ecumenismo e del dialogo interreligioso compiute nei decenni dopo il Concilio da varie comunità e in diverse parti del mondo. Essa procede, invece, dalla semplice analisi delle formule di fede che ci provengono dal passato. Resta ancorata alla dottrina del Concilio come se fosse l'ultima e definitiva dell'espressione della fede cristiana. È, questa, una scelta di metodo che rivela una concezione della teologia oggi discussa e contestata. Anche alcune prospettive cristologiche ed ecclesiologiche della Dominus Iesus possono essere discusse.


Le prospettive aperte dalla Dichiarazione

La DI più volte invita i teologi ad approfondire alcuni temi che essa considera essenziali per la vita cristiana. In particolare essa dichiara che "alcuni problemi fondamentali rimangono aperti a ulteriori approfondimenti" (3), sottolinea la necessità di chiarire il rapporto tra Chiesa e Regno di Dio (18), di precisare l'apporto (la mediazione partecipata) delle altre religioni alla storia salvifica (14) e quindi di determinare meglio i modi con cui la grazia di Cristo perviene ai non cristiani (21). Il documento riconosce implicitamente che su questi punti le spiegazioni addotte sono insufficienti e che i dati richiamati non si armonizzano fra loro in modo soddisfacente.

Sul rapporto esistente tra il Regno di Dio e la Chiesa, DI si muove con circospezione, consapevole della complessità del problema. A proposito delle chiese e comunità separate da Roma, DI afferma chiaramente che "lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica" (17). Quando però precisa le ragioni della diversità, la DI mostra i suoi limiti.

Il primo limite appare nella concezione di Chiesa. La DI presenta la Chiesa come mistero salvifico […]. Ma questa Chiesa viene semplicemente identificata con la Chiesa cattolica. Si dice infatti: "I fedeli sono tenuti a professare che esiste una continuità storica tra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa Cattolica. È questa l'unica Chiesa di Cristo che il Salvatore nostro, dopo la sua risurrezione, diede da pascere a Pietro (Lumen gentium=LG 8)" (n.16). Da notare che nel testo conciliare "questa" è riferita alla Chiesa mistero di cui si dice che tale "comunità di fede, di speranza e di carità… in questo mondo costituita e organizzata come società sussiste (subsistit in) nella Chiesa Cattolica" (8), mentre invece nella DI l'aggettivo "questa" è riferita alla Chiesa cattolica. Per cui si afferma non solo che la Chiesa cattolica è in continuità con la Chiesa fondata da Cristo (cosa indubitabile), ma inoltre si dice che essa "è" la Chiesa fondata da Cristo. In questo senso si vanifica la distinzione introdotta appositamente dal Concilio con la formula "sussiste nella Chiesa cattolica". Per questo poi la DI è costretta ad aggiungere al testo conciliare un "pienamente" assente nella LG. Scrive infatti: "La Chiesa di Cristo... continua a esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica" (16).


Mediazione delle altre religioni nella salvezza

Su questo punto la DI procede con ritrosia, ma non può fare a meno di ammettere quello che già è acquisito, anche se non tutti i testi più significativi vengono citati. La DI riconosce che "il Regno di Dio, anche se considerato nella sua fase storica, non si identifica con la Chiesa nella sua realtà visibile e sociale. Infatti non si deve escludere l'opera di Cristo e dello Spirito fuori dei confini visibili della Chiesa" (19). Afferma che altre tradizioni religiose "contengono e offrono elementi di religiosità che procedono da Dio" (21) e che quindi "i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina" (22). In questo senso parla di una "mediazione partecipata" (14) delle religioni alla storia salvifica, dato che, come afferma LG 62, "l'unica mediazione del Redentore non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione, che è partecipazione dell'unica fonte" (14).

Singolare è il fatto che questa espressione, con cui il Concilio Vaticano II spiegava la partecipazione attiva di Maria alla storia salvifica, venga qui riferita alla "mediazione" delle religioni non cristiane. Questa applicazione ha un particolare valore teologico perché costringe la Chiesa cattolica romana a riconoscere la funzione essenziale delle altre religioni per la sua stessa missione e quindi per lei la necessità del dialogo. Se infatti si afferma che la Chiesa è detentrice della salvezza e si sostiene che le religioni hanno un ruolo storico ed essenziale nella sua realizzazione, la Chiesa deve ammettere che le religioni possono arricchirla in ordine alla sua stessa missione. Per questo DI parla di un "mutuo arricchimento, nell'obbedienza alla verità e nel rispetto della libertà" (2).

In questa luce deve essere esaminata dettagliatamente l'affermazione: "Sarebbe contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni, le quali sarebbero complementari alla Chiesa, anzi sostanzialmente equivalenti ad esse, pur se convergenti con questa verso il regno di Dio escatologico" (21). Ma se sono necessarie perché la Chiesa svolga la sua missione, perché le religioni non possono essere dette complementari alla Chiesa? Il pluralismo di diritto e non solamente di fatto viene rifiutato dalla DI (4), ma senza argomenti, e ricondotto al relativismo; ma in realtà è ben distinto. Il relativismo afferma infatti che tutte le religioni sono uguali, che cioè "una religione vale l'altra" (22). Il pluralismo, però, non afferma questo, bensì sostiene che tutte le religioni sono diverse tra loro e che ciascuna ha una sua specificità, complementare a quella altrui. […].


Le prospettive che la Dichiarazione non indica

Vi sono infine alcune prospettive che la DI non è stata in grado di indicare per la scelta teologica compiuta, in particolare per il metodo seguito. La DI procede secondo il metodo deduttivo e documentario. Per questo resta fissa al passato. Non va oltre il Concilio Vaticano II. Gli ultimi trentacinque anni della vita ecclesiale - il post-Concilio - per essa non hanno valore; i segni dei tempi non vengono considerati. Per questo alcuni punti nella Dichiarazione restano carenti. Ne indico due: la prospettiva cristologica e la scelta ecclesiologica. […].

L'impostazione della DI è ancora statica. Credo che nel futuro l'ecclesiologia dovrebbe sempre più muoversi in un orizzonte dinamico. Perché pensare che la struttura ecclesiale debba sempre restare la stessa? Se lo Spirito deve condurre alla verità tutta intera, non si dovrebbero attendere anche novità strutturali della Chiesa? La distinzione che, nel descrivere la Chiesa, il Concilio introduce con il verbo subsistit - invece di est (è) - non implica forse la tensione escatologica della Chiesa verso una pienezza che ancora non possiede? In questa prospettiva l'avverbio pienamente aggiunto dalla DI (16) non dovrebbe essere inteso in senso assoluto, ma relativo ai tempi e alle culture.

Nella Dominus Iesus non viene mai precisato se la piena esistenza della Chiesa mistero nella Chiesa cattolica sia attuale, virtuale o potenziale. La Chiesa sussiste nelle strutture della Chiesa cattolica già compiutamente? O è in corso di realizzazione? E se si realizzerà solo al termine del processo, lungo la via le altre comunità ecclesiali e anche le altre religioni sono fattori essenziali del divenire? Il fatto della piena "sussistenza" della Chiesa dovrebbe comunque essere costantemente verificato, perché certamente nel tempo le strutture della Chiesa cattolica hanno consentito infedeltà e tradimenti.

Carlo Molari