Bisogno di coraggio

Tra i risultati del dialogo ecumenico di questi anni, vi è l'accordo tra la Conferenza episcopale italiana e la Chiesa valdese sui matrimoni interconfessionali. L'autrice, presidente della Commissione per le relazioni ecumeniche della Chiesa valdese, ha fatto parte della commissione che ha redatto tale accordo.

"Che fare dunque per circoscrivere i conflitti innescati dal proselitismo? L'unica strada che sembra possibile percorrere è la ricerca di un accordo tra le comunità religiose disposte a rinunciare ad attività proselitistiche che, pur non essendo illegittime, possono risultare offensive per la sensibilità religiosa e culturale di una popolazione". Così scrive Silvio Ferrari sul Regno (4/2000) prospettando la necessità di una autodisciplina delle religioni: una proposta audace, forse anche paradossale, pur dando al termine proselitismo non l'accezione negativa della imposizione di una fede con un qualsivoglia mezzo, ma quello della testimonianza e dello sforzo di portare altri alla fede, un compito che risponde al mandato stesso, in misura maggiore o minore, di tutte le religioni.

Ora, a proposito del dialogo ecumenico tra cattolici e protestanti, potrà sembrare non appropriato parlare di confronto tra culture: dagli aspri conflitti del passato si è passati in questo secolo a una volontà di dialogo che si è già espressa in una sua storia; eppure, come abbiamo visto, non mancano di emergere anche oggi gravi segni di conflitto.

Potremmo ravvisare nei recenti accordi intercorsi tra Chiesa valdese (Unione delle chiese valdesi e metodiste) e Conferenza episcopale italiana sul tema dei "matrimoni misti" interconfessionali (prima un Testo comune di indirizzo pastorale, nel 1997, e poi un Testo applicativo dei principi che vi sono espressi, firmato quest'anno) un piccolo esempio di quell'accordo tra comunità religiose che sembra la sola strada percorribile per superare i conflitti? Forse questi accordi possono anche essere considerati uno di quei "passi eccezionalmente importanti", pur nel loro piccolo, che hanno reso visibile il dialogo religioso inter-cristiano nel nostro paese. Vorrei sottolinearne due aspetti, che penso valgano per qualsiasi dialogo, anche a livello interreligioso: il confronto tra le culture di base e la ricerca di un terreno comune.

Nei 12 lunghi anni del dialogo che abbiamo portato avanti in due commissioni paritetiche ci siamo spesso imbattuti anche in un confronto tra culture diverse, sia pure all'interno della comune matrice cristiana. Nel suo incarnarsi nella storia il cristianesimo è stato infatti profondamente segnato, come sappiamo, dalle vicende religiose e storiche che lo hanno accompagnato e che hanno portato al formarsi delle tre grandi confessioni cristiane: ortodossia, cattolicesimo romano e protestantesimo. Mi limiterò ovviamente a parlare del protestantesimo, nel senso di promotore di una cultura diversa; la vicenda protestante si è articolata come sappiamo in varie espressioni particolari, ma esse si richiamano tutte fondamentalmente alla Riforma di Lutero e Calvino con i suoi principi cardine, tra i quali troviamo il libero accesso alla Bibbia - e quindi l'alfabetizzazione del popolo per una lettura individuale delle Scritture; il sacerdozio universale dei credenti, cioè il rifiuto delle mediazioni sacerdotali - che ha poi visto la sua espressione nel nascere della democrazia; il riconoscimento dell'azione unilaterale dello Spirito di Dio, che crea la Chiesa come comunità di credenti, senza mediazioni gerarchiche - e che nella storia ha aiutato a passare dalla nozione di "suddito" a quella di "cittadino".

Nel nostro dialogo, che ha dovuto superare anche non indifferenti diversità di linguaggio, il confronto è stato possibile perché ci siamo ancorati ad alcuni principi: riconoscimento e rispetto della diversità delle reciproche posizioni, cercando di cogliere con attenzione il patrimonio di fede di ciascuna; riconoscimento degli elementi comuni del matrimonio fra cristiani, e cioè radicamento del matrimonio nella creazione, fedeltà, durata; conservazione di un legame fecondo con le chiese di appartenenza.

Oggi, però, il discorso del futuro appare più difficile e nebuloso a causa proprio delle recenti prese di posizione della Congregazione per la dottrina della fede, che traccia un solco di separazione tra la Chiesa cattolica e le altre chiese, per non parlare delle altre religioni. Ma sappiamo che non si può certo fermare il corso della storia, come non lo possono le prese di posizione di alcuni partiti politici in Italia. Il confronto è aperto ed esige che tra le regole del gioco fondamentali vi sia quella del rispetto dell'interlocutore per come lui o lei vede la propria identità, e dell'accettazione della sua diversità una sfida da vivere senza cedimenti, ma anche senza chiusure preconcette.

Già nel 1968 il Consiglio ecumenico delle chiese, nel suo documento finale, parlando dell'unità delle chiese, enunciava un traguardo ulteriore: l'unità dell'umanità. È infatti nel richiamo a una comune umanità che possiamo trovare oggi gli strumenti per un confronto che non sia di conflitto, e tanto meno di un conflitto armato, ma fonte di promozione personale, culturale e religiosa per tutti.

Maria Sbaffi Girardet