LE ORIGINI DELLA LINGUA ITALIANA
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Le origini della lingua italiana

L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Oltre che in Italia, è parlato anche nella Repubblica di San Marino, in alcune aree della Svizzera (Canton Ticino, Grigioni), della Francia (Corsica, Nizza) e della ex Jugoslavia (Istria e Dalmazia); è lingua di cultura a Malta e nelle ex colonie africane.
L'italiano deriva dal Latino, la lingua parlata dagli antichi Romani e su questo punto voglio soffermarmi per ben spiegare come si è arrivati dal Latino all'Italiano.
Roma aveva diffuso fra le genti sottomesse non solo la propria civiltà, le proprie leggi, le proprie istituzioni, ma anche la propria lingua, soprattutto nelle regioni dell'Europa occidentale. Nonostante le invasioni barbariche, queste regioni rimasero strettamente legate alla tradizione romana, tanto da essere ancora chiamate, con termine comprensivo, Romania anche quando da tempo gli invasori germanici le avevano suddivise in nuove e distinte unità statali, la Francia, la Spagna, l'Italia. Per secoli l'espressione romanice loqui (=parlare in lingua romana) fu usata per designare l'idioma delle popolazioni di questi territori, contrapposto a quello dei Germani conquistatori. Ma il frazionamento politico conseguito alla caduta dell'Impero Romano e l'estremo diradarsi dei contatti spirituali e materiali fra le popolazioni che un tempo ne facevano parte, fecero sì che dove prima esisteva una lingua sostanzialmente unitaria si sviluppassero delle parlate locali che si vennero progressivamente differenziando fra loro e dal latino originario, fino ad acquistare il carattere di lingue nuove e distinte. Esse sono: l'italiano, il portoghese, il catalano, il francese, il provenzale, il ladino, il romeno.
Romanze, dall'aggettivo romanicus (derivato da Romania) sono dette queste lingue, o anche neolatine, perché sono considerate come delle nuove lingue nate sul tronco dell'idioma latino.

Le Lingue Romanze

Le lingue romanze derivano gran parte del loro lessico dal latino antico, sia pure con certe alterazioni fonetiche (es. viridis = verde; plebs = pieve), mentre, per quel che riguarda la morfologia e la sintassi, le trasformazioni sono più decise (sono, ad es., totalmente cadute le declinazioni delle parole). Tuttavia si avverte una maggiore somiglianza fra le lingue nuove e l'antica se le confrontiamo non col latino letterario che leggiamo nelle opere dei grandi scrittori antichi, ma con quello parlato, del quale abbiamo testimonianze scarse ma significative.
Latino letterario e latino parlato non sono due lingue distinte, ma la medesima lingua usata con modi e finalità espressive diversi. Il latino letterario è la lingua degli scrittori, caratterizzata da una certa sceltezza ed eleganza di vocaboli e di costrutti, mentre quello parlato ha la scioltezza e semplicità della conversazione quotidiana e familiare, anche se guarda alla lingua degli scrittori come a un modello al quale i parlanti tanto più s'ispirano quanto maggiore è la loro cultura. Tale differenza sussiste anche oggi, in ogni lingua, ma mentre ora si tende a scrivere come si parla, nei tempi antichi lo scrivere era soggetto a una rigida regolamentazione retorica, cosicché il latino letterario subì, col tempo, delle variazioni - come ogni lingua - ma meno rapide e integrali di quelle del latino parlato.
http://guide.supereva.it/scienze_della_terra
/interventi/2003/06/137619.shtml

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