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Festival Mediterraneo 2000

Progetto Mediterraneo































Aria, Acqua, Fuoco, Terra, e il Mediterraneo è tutto questo: Nel 1952 la casa editrice Einaudi pubblicava un libro dello storico francese Fernand Braudel "Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell'età di FIlippo II". Il libro presentava il "Mare Nostrum" come il mosaico ricco e movimentato di un'unica civiltà e un unico destino. In un certo senso smentiva anche, chi al Mediterraneo aveva pensato solo per le sue deità: Mare, Cielo, Sole e introduceva il suo discorso dicendo: "Il Mediterraneo si definisce un mare tra terre", subito aggiungeva: "il Mediterraneo non è forse, anzitutto un mare tra montagne?" Così, in maniera nuova, bella e inedita si annunciava un modus sorprendente di presentare questa autentica parte del mondo iniziatrice della civiltà occidentale.

Non più solo le allucinazioni solari, i templi di luce, le assenze pomeridiane delle pianure litoranee era il volto del mediterraneo, ma "le nevi permanenti", "i ghiacciai" delle montagne, i poggi erbosi delle colline continentali, i deserti tutti intorno (sabbia e steppa), civiltà di pastori, nomadi e transumanti, i boscaioli, montanari in cerca di fortuna, monaci agricoltori, anacoreti insieme a mercanti, avventurieri, profughi, si aggiunsero allora ad ingrossare la folla brulicante delle genti mediterranee che, da una costa all'altra, dalle montagne ai litorali, avevano fatto la storia di questo mare e della nostra nazione.
Per secoli, così gli uomini del Mediterraneo, delle isole e delle penisole, degli altipiani, dei litorali e dei deserti sono emigrati, hanno commerciato,navigato con le loro imbarcazioni:cargos, caravelle, kamaki, tercios; per seco li i dromedari arabi hanno attraversato il deserto, i pastori sono saliti e scesi in montagna o a valle in cerca di pascoli freschi; per millenni e ancora oggi i mercanti hanno trasportato merci e cultura, costumi e religioni, epidemie e malattie dall' or iente all' occidente e dal mare sono arrivati speranze e pericoli, guerrieri e anacoreti, culture e nuove civiltà: stratificazioni, accumuli, rapporti che ci hanno fatto ciò che siamo.
E l'Italia? Braccio di terra tra l' Adriatico e il Tirreno, una ferita aperta nel Mediterraneo, l'Italia è stata una delle nazioni al centro di questi traffici, terra di attraversamento in bilico fra Oriente e Occidente, a volte addirittura lontana dalla penisola europea interamente mediterranea con il suo altipiano alpino e preappenninico: le colline e le piane costiere coperte da "selve d'ulivi". Riserva in passato, di grano e di olio. Contesa per i suoi boschi di alti foggi dalle Alpi al Gargano e i suoi porti che dominano l'imbocco dell'Adriatico e del Tirreno. Così, sin dall'inizio, la nostra terra ha fatto parte della "Grande" storia del mediterraneo frontiera di imbarchi, di crociate, di linguaggi, di commerci; terra di conquista e di occupazione. Per tutto ciò siamo coscienti, ad esempio che il Sud come il Nord è alla ricerca di una sua presenza nel dibattito culturale e che troppo spesso è finito a rimorchio di discorsi già fatti, importando iniziative di seconda mano e arrivando male e in ritardo; il più delle volte trasformato in area di servizio periferico dove parcheggiare una qualche politica culturale. Per questo nasce il Festival Mediterraneo, il progetto umano multietnico che vuole istituire nell'interland dell'Itali a intera un pregio letterario affinché la comunicazione arrivi e incida, occorre un Luogo Possibile.
Un sogno. In una terra, l'Italia dove al fascino architettonico della nuda pietra si unisce l'intimo sapore del mare Mediterraneo. Il Festival è un umile tentativo, un piccolo passo verso questo Luogo Possibile. Vogliamo tracciare un sentiero che per molti anni qualcuno, forse troppi, hanno tentato di seppellire o di oscurare in maniera funzionale e secondaria ai propri intenti.


Da molti anni Il Teatro dell'Impegno di Conversano (Bari) promuove il Festival Mediterraneo, dieci anni. Il problema non è quello di spingere artisti, stili e forme diverse sotto un'unica bandiera culturale mediterranea, quanto di richiamarli alla possibilità di un progetto comune di ricerca ognuno con le sue diversità tra la "nuova Europa" e il Medioriente. E perciò rimangono scandalosi il ritardo, la disinformazione in Italia sulle varie letterature, ad esempio dell'Africa settentrionale o dei paesi arabi. Non se ne sa niente e nel frattempo abbiamo accumulato ritardi notevoli o comunque si lavora sul passato. E nessuno si è chiesto in tutti questi anni perché si è chiuso la porta in faccia o semplicemente non si è ritenuta degna la letteratura che veniva dal Sud, dal Mediterraneo. E così c'è chi ha pensato bene di ritenere chiuso definitivamente la questione di un'arte mediterranea; ma quest'idea non può essere condivisa da chi vive in maniera drammatica e sulla propria pelle le trasformazioni reali e intellettuali di questo pezzo di mondo che è l'Italia.

Al di là di tutto questo, ciò che ci preme è la constatazione di come nazioni più ricche, potenti e meglio organizzate, impongano la loro cultura spinti dal proprio apparato economico-industriale, mentre altre aree più povere o neglette, oggi, un tempo sedi di sontuose e raffinate civiltà, sono da tempo ridotte al silenzio. E allora la riuscita del progetto mediterraneo dipenderà da tutti coloro che man mano parteciperanno, aderiranno e saranno protagonisti autentici. Toccherà a loro accettare o meno l'idea di un progetto comune e universale che miri dentro e fuori della cultura alla rifondazione delle cose e ai rapporti sullo sfondo di civiltà, uomini e paesi duramente provati da storia e natura.
E non porre questo problema, con il tempo, forse, per le nuove generazioni, potrà significare non avere un modello culturale da proporre. Ciò che occorre cambiare, invece, in questo quadro d'orizzonte è la direzione presa dagli studiosi, dal pubblico, dai mass-media, insinuando il dubbio che non esista solo una cultura ma una pluralità di culture che si esprimono e sono voci di una identità di popoli.
Se questo non sarà capito il nostro mondo, le nostre regioni diverranno sempre più povere.

(Gino Locaputo)
direttore artistico



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