L a  n o s t r a  s t o r i a

 

«La storia dei Cooperatori Salesiani - scrisse don Bosco di proprio pugno in un documento del 1874 - risale al 1841 quando si cominciò a raccogliere i ragazzi poveri e abbandonati della città di Torino. Si raccoglievano in appositi locali e chiese, erano istruiti e avviati a ricevere degnamente i sacramenti, trattenuti in piacevoli e oneste ricreazioni. Al disimpegno dei molti e svariati uffici si unirono parecchi signori che con l'opera personale o con beneficenze sostenevano la cosiddetta Opera degli Oratori. Essi prendevano nome dall'ufficio che ricoprivano ma in generale erano detti Cooperatori (...). Superiore degli Oratori era il sacerdote Bosco» (MB. XI, 84-86).
Sebbene il progetto di don Bosco non escludesse le «Cooperatrici» di fatto presenti nell'opera degli oratori, a cominciare da Margherita Occhiena madre del fondatore stesso insieme ad altre varie signore a lui vicine, di esse non si faceva menzione esplicita. Il papa Pio IX le volle nominate expressis verbis: «Le donne - disse - ebbero sempre parte principale nelle opere della Chiesa e nella conversione dei popoli. Esse sono intraprendenti e benefiche, anche per inclinazione naturale, più degli uomini. Senza le donne vi privereste del più grande aiuto...". Don Bosco, per il quale ogni desiderio del papa era un comando, subito accondiscese.
Oggi si sa abbastanza bene che cosa siano e che cosa vogliano i Cooperatori Salesiani. Peraltro non pochi perdurano nell'errore di credere che essi si riducano a un «elenco di benefattori» o tutt'al più quasi a un corpo di ausiliari i quali, fiancheggiando la Società Salesiana, a questa colleghino strettamente ed esclusivamente la loro cooperazione. «Non così la pensava don Bosco che - sottolineano le sue Memorie Biografiche - tra il serio e il faceto definì ad un amico parroco i Cooperatori Salesiani come la massoneria cattolica per la loro propria santificazione e per la diffusione del bene nella società e nelle famiglie...
Don Bosco indubbiamente mirò alto e mirò lontano» (MB. XI, 87-88).

Veri Salesiani, ma d'altro tipo

Lo scritto del Fondatore fa risalire la nascita dei Cooperatori alle origini stesse dell'oratorio, molto antecedenti agli inizi della Società Salesiana. Esso è autorevole in quanto documento destinato alla Santa Sede in vista dell'approvazione ufficiale, ottenuta infatti due anni dopo (1876).
Questi tipici membri della Famiglia Salesiana, pertanto, «non sono l'ultima ma la prima fondazione di don Bosco che per dieci anni li ha aggregati nel gruppo dei primi salesiani a formare un'unica Società di san Francesco di Sales, con la speranza che Roma avrebbe sanzionato definitivamente questa situazione. Dopo il rifiuto di Roma, li ha ristrutturati sulla base di un regolamento strettamente ispirato alle Costituzioni Salesiane. Così la comunione dei due gruppi è un elemento certo e potente della identità dei Cooperatori...» (Aubry).
Fanno perciò parte sostanziale e integrante della Famiglia Salesiana di don Bosco. Affiancati canonicamente ai Salesiani ed alle Figlie di Maria Ausiliatrice, protendono nel mondo il suo spirito ed il suo apostolato, come i terziari degli antichi Ordini religiosi, seguendo il regolamento del Santo fondatore e le direttive dei suoi successori, nel movimento, oggi coordinato dalla Chiesa, dell'apostolato dei laici.

Don Bosco li ha concepiti come Salesiani esterni, come la sua longa manus nel mondo; non legati da voti, nè da vita comune, ma con lo stesso anelito e programma di concorrere, ciascuno secondo la propria condizione e le proprie possibilità, alla salvezza delle anime e soprattutto alla cristiana educazione della gioventù.
Fino al 1874 aveva tentato di tenerli uniti, come s'è detto, molto strettamente nella stessa Società Salesiana e ne aveva fissato la configurazione giuridica in pochi articoli delle Costituzioni. Sacrificato questo suo progetto originario per adattarsi alle disposizioni della Santa Sede, tra il 1874 ed il 1876 lì organizzò secondo il consiglio di Pio IX nella Pia Unione dei Cooperatori Salesiani che lo stesso Sommo Pontefice dotò delle Indulgenze e Privilegi del Terz'Ordine Francescano, con «Breve» del 9 maggio 1876, iscrivendosi egli per primo. Indulgenze e privilegi vennero in seguito modificati ed ampliati nel 1904 dal santo Pontefice Pio X, Cooperatore Salesiano, nel 1943 da Pio XII, nel 1968 da Paolo VI. Autorevoli documenti ed allocuzioni pontificie hanno in seguito aggiornato ed esaltato la missione dei Cooperatori Salesiani nella Chiesa e nel mondo.

Un «Modo pratico» d'intervento

Un chincagliere, un conte, un marchese e una madre in mezzo a una schiera turbolenta e vociante di ragazzi guidati da un prete chiassoso: ecco i primi Cooperatori Salesiani. La società di don Bosco non era ancora nata, ma essi erano già lì, ai posti di combattimento, nonostante l'invito dell'autorevole marchese di Cavour a tralasciare quei poveri «mascalzoni», fortemente sospetti allo Stato laico nascente per quel loro assembrarsi tumultuoso e clericale. Questi conti e marchesi, queste mamme e chincaglieri si chiamavano Cays, Fassati, Callori di Vignale, Scarampi di Pruney, Gagliardi e Margherita Bosco.... uomini e donne diversi, lontani, vari, ma uniti tutti da uno stile inconfondibile, salesiano.

C'era chi insegnava nella scuola serale, chi pagava l'assistenza, il catechista, il responsabile dei giochi e del tempo libero, c'era chi lavava camicie e pantaloni e chi cercava lavoro «presso ad onesto padrone»: tutto ciò per i «ragazzi pericolanti ed abbandonati», perché un giorno potessero divenire «buoni cristiani ed onesti cittadini»,. Un «modo pratico» insomma, «un mezzo di operare», per «poter giovare al buon costume ed alla civiltà», sostituendo alle parole e alle promesse «fatti, sollecitudini, disturbi e sacrifizi».
Ufficialmente i cooperatori nascono nel 1876: essi sono «coloro che desiderano occuparsi di opere caritatevoli non in generale, ma in ispecie, d'accordo e secondo lo spirito della Congregazione di san Francesco di Sales». La loro forza sarà l'unione: infatti «un cooperatore di per sé può fare del bene, ma il frutto resta assai limitato e per lo più di poca durata. Al contrario unito con altri trova appoggio, consiglio, coraggio e spesso con leggera fatica ottiene assai, perché le forze anche deboli diventano forti se vengono riunite».
Una specie di terz'ordine, dunque, aperto a tutti e non vincolante a voti: anzi nella cooperazione la salesianità viene vissuta in una forma del tutto originale e personalizzata, come volle don Bosco, in modo che ciascuno sia nelle condizioni di parteciparvi secondo il grado e la vocazione che gli sono propri. Così in poco tempo il numero degli associati crebbe rapidamente dapprima in Italia, Francia e Spagna, poi in tutte le altre aree del mondo spesso anticipando gli stessi salesiani nell'estendere il loro raggio di espansione. Pio IX, Leone XIII, Cesare Cantù, Dorotea de Chopitea Serra, il conte di Chambord e l'ebreo nizzardo Lattes sono solo alcuni tra i cooperatori più conosciuti della seconda metà dell'Ottocento.
Il loro campo d'azione si estese ben presto fino a comprendere nella sua completezza l'opera salesiana di tutto il mondo: laboratori d'arte e mestieri, società di mutuo soccorso, colonie agricole, tipografie, scuole diurne e serali, oratori, ospizi, missioni e orfanatrofi videro la luce e la possibilità di un ulteriore sviluppo proprio grazie alla fattiva partecipazione dei cooperatori. Tra di essi Giuseppe Toniolo stava a indicare lo schieramento teorico nella vasta arena del pensiero sociale cattolico.

Strumenti di unione, oltre al «Bollettino Salesiano» operante dal 1877, erano le «conferenze»: là, accanto alla donna illustre ed al nobile gentiluomo, si poteva vedere - siamo nel 1893 - l'umile operaio e la povera donna del popolo, tutti uniti in un solo pensiero, in un medesimo intento, tutti lieti ed orgogliosi di cooperare, secondo le proprie forze, ad una fra le più meravigliose imprese del nostro secolo. Là è la vera democrazia cristiana».
Nel 1895 un grande avvenimento: il 1° Congresso internazionale dei cooperatori. A Bologna a seguire le fasi di questa importante manifestazione giungono a frotte gli inviati delle principali testate giornalistiche del momento: «Il Resto del Carlino», «L'Osservatore Cattolico», «l'Unità Cattolica», «Il Cittadino», «Il Popolo», «La Croix», «Le Monde» e molte altre ancora. Nel congresso il marchese Sassolini-Tomba invoca «il principio sociale cristiano del salario famigliare» mentre mons. Costamagna rivela «le persecuzioni ferocemente barbare mosse dagli europei emigrati contro i poveri indios delle foreste». Alla fine si tirano le somme: i cooperatori, definiti come una grande forza «popolare e sociale», sono invitati a collegarsi a tutti gli uomini «di buona volontà per ottenere, dove è possibile, disposizioni legislative che moderino le esigenze delle grandi industrie» favorendo in questo modo «il miglioramento delle cose operaie»: «la gran questione dei tempi presenti» infatti «è la questione sociale», e di essa bisogna principalmente occuparsi.

Quest'azione «politica» cercherà di rimanere sempre estranea al gioco partitico: solo nel 1919, di fronte alla duplice avanzata del comunismo e del fascismo verrà appoggiato il partito popolare di Sturzo, anche se con prudenza; e dalle elezioni del 1948 a quelle del 1963 i cooperatori saranno costantemente invitati al collateralismo. Per il resto è preferita un'azione indiretta sulle strutture economiche, scolastiche, sociali, politiche e mass-mediali, almeno a livello di associazione, mentre ai singoli cooperatori viene prospettata una presenza individuale negli enti locali e nel parlamento, ispirata a quegli ideali di libertà, giustizia e fraternità che sono in sé valori cristiani.
II Concilio Vaticano II rappresenta una pietra miliare per la Pia Unione dei Cooperatori: rinnovamento, dialogo, apostolato, dignità laicale sono i termini significativi di uno sviluppo proiettato nel futuro. L'impegno è la parola d'ordine dei nuovi tempi: Nino Barraco, un cooperatore salesiano di Palermo, biasima quei «cristiani disposti nella migliore delle ipotesi a continuare a fare un po' di elemosine: ben sistemati in chiesa, al riparo da tutti gli agguati e da tutte le crisi; serenissimi nella propria comoda casa, al caldo degli affetti, tra un whisky e una partita a poker». La base dell'associazione si smuove a nuove imprese: ad essa viene richiesto un salto di qualità aderente al progresso della storia.

I cooperatori vogliono essere presenti soprattutto là dove l'uomo soffre. Una cooperatrice, Mariella Bussi, può scrivere: «Abbiamo bisogno che le loro pene, la loro muta povertà "punga" la nostra carne e il nostro cuore. Abbiamo bisogno di amarli sempre veramente e fino in fondo. Altrimenti il loro dolore diventa per noi solo un caso da trattare a tavolino, magari per cui pregare, ma non sangue di fratelli veri con cui dividere tutto. Diventeremmo solo dei "sensibili" e non dei "compromessi", dei pietosi e non degli innamorati, dei filantropi e non degli uomini che vivono in Dio». I cooperatori oggi sono sparsi in tutto il mondo, dall'Europa alle Americhe, dall'Africa all'Asia e all'Australia: sono molte decine di migliaia, tra uomini e donne che a diverso livello si impegnano in un'azione cristiana sul modello salesiano, a partire dalla famiglia per raggiungere i più vasti aggregati sociali.
«L'Opera dei cooperatori - disse un giorno don Bosco - è fatta per scuotere dal languore nel quale giacciono tanti cristiani, e diffondere l'energia della carità»: questa infatti, nel suo duplice aspetto, contemplativo e attivo, è la ragion d'essere dei cooperatori, «veri salesiani nel mondo» e «semplice unione di apostoli dell'umanità».