La storiografia strumentalistica posta
in essere a proposito dell'attacco gallo-corso in Sardegna e del tentativo dei bonifacini
di riprendere le Isole Intermedie, ha quasi sempre trascurato la fase che
precedette la fallita impresa dei francesi, le precise avvisaglie che si erano avute sulle
loro intenzioni, i preparativi di difesa da tempo predisposti per respingere l'attacco, la
partecipazione dei galluresi ed in particolare i timori sull'affidabilità dei maddalenini
nella lotta contro i loro parenti corsi. La produzione del passato, nata sempre in un
clima di politica antifrancese, ha di solito fatto apparire quegli avvenimenti come uno
spontaneo accorrere della popolazione maddalenina e gallurese in difesa dell'isola a
fronte di un proditorio e non annunciato attacco ed ha soprattutto esaltato la decisa
posizione di fedeltà alla corona offerta dagli abitatori corsi stanziati nell'arcipelago
e sottomessi ai Savoia da appena 25 anni.(1)
Vedremo invece, attraverso la ricostruzione che atti
e documenti dell'epoca ci consentono di fare, che le cose andarono ben diversamente e come
i pastori corsi che popolavano le isole della Maddalena, posti di fronte all'alternativa
di accettare definitivamente la sovranità del re di Sardegna o di schierarsi a favore
della loro vecchia patria, furono in pratica "invogliati" a propendere
per la prima soluzione ed a combattere per quella che dovrà poi divenire la loro
definitiva nazione.
Le prime informazioni sullo stato di guerra fra il re
di Sardegna e la Francia della Convenzione nazionale, che aveva appena proclamato la
repubblica, giunsero certamente a La Maddalena, prima che a Cagliari, il 7 ottobre 1792
per il tramite di un emissario inviato dal console sardo a Livorno. (2) Ne dava comunicazione il comandante Riccio (3) in una lettera al viceré con la quale gli
annunciava:
"In quest'oggi, circa le ore quattro dopo
mezzogiorno, è giunto in questa della Maddalena sopra una lancia il capitano della
speronara, il quale ha detto di essere stato spedito da Livorno dal console Baretti
espressamente per portare una lettera diretta all'E.V. di molta importanza, e nel medesimo
momento l'ho fatto trasportare in Sardegna acciò potesse continuare il suo viaggio.
Supponendomi che sia per qualche novità di guerra, come si è fatto intendere detto
capitano, ho spedito un espresso in Porto Pollo al cavaliere Costantino con informarlo di
detto espresso partito da Livorno." (4)
Il Riccio ritenne opportuno, per il momento, di
tenere celata la cosa per non allarmare la popolazione, ma appena cinque giorni dopo,
essendosi la notizia diffusa fra gli isolani, con lettera del 12 ottobre 1792, diretta al
viceré, il quale aveva fatto intendere di voler trasferire le mezze galere stanziate a La
Maddalena per la difesa del paventato attacco su Cagliari, aveva così manifestato le sue
perplessità.
"Siccome non si può più tener celata la
dichiarazione di guerra tra il nostro sovrano e la Francia, devo far nuovamente presente
all'E.V. nelle circostanze che in questa ci troviamo vi è una forte vociferazione che li
nazionali corsi debbano fare una spedizione per venirsi impadronire di quest'isola. E se
le mezze galere si allontanassero sarebbe molto facile, perchè in queste circostanze poco
vi è da fidarsi delli isolani, essendo tutti apparentati in Corsica e della medesima
nazione.
Se fosse per andare contro i barbareschi potrei
compromettermi di loro in tutte le occasioni, ma contro i loro parenti e patriotti non lo
fanno, e io credo che sarebbero in quell'occasione i primi nostri nemici".(5)
Lo stesso giorno il Riccio dava analoga notizia al
governatore di Sassari lamentandosi dell'esigua forza a sua disposizione, dell'annunciata
partenza delle mezze galere per Cagliari e dell'inaffidabilità degl'isolani.
"Siccome si sono avute notizie che la guerra
sia dichiarata tra il nostro sovrano e la Francia, in quest'isola si vocifera fortemente
che li corsi faranno qualche spedizione per venire impadronirsi di quest'isola, io mi
trovo solo con un distaccamento di diecieotto individui, compreso l'ufficiale ed ammalati,
dei quali non ve ne sono dieci boni per un combatto, e delli isolani vi è poco a fidarsi
per che quasi tutti della medesima nazione ed apparentati con li medesimi, che credo in un
occasione di qualche spedizione di Corsica che saranno i nostri primi nemici. Se le mezze
galere si trattenessero in questo posto non vi sarebbe a temere, ma si vocifera che
debbano far vela verso Cagliari o S.Pietro, in quel caso vi sarebbe a temere".(6)
Si pose mano con alacrità al completamento della
batteria Balbiano, a suo tempo voluta dal viceré Thaon Revel per la difesa contro
i barbareschi e rimasta successivamente incompiuta; agli isolani, chiamati a concorrere ai
lavori, si fece indendere che era imminente un attacco dei pirati musulmani. Ed il
pretesto era ben noto alla corte di Torino tanto che, il 31 ottobre 1792, il segretario di
stato Di Cravanzana confermava al viceré Balbiano essere priva di ogni fondamento, "....la
notizia costì datasi, giacché da più riscontri già prima debilitata, dei supposti
preparativi de' barbareschi per portarsi con ragguardevole armamento verso l'isola
Maddalena.
"Con tutto ciò -proseguiva il Di Cravanzana-
ha la M.S. gradito sentire che mediante l'opera dell'equipaggio de' due regi legni di
ritorno a quell'isola, ed il lodevole concorso degli isolani stessi, siasi portato con
modico dispendio al total termine della nuova batteria colà erettasi per contenere
qualunque attentato sbarco degli inimici".(7)
Gli abitanti delle isole tuttavia, sempre attenti a
trarre vantaggio da ogni situazione e a proporre l'immediata contropartita ad ogni loro
prestazione, ne approfittarono per chiedere di essere esentati dal pagamento dell'imposta
dovuta per l'acquisto della carne. La richiesta, inoltrata a Cagliari dal comandante
Riccio, data la delicatezza del momento venne accolta dal viceré con la seguente
motivazione:
"...per animare la fedeltà e coraggio di
codesti isolani potrà significare al sindaco e al bailo che mediante una di lei licenza,
nel modo proposto nel di lei foglio del 28 settembre, permetto di provvedersi nel regno di
bestiame, purchè si trasporti costà e si tenga registro della licenza, per la quale
dispenso la popolazione dal pagamento di 5 reali, e ciò sino a nuova disposizione".
(8)
Il 25 ottobre successivo, il Riccio, che aveva
suggerito quel provvedimento col preciso intento di accattivarsi gli isolani, così
manifestava il suo gradimento:
"Non trovo abbastanza espressioni per
ringraziare l'E.V. della grazia concessami nel levare li cinque reali e mezzo delle
licenze del trasporto del bestiame dalla Sardegna in quest'isola, e non mancherò di
tenere il registro di tutte le licenze che spedirò, e lo farò in maniera che veruno
potrà farne altro uso, come di quelle che spediva lo scrivano che potevano fare il
contrabbando senza pericolo.
Ieri ho comunicato al bailo e al consiglio
comunitativo della grazia che l'E.V. li ha fatta di escluderli dal pagamento delli cinque
reali e mezzo per le licenze. Detto consiglio, tanto a nome suo quanto di tutta la
popolazione m'incaricano di ringraziare l'E.V. e promettono tutti a viva voce e di buon
coraggio essere sempre fedeli al nostro sovrano in ogni occorrenza, ed io non mancherò di
usare tutta la prudenza verso di loro". (9)
Ma le preoccupazioni del comandante Riccio
aumentarono quando il padrone mercantile Pasquale Martini, proveniente dalla Corsica,
annunciò con dovizia di particolari qual'era la consistenza delle forze francesi e quali
fossero le loro intenzioni:
".....nel golfo di Santa Manza -scriveva
al viceré in una lettera del 1° novembre- devono giungere giorno per giorno dieci
vascelli di linea francesi e venti di trasporto che portano cinquemila francesi per unirsi
con diecimila corsi, ed in Bonifacio li hanno già preparato li quartieri, ed al più
breve tempo devono portarsi nei littorali di Gallura e fare il disbarco in Liscia e in
Porto Pollo, dei quali ve ne sono destinati tre mila per venire a prendere quest'isola,
due fregate con qualche feluccone per prendere le nostre regie mezze galere, e inviatone
dire che se noi faremo solamente un colpo di fucile per la nostra diffesa che non ne sarà
più dato verun quartiere, e che saremo lanternati, e che conducono seco loro il carnefice
espressamente.
Io mi trovo a non aver più di dieci o dodici uomini
per combattere, degli isolani in quest'occasione non ne posso far verun capitale per
essere tutti apparentati con li corsi, avendomi fatto intendere qualcheduno dei capi che
se fosse contro i Turchi combatterebbero dieci contro uno, ma con questi non saprebbe cosa
dirmi".(10)
Le notizie erano certamente esagerate, ma ad ogni
buon conto il cauto Riccio, approfittando del fatto che la moglie si trovava in quel
momento in villeggiatutra a Tempio, aveva preferito che la stessa vi rimanesse per non
farle correre pericoli; e poichè la cosa era stata notata e certamente riferita alla
corte viceregia, ad evitare che da questo suo comportamento si ingenerassero ulteriori
apprensioni, il giorno stesso, con una seconda lettera diretta al viceré si giustificava:
"Non mancherò di adempiere a tutti i miei
doveri con tutta onoratezza e animare gli isolani come ho sempre fatto alla loro fedeltà
e diffesa, senza avere dato veruna allarma, perchè li isolani sanno sempre li notizie
avanti di noi per il canale dei suoi parenti di Bonifacio.
L'essere andata mia moglie in Tempio non è stato per
temenza ma per la sua solita viligiatura di ogni anno, ma ora posto che si ritrova la
lascio sino terminati tutti li sussori".(11)
Il Riccio, ancor prima di avvertire il viceré, si
era anche premurato, sin dal giorno precedente, di partecipare al governatore di Sassari
la notizia portata dal Martini, successivamente confermata da Pietro Cogliolo che era
stato allertato da un suo parente in Bonifacio:
"...devo dare la confidenziale notizia che
nell'istante vengo di ricevere da Bonifacio, ed è a momenti si attendono nel golfo di
Santa Manza in Corsica dieci navi di linea francesi e venti bastimenti di trasporto per
prender nella Corsica dieci mila corsi per unirli ad altri cinque mila francesi per venire
a fare il disbarco in Lixia e Porto Pollo, e che faranno una spedizione in quest'isola,
avvertendosi che veruno ardisca di fare diffesa perchè ciò sarebbe il motivo che
abbrucierebbero tutte le case della popolazione e che farebbero un macello della gente, e
che la prima cosa è di portarsi appresso il carnefice".(12)
Il governatore Merli, sebbene per nulla convinto sia
dell'annunciata azione dei francesi, e sia delle notizie sulla consistenza del corpo di
spedizione, dispose comunque i preparativi per la difesa e il 2 novembre, nel rimettere a
Cagliari la lettera del Riccio con un corriere espresso, comunicava al viceré:
"Essendomi questa mane pervenuta la quì
unita lettera del comandante delle isole della Maddalena, Riccio, ho creduto conveniente
radunare il solito congresso per combinare li provvedimenti da darsi. Ed essendosi
determinato di far mettere indilatamente sulle armi tutta la cavalleria della Gallura, si
è accettata l'offerta fatta dal commissario generale in codesto capo, cavalier Manca di
Tiesi, di recarsi ad un tal fine in Tempio. Siccome partirà domani per recarvisi, sendosi
altresì ordinato al regidore don Gavino Valentino di passarvi egli pure per darvi
necessaria assistenza".(13)
Il Merli, come vediamo, pur avendo accettato la
disponibilità di Manca di Tiesi di porsi a capo delle forze per la difesa dell'isola,
pensò subito di farlo affiancare dal tempiese don Gavino Valentino, in quel momento a
Bono con le funzioni di regidore del Goceano. A costui, oltre alle provate
capacità, il Merli riconosceva un particolare carisma nei confronti dei galluresi e degli
abitanti di Tempio per cui riteneva indispensabile la sua presenza in veste di coadiutore
del vecchio Manca di Tiesi. Pur consapevole dell'imminente pericolo, tuttavia, per non
allarmare il Riccio minimizzava la cosa scrivendogli:
"...le notizie statele recate da patron
Pasquale Martini ...combinano, da più a meno, con quelle che si erano già quì avute con
qualche bastimento genovese che toccò in Corsica, ma per dirle ciò che ne penso non pare
che possa darvisi molta fede, giacchè non sembra credibile che possa quell'isola
somministrare una forza di dieci mila uomini, e meno ancora nelle attuali circostanze che
si sa divisa internamente fra più partiti, onde pare piuttosto probabile che possa questa
essere una falsa voce.
Ad ogni modo però essendo cosa prudente in
prepararsi a tutto, le accennerò di aver lasciato le mie disposizioni per far passare in
Tempio don Gavino Agostino Valentino, e parte pure a quella volta il commissario generale
cavaliere Manca di Tiesi per far mettere nelle armi tutta la cavalleria miliziana di quel
partito che so altronde essere già vivamente animata per la comune difesa, riservandomi a
misura delle notizie che mi perverranno di dare quelle ulteriori provvidenze che i casi
potranno esigere".(14)
Adagiato nelle mollezze della corte cagliaritana
l'imbelle Balbiano non sembrava tuttavia aver ben valutato il serio pericolo. Il giorno
dopo, infatti, il 3 novembre, indirizzava al comandante delle regie galere De Costantin,
il seguente messaggio:
"Mi scrive il governatore di Sassari de'
timori invalsi dopo la notizia ricevuta da codesto comandante Riccio che i francesi uniti
ai corsi tentar vogliono uno sbarco a codesto capo e fors'anche all'isola. Io son persuaso
che le notizie sieno esagerate, e sono dirette a semplice prova del valore della nazione.
Ma comunque possano esse aver fondamento, io le replico quanto le ho già scritto, ch'ella
non deve muoversi dal posto né cedere mai d'accordo con la guarnizione se non nel caso
estremo, quando assolutamente dopo un forte contrasto si vedano insuperabili le forze, e
tali da doversi opprimere. Il suo conosciuto zelo, il valor suo ne rassicurano abbastanza".(15)
Al Riccio, poi, il giorno successivo scriveva:
"Il governatore di Sassari, nel comunicarmi
la lettera ch'ella le ha scritto il giorno ultimo del passato ottobre, mi annunzia le
provvidenze che ha opportunamente date per ovviare alla temuta invasione de' francesi e
de' corsi. Io approvo quanto egli ha disposto, e confermandole quanto le ho scritto in
proposito: vale a dire di resistere sino a che non si vedono insuperabili affatto le
forze. Oso di assicurarla che non è presumibile per nessun modo che i nemici si uniscano
in forze tanto superiori di doversi ridurre a timore". (16)
La visione del viceré e quella più prudente ma
rassicurante del governatore non tranquillizzava però gli isolani; il messaggio loro
pervenuto dalla Corsica era fin troppo chiaro, ed ancor più chiaro l'esplicito accenno al
carnefice che annunciava giustizia sommaria per coloro i quali, schierandosi per il re di
Sardegna, avrebbero ostacolato la ripresa delle isole e quindi tradito la loro vera
patria. Per i maddalenini era venuto quindi il momento di decidere la loro sorte e il loro
futuro. Stavolta il "viva chi vince" con il quale si erano sottomessi ai
Savoia 25 anni prima non avrebbe funzionato. La decisione doveva essere una e definitiva:
rifiutarsi di combattere contro i corsi o scendere in campo a fianco dei piemontesi.
Nell'uno o nell'altro caso il martello era grande almeno quanto l'incudine.
In mancanza di precise fonti documentali possiamo
solo supporre che in quei giorni le riunioni dei capifamiglia, le discussioni e le
trattative dovettero essere intense e serrate. Alla fine l'atteggiamento degli isolani fu
chiaro: a fronte delle minacce di ritorsione da parte dei corsi da un lato, e alle
allettanti promesse di privilegi e vantaggi offerti dai piemontesi dall'altro, prevalse
negli isolani la decisione di accettare definitivamente come loro patria le isole
dell'arcipelago sottomesse alla casa Savoia. D'altro canto essi avevano lasciato la
Corsica quando l'isola era sotto la sovranità di Genova e vi avrebbero ora trovato, dopo
la rivolta di Pasquale Paoli, il nuovo e contrastato governo della Francia repubblicana. E
a tal proposito Carlino Sole commenta: "...quand'anche le rivendicazioni della
Francia ...avessero sortito un risultato più favorevole alla comunità di Bonifacio, ben
scarsa propensione avrebbero avuto gli abitanti della Maddalena a ricongiungersi alla
Corsica, dove uno stato di estrema e permanente miseria e gli inevitabili contrasti
interni ...non potevano dare valide garanzie per la loro sicurezza e tranquillità".
(17)
La definitiva decisione degli isolani, maturata dopo
le lunghe riunioni dei capifamiglia, traspare chiaramente da una lettera che l'8 novembre
1792 il comandante De Costantin indirizzava al viceré:
"...in casa del comandante Riccio ...i capi
comuni di questa popolazione, ...mi hanno provata la più viva penetrazione di
riconoscenza verso V.E., e le loro dimostrazioni, come altresì la determinazione di voler
disfarsi della famiglia facendola passare in Sardegna, mi fanno credere che non cederanno
all'attaccamento e prove date per il regio servizio in più occasioni, ma che in queste
contingenze sapranno sacrificarsi per la difesa della patria e per l'onore del sovrano,
come mi hanno promesso".(18)
Con la stessa lettera comunicava il prosieguo dei
lavori di completamento della nuova batteria Balbiano, (19)
l'avvenuta destinazione di parte degli equipaggi delle galere ed in particolare dei
cannonieri al forte S.Andrea (20)
nonché dei lavori nello stesso eseguiti perchè fosse pronto alla difesa.
Lo stesso giorno, però, il comandante Riccio, dopo
aver assicurato che: "...se si presenta l'occasione spargerò l'ultima goccia di
sangue per il nostro piissimo sovrano, e medesimamente animerò di buon coraggio e di
fedeltà tutti quelli che sono sotto la mia direzione", lamentava che per il
prosieguo dei lavori nella nuova batteria "non v'è denaro per pagare il
bisognevole ai lavoratori" e che non era ancora pervenuto l'assegno dei lavori
fatti in precedenza per cui la somma occorrente per "il bisogno dei travagliatori"
era stata anticipata da Giacomo Polverino che ora ne reclamava la restituzione. (21)
Frattanto, i maggiorenti tempiesi, convocati in congresso
dal vescovo, dopo aver manifestato tutta la loro adesione, al temine della riunione
tenutasi l' 8 novembre stilavano un documento che il giorno stesso veniva rimesso a
Cagliari.
"I sottoscritti cavalieri - scrivevano al
viceré - han l'onore di partecipare a V.E. che attese le pressanti notizie d'una
prossima irruzione dei francesi in questi litorali, pervenutili dall'isola della
Maddalena, dove si dice esser approdato in Corsica qualche numero di navi, ha stimato
opportuno il loro degnissimo prelato radunare i rassegnanti nel suo vescovile palazzo,
affinchè unanimi e concordi stabilissero ciò che farebbero per operare nel caso che si
verificassero, e dopo una doverosa offerta fatta dal prelodato vescovo hanno i rassegnati
confermato i veri sentimenti di fedeltà e di religione che rassegnarono all'E.V. con
lettera de' 24 passato ottobre unitamente a questo consiglio comunitativo, con aderire
volentieri alle saggie attenzioni del governo". (22)
L'impegno dei tempiesi fu sottoscrittto da Don
Giambattista Sardo, dall'Avv.to don Giuseppe Gabriele, dal sindaco Don Pietro Paolo Pes,
dall'Avv.to don Francesco Giuseppe Pes, da Don Salvatore Sardo Pes, Don Antonio Pasquale
Guglielmo Pes, Don Andrea Gabriele, Don Raimondo Sardo, Don Salvatore Sardo Riccio, Don
Andrea Pes Riccio e Don Gavino Misorro Riccio.
Una settimana dopo, il 15 novembre, a seguito di
nuove allarmanti notizie pervenute dalla Maddalena al comandante della Gallura cavalier
Battoni, il vescovo riconvocò d'urgenza tutti i maggiorenti tempiesi:
"In questa gionta - scrisse a Cagliari
Giacomo Manca di Tiesi - si propose per la nomina d'un capo per la somministrazione dei
viveri, come altresì per il comando dei capi che anderanno coi paesani per occupare i
posti ove possa passare l'enimico, e tutti unanimi nominarono a me. A questo pregai i
signori della gionta che mi facessaro la grazia di nominarne un altro, ma tutto inutile.
Tornai bel nuovo a replicare che io non ero capace dei posti, a questo mi pregarono che io
avessi nominato a mio piacimento una persona che m'avesse potuto mostrar i posti e siti. A
questo nominai a don Baingio Agustino Valentino, regidore del Goziano, il quale si trova
qua per ordine del governatore di Sassari, persona intelligente e di rispetto, e domani
anderemo per riconoscere i posti.
V.E. resti ben sicura che tutto caso l'enimico venga,
siamo tutti ben disposti a ricerverli a costo delle nostre vite, già per difendere il
nostro clementissimo sovrano, religione e patria. Prego V.E. di scrivermi suo sentimento
se devo o no continuare in questa carica che in questi giorni m'anno addossato, e caso che
V.E. approvi, desidererei venga autorizzato dall'E.V." (23)
Il pavido Manca di Tiesi, che evidentemente non era
per nulla entusiasta dell'incarico che gli era stato conferito, era però certamente a
conoscenza che giorni prima il vicerè Balbiano, con uno strano quanto immotivato
provvedimento che costituisce un giallo che non riusciremo mai a risolvere, aveva ordinato
l'immediato rientro a Bono del Valentino e la sua sostituzione con l'anziano don Lucifero
Mura. La notizia era già pervenuta al governatore di Sassari cavalier Merli, il quale,
per nulla contento del provvedimento viceregio, il 14 novembre, senza mezzi termini, aveva
scritto a Cagliari:
"Li suddetti cavalieri di Tiesi e don Gavino
Agostino Valentino hanno ...rianimato ne' galluresi li dovuti sentimenti di fedeltà e
l'intrepidezza per la comune difesa. Ma ora ho dovuto intendere con mio rincrescimento che
abbia l'E.V. stimato di nominare per suo commissario generale nella Gallura don Mura, uomo
già in età e di nessuna influenza, e nulla affatto a proposito per dirigere i galluresi
a differenza del regidore don Gavino Agostino Valentino, che ha grandissimo credito ed è
seguito e rispettato da tutti in quel partito, d'onde è accaduto che il medesimo ha già
chiesto di ritirarsi, si trovano que' villici disanimati, e lo stesso cavalier di Tiesi ha
pur avuto motivo di lagnarsi del don Mura, che vi è luogo a credere non sia per
disimpegnarsi con buon esito in quest'incumbenza". (24)
Il viceré, che forse a suo tempo non aveva gradito
l'iniziativa del Merli di destinare a Tempio il Valentino senza averlo prima consultato,
malgrado le ulteriori pressioni ricevute, fu irremovibile e il 23 novembre gli scriveva:
"Rispetto al reggidore del Goceano a me
sembra che debba far difetto la di lui lontananza dal contado dove sicuramente può essere
più utile a secondar le di lei premure in caso di invasione del nemico. Siccome poi vedo
ch'ella non ha molta opinione del commissario, don Lucifero Mura, e d'altronde monsignor
vescovo di Civita ed Ampurias mi scrive che i tempiesi desiderano di avere a loro duce il
cavalier Manca di Tiesi, commissario generale della cavalleria, ella lasciando restituire
alla sua residenza il don Gavino Valentino, destinerà il cavalier Tiesi al comando
generale delle milizie nella Gallura, ed io scrivo al Mura di astenersi dal prendere
veruna ingerenza in qualità di commissario se non ne avrà ordine speciale dallo stesso
cavalier Tiesi".(25)
Il Merli, sia pure con gran disappunto, dovette fare
buon viso a cattivo gioco, ma non si astenne da ulteriori commenti e il 24 novembre
scriveva ancora al Balbiano:
"Nel partito della Gallura avendo avuto
positivo riscontro che non erasi ancora lasciato di V.E. verun provvedimento, ho creduto
bene di spedirvi, oltre al commissario generale cavalier don Giacomo Manca di Tiesi, il
reggidore del contado di Goceano, don Gavino Agostino Valentino, e nominarlo per capo in
riflesso di aver egli una perfetta conoscenza di ogni parte della Gallura, e atteso che
sarebbe seguito volentieri e a perfetta conoscenza di qualunque altro non solo dalle
milizie ma eziandio da cavalieri e da qualunque ceto di persone sia di quel partito che di
quello di Terranova; avendo anche creduto quest'oggetto di maggior importanza di quello
dell'amministrazione della giustizia nel partito di Goceano, mentre si sarebbe questa
egualmente ottenuta pendente la di lui assenza per mezzo di quel delegato consultore, don
Solinas Campus". (26)
Le previsioni del Merli si riveleranno poi più che
fondate. Sebbene il Tiesi, allora tenente colonnello, sia poi stato gratificato con la
promozione a colonnello, l'azione dei tempiesi sulle coste di Palau dove i francesi non
tentarono neppure lo sbarco, si risolse senza che venisse sparata neppure una fucilata. Ci
mancò poco, invece, per i contrasti che avvennero fra le diverse squadre scese dalla
Gallura, che si sparassero tra di loro. Dalla costa sarda tuonarono soltanto i cannoni che
Domenico Millelire aveva portato da La Maddalena. Vi fu un solo tempiese che diede una
mano, ma si fece profumatamente pagare: "...a Gavino Sanna Saragatu per aiuto
prestato a trasporto de' cannoni all'altura £.5", come si legge nei conti
presentati poi dal canonico Spano Azara. Le cronache e i documenti dell'epoca ci
forniscono un quadro di confusione e disorganizzazione che in alcuni momenti sfiorò così
da vicino la farsa da ricordarci tanto l'armata brancaleone; e anche la tradizione non ha
tramandato un ricordo gratificante di quei giorni. Riporta infatti Salvatore Sanna che un
racconto popolare ha fatto assurgere a eroe di quella battaglia tale Baingiu Mannali, il
classico scemo del paese che era accorso al seguito delle milizie e che dalle
alture di Barage, durante i giorni della battaglia, continuò a far roteare per
aria un grosso e nodoso bastone lanciando all'indirizzo dei gallo-corsi attestati a Santo
Stefano delle urla disumane. Secondo la leggenda furono proprio quelle urla, degne dei
temibili lotofagi che la mitologia vuole popolassero quelle coste, che terrorizzarono i
francesi costringendoli alla fuga. (27)
Frattando al Balbiano il pericolo era finalmente
apparso reale; il 6 dicembre 1792, dopo che le truppe rivoluzionarie erano entrate nel
Belgio, nella Renania tedesca, nella Savoia e a Nizza, sotto l'incalzare delle sempre più
frequenti notizie sulle intenzioni dei francesi, il viceré, al quale stavolta era stato
paventato che l'attacco sarebbe stato sferrato anche su Cagliari, si risolveva ad emettere
il seguente Pregone:
"L'ingiusta, e non provocata invasione
fattasi dai Francesi nel Ducato di Savoja, e nel Contado di Nizza senza preventiva
dichiarazione di guerra, Ci ha messi nel caso di adoperare le maggiori precauzioni per
preservare questo Regno da un simile attentato.
Affidati pertanto nell'attaccamento di questi Popoli
alla nostra Santa Religione, e all'Augustissimo Monarca, e nel valore di cui la Nazione le
ha fatte così distinte prove in tante occorrenze, dopo di aver già date le nostre
disposizioni pel buon regolamento di queste coraggiose milizie, e per animare in qualunque
caso quelli che saranno in grado di prendere le armi, intenti com'è nostro dovere, alla
maggior sicurezza dell'isola e dei popoli alla nostra cura commessi, abbiamo stimato di
ordinare quanto in appresso.
Primo. Non saranno più ricevuti nei porti e rade di
questo Regno i legni Francesi di qualunque spezie essi siano tanto da guerra, che
mercantili: Dovranno in conseguenza i Governatori, e Comandanti delle piazze, e delle
milizie, Alcaidi, ed Artiglieri delle Torri, ove si avvicinasse al Littorale alcun legno
Francese, ordinare che immediatamente sia respinto colla forza, ed esigendo, che tutti gli
abitanti delle Ville, e popolazioni vicine all'avviso che ne avranno, debbano concorrere
armati ed adoperare tutti i mezzi onde impedire gli sbarchi.
II - Non sarà permesso ad alcun Francese di
qualunque stato, grado o condizione egli fosse di scendere a terra da qualunque bastimento
di Bandiera estera se non ne avrà prima ottenuto da Noi il permesso.
III - Tutti i Francesi che si sono introdotti nel
Regno dopo l'ultimo giorno del 1788 dovranno uscirne senza distinzione di persone colla
prima occasione d'imbarco, ed i Governatori, Comandanti, e Ministri di giustizia
veglieranno su quest'oggetto dandoci conto e di quelli, che si saranno obbligati a
partire, e di quelli cui fino a nuovo ordine si permette di rimanere, perchè stabiliti
nel Regno prima dell'epoca indicata".
Il Pregone, poi, accordava a tutti i delinquenti
latitanti, purchè non imputati dei delitti di lesa Maestà e omicidio, un salvacondotto
interino a condizioni che si presentassero a "...passare sottomissione di servire
in difesa del Regno contro i nemici dello Stato muniti delle loro armi" e ove
qualcuno di loro "...in circostanza di affrontare i nemici desse prove distinte di
fedeltà e coraggio, proverà gli effetti della nostra particolare clemenza, essendo Noi
disposti a fargli anche piena grazia delle pene in cui avesse potuto incorrere".
Gli effetti del provvedimento si fecero subito
sentire anche a La Maddalena ove la copia del Pregone pervenne però con una disposizione
in deroga con la quale si consentiva ai bonifacini di continuare i loro commerci con
Longonsardo.
"Le rimetto -scriveva Balbiano a De
Costantin- qualche esemplare del pregone che ho fatto quì pubblicare dopo di aver
intimato a questo console di Francia la partenza. Dovranno respingersi i legni francesi, i
quali conseguentemente, in caso di ostinazione saranno predati, ma continueranno i
bonifacini nell'antica relazione e corrispondenza col porto di Longonsardo". (28)
Furono espulsi dall'isola tutti i corsi e i francesi
che vi si erano stabiliti dopo il 1788 e allontanate le navi battenti la bandiera
repubblicana. La deroga concessa ai soli bonifacini era stata motivata dal fatto che gli
stessi, dalle informative che erano pervenute, non avrebbero parteggiato per i francesi e
che anzi avrebbero dato avviso ai sardi della paventata invasione. La cosa, tuttavia,
appariva poco credibile in quanto, se da un lato la Comunità di Bonifacio, rimasta fedele
alla Repubblica di Genova, aveva sempre osteggiato i francesi, dall'altro non aveva mai
rinunciato a qualle isole dirimpettaie una volta in loro possesso ed ora in mano dei
sardi. Ci volle ben poco, però, a scoprire il doppio gioco dei vicini e la loro subdola
attività di sedizione. Il 15 dicembre 1792, da Tempio, il comandante della guarnigione
Battoni avvertiva il viceré:
"Essendomi venuti al orecchio certi discorsi
che i bonifacini tengono a quei di Terranova ed ai pastori vicini, animandoli affinchè
ricevino volentieri i francesi, e a non opporsi loro per niente, e che così loro saranno
trattati con affabilità e posti in un intera libertà, temendo che tali insinuanti
discorsi possino fare dei partigiani e non sapendo in che maniera ripararvi se non col
farne relazione all'E.V., affinchè si degnasse di dare quelle provvidenze che crederà
necessarie". (29)
Il Balbiano, tuttavia, il 10 e l'11 gennaio,
scrivendo al De Costantin e al Merli, nel confermare lo stato di belligeranza nei
confronti dei legni corsi e francesi, rinnovò la sua disponibilità nei riguardi dei
vicini scrivendo al commissario Aldrovandi e alla municipalità di Bonifacio che potevano
continuare il loro commercio "malgrado il prescritto del pregone delli 6 dicembre"
purchè approdassero unicamente nel porto di Longonsardo uno o due per volta.(30) Ma poichè a tanta generosa offerta non era giunta
dall'altra sponda alcuna risposta, il 25 gennaio Balbiano manifestava alla corte di Torino
le sue perplessità:
"Un tale silenzio - scriveva alla
segreteria per gli affari di guerra - fa giustamente sospettare anche il comandante de'
regi legni che le mire de' bonifacini sieno di riunirsi agli altri corsi per far qualche
tentativo sulla Maddalena, o sul litorale della Gallura". (31)
Lo stesso giorno, infatti, essendo giunta notizia che
i bonifacini avrebbero compiuto un'impresa corsara ai danni di una imbarcazione sarda, che
oltretutto portava a La Maddalena i viveri destinati al contingente di miliziani in arrivo
da Tempio, Balbiano ordinava a De Costantin:
"Siccome.... ho avuto avviso che la gondola
capraiese che trasportava costà i viveri da Porto Torres possa essere stata predata da
legno bonifacino, così ove ella verifichi la cosa od altro oggetto che interessi il
legno, non dovendosi più usar loro riguardo, ordinerà a mio nome all'alcaide di
Longonsardo di non più ammettere o accordar provviste ai loro legni, ma di respingerli,
predarli potendo, come farà ella medesima". (32)
La tentata invasione era dunque ormai vicina; proprio
in quei giorni aveva infatti inizio lo sfollamento delle famiglie verso la vicina Gallura,
condizione essenziale che gli isolani avevano posto come garanzia alla loro fedeltà.
Comunque andassero le cose era importante che donne, vecchi e bambini non corressero
pericoli: triste destino di questa comunità che nel corso della sua esistenza, a causa
della guerra, dovrà poi sfollare altre due volte. (33)
Non abbiamo precise notizie sui tempi e sulle
modalità dello sfollamento che venne certamente attuato nell'ultima decade di gennaio. In
una lettera datata 1° febbraio, difatti, Balbiano prende atto dal De Costantin "ch'egli
ha instradato a Tempio le famiglie degli isolani rimasti alla Maddalena"; (34) da un'altra lettera diretta il 4 febbraio 1793 dal
governatore di Sassari al viceré, possiamo poi apprendere che esse furono portate a
Tempio e a Luogosanto ove vennero rispettivamente affidate "alle zelanti cure di
quel prelato ed al vicario generale, canonico Spano", e che era stata "fissata
la loro porzione a soldi cinque per persona quando fossero in Tempio e ad un pane di
libbra e mezzo reale al giorno per quelli che fossero a Luogosanto". (35)
Della presenza dei maddalenini a Tempio e a
Luogosanto troviamo riscontro nei conti che il vicario generale di Tempio, canonico Spano
Azara, inviò al segretario di stato presso il viceré il 4 maggio 1793. I tempiesi, che
avevano fatto le cose in grande nella convinzione di dover partecipare alla difesa dei
litorali galluresi, che poi non avvenne. Venne difatti approntata un'enormità di
provviste rivelatasi poi inutile; il pane avanzato, genere immediatamente deperibile,
"se lo divisero i pastori" e "quel pane poi che restò nel paese
per non perdersi", venne dato ai poveri e ai carcerati, e il resto "si
distribuì come segue:
- a 29 famiglie isolane che quì arrivarono il 25
gennaio se li diede gratis il 25, 26, 27, 28, in ragione di tre pani ogni persona (a
persone 87) e qualche d'un di più se fossero disuguali, pani 828;
- mandati a Luogosanto per soccorso di quelle
famiglie che stavano venendo e trovavansi senza mangiare, pani 300;
- ad un isolano cieco e suo nipote non compresi nel
bilancio se li diede pane a ragione di 3 ognuno da 26 gennaio a 16 febbraio che fini il
pane, pani 132".
Nei giorni 5, 6 e 7 febbraio, poi, essendo venuti a
mancare i fondi per l'indennità di cinque soldi dovuta agli isolani sfollati fu dato il
corrispettivo in pane per complessivi 1784 pani. Dagli stessi conti del vicario Azara
Spano apprendiamo anche che a La Maddalena, furono inviati 2018 pani e 10800 gallette di
cui rilasciò ricevuta il munizioniere Foresta. (36)
Il passaggio in Gallura delle famiglie maddalenine
confermava definitivamente l'attestazione di fedeltà manifestata dagli isolani e la loro
ferma decisione di schierarsi a difesa della nuova patria. Ormai Riccio e De Costantin non
avevano più alcun dubbio tanto che fin dai primi di gennaio aveva fatto distribuire a
tutti munizioni da guerra, e della fedeltà degli isolani, sia pure con qualche riserva,
se ne era convinto anche Balbiano.(37)
Tardarono invece a convicersene il cavalier Tiesi e i galluresi, specialmente quelli che
dovevano andare di rinforzo nell'isola, i quali dovettero poi essere allettati con la
promessa di un generoso compenso.
"Il cavaliere di Tiesi - scriveva
Balbiano al governatore di Sassari - si è dovuto convincere da se medesimo quanto
insussistente sia l'imputazione fattasi agl'isolani della Maddalena. Ciò non ostante non
gli è riuscito di indurre i tempiesi a passar in quell'isola per rinforzar la difesa. Ad
ogni buon fine le comunico le due quì unite sue lettere, in vista delle quali ella si
compiacerà di mandar al cavaliere quel denaro crederà conveniente per supplire alle
gravi spese cui ha dovuto acconsentire per rimediare alla meglio alla renitenza dei
villici".(38)
"Dal foglio de' 25 cadente che andava
soscritto da vari coraggiosi cavalieri i quali l'hanno seguitata a porto Pulo e perfino
alla Maddalena - scriveva ancora al cavalier di Tiesi - ho con singolar
compiacimento rilevato lo zelo che ha sempre più manifestato per la difesa della patria a
gloria della religione e del re. Mi rincresce che non siano abbastanza animati dello
stesso spirito i loro seguaci. Manco male che dal posteriore foglio de' 26 ho veduto che
le è riuscito di indurre una sessantina a passar all'isole Intermedie. La loro paga è
forte, tuttavia trattandosi di doversi isolare non ho che approvarla". (39)
I rinforzi, dunque, giunsero nell'isola e sulle coste
sarde giusto in tempo per un primo tentativo dei francesi che erano dovuti tornare
indietro per il sopraggiungere di un fortunale. Sia per i francesi che per i galluresi
quella fu una sorta di malriuscita prova generale, ma ormai le truppe di Manca di Tiesi e
i miliziani scesi al mare da tutta la Gallura vegliavano giorno e notte.
La mattina del 22 febbraio, apparve nelle acque
dell'arcipelago la squadra gallo-corsa composta da 23 bastimenti sotto il comando del
generale Colonna Cesari; a dirigere le artiglierie, che dalla conquistata isola di Santo
Stefano bombardarono l'abitato di La Maddalena, c'era un giovane luogotenente alla sua
prima esperienza bellica che allora si chiamava e si sottoscriveva Napoleone Buonaparte;
la "u" la perderà poi strada facendo, e di strada, dopo quella
disavventura, ne farà tanta.
Su quanto avvenne in quei giorni, sulle cause della
fallita occupazione delle "Isole Intermedie" e sull'eroismo di Domenico
Millelire, che passerà alla storia come "il nostromo che sconfisse Napoleone",
sono corsi fiumi di inchiostro, fiumi impetuosi quasi sempre straripati nella retorica e
nello strumentalismo politico.
"Fu vera gloria?".
A tutt'oggi, e si è lasciata passare quasi
inosservata la ricorrenza bicentenaria, i posteri non hanno ancora pronunciato "l'ardua
sentenza".