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LA CHIESA ED I FATTI DEL
1793: TRA DOCUMENTI E RACCONTI
Che la diocesi di Ampurias e Civita avesse
riposto una particolare attenzione sullarcipelago di La Maddalena lo attesta la
sollecitudine con la quale provvide ad istituire, nel gennaio del 1768, la parrocchia di
Santa Maria Maddalena, a nominare parroco il canonico Virgilio Mannu e ad autorizzare la
costruzione della chiesa. Erano trascorsi appena tre mesi dalloccupazione militare
sabauda delle isole dellArcipelago e con quegli atti, il vescovo Pietro Paolo Carta,
non solo inglobava nella propria giurisdizione ecclesiastica le Isole ed i suoi abitanti
corsi, fino ad allora inconfutabilmente orbitanti nelle cure dei parroci di Bonifacio, ma
riconosceva altresì la legittimità dellintervento militare di re Carlo Emanuele di
Savoia a discapito dellagonizzante Repubblica di Genova alla quale, e solo per pochi
mesi ancora, la Corsica sarebbe appartenuta prima di essere ceduta alla Francia. La stessa
sollecitudine verso larcipelago di La Maddalena, la diocesi di Ampurias e Civita la
ebbe, col nuovo vescovo Michele Pes, venticinque anni dopo, nel 1793, in occasione dei
drammatici avvenimenti legati al tentativo di occupazione della Sardegna in generale e
dellarcipelago di La Maddalena in particolare, da parte delle truppe rivoluzionarie
franco-corse. Come è noto, in quellanno, la Repubblica Francese tentò di occupare
la Sardegna con due spedizioni militari provenienti dalla Corsica, indirizzate a nord e a
sud dellIsola. In quelloccasione la mobilitazione della chiesa sarda e di
tutto il clero fu notevole. Basti ricordare che nel gennaio del 1793 larcivescovo di
Cagliari, capo dello Stamento Ecclesiastico, non solo spronò insistentemente il viceré
Balbiano a meglio predisporre in tutta lisola migliori ed adeguate difese contro
linvasione rivoluzionaria, ma gli offrì anche un contributo in denaro,
garantendogli, se fosse stato necessario, la vendita degli argenti delle chiese di
Cagliari. La necessità di opporsi alle truppe rivoluzionarie francesi che, al passo della
"Marsigliese", si apprestavano a sconquassare anche la Sardegna, si
rendeva necessario, per la Chiesa sarda, sia per salvaguardare la monarchia sabauda ed i
privilegi feudali ed ecclesiastici che questa garantiva (la maggior parte degli alti
prelati erano di famiglia nobile) sia, e per alcuni settori del clero, soprattutto, per
respingere oltremare quelle idee di libertà, eguaglianza e fratellanza, allora
minacciosamente rivoluzionarie (di portata epocale, che hanno chiuso un mondo per aprire
la nostra storia moderna), delle quali oltremodo si temevano gli effetti incontrollabili e
le degenerazioni destabilizzanti. Se le notizie provenienti dal lontano continente
francese, concernenti la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici, lobbligo di
giuramento del clero alla Costituzione (1790), il ghigliottinamento del re Luigi XVI e
della regina (1792), potevano impensierire non poco nobiltà e clero sardo, quelle
provenienti dalla vicina Corsica, forse opportunamente amplificate, dovettero sicuramente
impressionare anche buona parte della popolazione sarda, quella popolazione che dalla Rivoluzione
non poteva trarne, forse, che dei vantaggi. Del resto il comportamento delle raccogliticce
truppe franco-corse, pronte ad iniziare linvasione della Sardegna, e dei poco raccomandabili equipaggi delle navi, non lasciavano
presagire nulla di buono. I saccheggi, i furti, le devastazioni da questi impunemente
compiuti in Corsica davano sicuramente ragione a chi temeva la nefasta invasione dei "senza
Dio" e, dai pulpiti, chiamava a raccolta le popolazioni per proteggere, armi in
pugno, "i muddheri, i fiddholi, i jesgi". Una relazione del console
Baretti al viceré Balbiano del gennaio 1793 denunciava ad esempio che le truppe
rivoluzionarie, "nel partir da Bastia, bruciarono la chiesa degli Angeli, dopo
aver abbattuto le statue de santi e calpestato ciò che vi era più sacro".
A queste motivazioni a La Maddalena se ne aggiungevano delle altre legate alla
peculiarità della propria recente storia. Gli abitanti (circa 800) in gran parte nati in
Corsica o figli di genitori corsi, sebbene profondamente legati a quella terra vicina, di
là delle Bocche di Bonifacio, nella quale abitavano ancora nonni, zii, cugini, fratelli,
della quale parlavano orgogliosamente la lingua e ne conservavano le tradizioni, con
loccupazione militare piemontese e con il passaggio alla nuova condizione di sudditi
sabaudi, avevano goduto di una sorta di affrancamento, svincolandosi socialmente ed
economicamente dal sistema feudale corso. La condizione di sudditi del Re di Sardegna
oltre a proteggerli dal rischio, sempre presente, di incursioni barbaresche, offriva loro
alternative di lavoro legate alla presenza stessa di truppe (fornitura di carni, pesce,
prodotti agricoli ecc.), alla costruzione di fortificazioni e locali militari, al piccolo
cabotaggio legale e di contrabbando (in qualche maniera tollerato dalle autorità
militari), o allarruolamento stesso sui Reali Legni. Indubbiamente dovettero
essere forti, sofferti e contrastanti i sentimenti allinterno della piccola
comunità corso-maddalenina e più duna volta, in molti, avrà prevalso, dirompente,
il richiamo del sangue. Di ciò erano ben consapevoli sia alla corte viceregia di Cagliari
che presso i comandi militari di La Maddalena. Linvasione della Sardegna era stata
insistentemente richiesta dai rivoluzionari corsi sia per fini ideali sia per motivi
economici. I bonifacini, nelloperazione, erano in prima linea, particolarmente
auspicando la riconquista della arcipelago maddalenino. Da buoni corsi non avevano
dimenticato i torti subiti 25 anni prima quando i loro servi e parenti avevano abbracciato
senza alcuna convincente resistenza la causa dei Savoia. Il bonifacino Antonio Costantini,
deputato corso a Parigi, fece parecchie pressioni ed una relazione allAssemblea
Nazionale francese per convincerla a votare linvasione dellarcipelago
maddalenino, sostenendo con forza che "queste isole non sono difficili da
conquistare perché gli abitanti, dorigine corsa, saranno lusingati da essere uniti
a questisola e, di conseguenza, alla Francia". Questa convinzione portò
probabilmente ad un errore di valutazione da parte francese ed ebbe il suo peso
sullesito della campagna. Il viceré Balbiano dal canto suo, oltre a mobilitare i
vari governatori e le varie guarnigioni costiere ed interne, provvide a nominare il nobile
Giacomo Manca di Tiesi, comandante generale delle milizie galluresi, con sede a Tempio.
Mons. Michele Pes, vescovo dio Ampurias e Cività, a sua volta, attribuì al proprio
vicario generale, canonico Antonio Spano Azara, il delicato incarico di tesoriere e
responsabile del vettovagliamento delle truppe e delle milizie. Compito assolto non senza
difficoltà, sia organizzative che di reperimento del fabbisogno necessario. Alla fine del
gennaio del 1793 il vescovo, evidentemente preoccupato per il possibile precipitare
della situazione, pubblicò una enciclica con la quale si vietava rigorosamente nella
diocesi "lingresso descritti sediziosi di Corsica".
Fitte corrispondenze dovettero intercorrere in quel periodo tra la curia ed i vari parroci
galluresi. A La Maddalena, nel frattempo, il governatore Giuseppe Riccio, oltre a
schierare la modesta una squadra navale comandata dal capitano Felice De Costantin (che
nella circostanza dellassalto assunse poi il comando generale delle operazioni),
ottenne per rinforzo della guarnigione un centinaio di uomini del contingente svizzero
Courten di stanza a Sassari e di oltre un centinaio di miliziani galluresi. Questi ultimi
erano accompagnati ed assistiti dal canonico don Bernardino Pes, giunto a La Maddalena
appositamente da Tempio "per incoraggiare ed animare quei volenterosi soldati",
pronti a combattere "per la difesa della nostra santissima religione, piissimo
sovrano e patria - e come egli stesso scrisse - disposti a sacrificare la vita in
diffesa di quel posto". La scelta di campo dei corso-maddalenini maturò in
maniera convincente per i comandanti militari alla fine del novembre 1792 quando,
attraverso il sindaco Giò Batta Zicavo ed altri membri del Consiglio Comunitativo,
chiesero che, in vista dellimminente attacco, i loro familiari venissero fatti
sfollare in Gallura. Il governatore Riccio, accolta con sollievo tale richiesta che
garantiva senza ombra di dubbio la volontà di resistere allinvasore e metteva al
riparo da possibili tradimenti (i familiari dei maddalenini potevano alloccorrenza
trasformarsi infatti in ostaggi), fece trasferire in Gallura donne, vecchi, bambini ed
ammalati, affidandoli alla non sempre impeccabile organizzazione messa su dal canonico
Spano Azara che sistemò un centinaio di sfollati a Tempio (tra i quali la stessa moglie
del comandante Riccio) ed una cinquantina a Luogosanto. I maddalenini abili alle armi
furono inquadrati in milizie divise in 6 compagnie. Antichi racconti ricordano
liniziativa del sacerdote Luca Demuro (poi viceparroco di La Maddalena) il quale,
con i soldi affidatigli dai maddalenini avrebbe trattato, con i contrabbandieri di Aggius,
lacquisto delle armi indispensabili per la difesa. Si racconta anche che pochi
giorni prima dellassalto francese il parroco Giacomo Mossa avrebbe nascosto, in un
terreno nei pressi della stessa chiesa, il modesto tesoro di Santa Maria Maddalena,
composto da qualche pezzo dargento e pochi soldi. La necessità di galvanizzare la
popolazione attorno ad un simbolo forte che fosse ideologico e religioso insieme portò il
governatore Riccio a chiedere che venisse dipinto uno stendardo da combattimento.
Lallestimento del drappo si svolse in tutta fretta, probabilmente nella stessa
chiesa parrocchiale. In esso venne raffigurata Santa Maria Maddalena, patrona
dellArcipelago, ai piedi del Crocifisso, in atto di protezione sullIsola. Ai
lati una scritta recitava: "Per Dio e per il Re vincere o morire". Su
quello stendardo, fortemente rappresentativo della risolutezza che i difensori intendevano
opporre allinvasore e delle profonde motivazioni che li animavano, si racconta che
ci fu il solenne giuramento dei capi famiglia combattenti, verosimilmente al cospetto di
don Giacomo Mossa, dal 1773 parroco di La Maddalena e regio cappellano della guarnigione
militare. Il vessillo sventolò sul forte SantAndrea, strategicamente eretto alle
spalle dellabitato, per tutta la durata dellassalto francese durante il quale
lo stesso parroco Mossa, dopo aver sicuramente prestato la necessaria assistenza
spirituale ai combattenti ed aver somministrato a chi lo richiedeva, i sacramenti, "assistette
al combattimento incoraggiando i difensori". Di ciò è testimonianza una
lettera del viceré Balbiano alla Corte di Torino nella quale, per la inaspettata
resistenza opposta agli invasori, si raccomandavano "le sovrani grazie"
per gli equipaggi delle navi, per i maddalenini e, appunto, per "il vecchio
cappellano Mossa". La conferma della matrice anti religiosa della spedizione
franco-corsa, naturalmente ricordata e rimarcata dal clero presente nellisola, non
potè non essere confermata dalle bombe lanciate contro la chiesa parrocchiale, la stessa
chiesa dove pochi giorni prima era stato stretto il patto sacro di difesa. Ad incoraggiare
ulteriormente i difensori di La Maddalena, militari e civili, galvanizzandoli sia
sullefficacia della resistenza sia sulle "protezioni celesti"
contribuì probabilmente lepisodio della bomba che, sfondato il tetto della chiesa,
rotolò senza esplodere ai piedi dellaltare. Successivamente si appurò che la bomba
(lanciata da Santo Stefano, pare dallo stesso Napoleone Bonaparte che, come noto,
partecipava allimpresa), era scarica. Sul momento, tuttavia, si dovette gridare al
miracolo, alla benefica intercessione della Santa Patrona e, in quel momento sicuramente,
né il parroco Mossa, né i comandanti militari si dovettero preoccupare di ridimensionare
laccaduto
.! Sullaltra sponda del braccio di mare che separa La Maddalena
dallIsola madre, sullattuale costa di Palau, erano intanto giunti, appena
avuta notizia delle navi francesi, alcune centinaia tra miliziani e volontari, comandati
dal cavaliere Giacomo Manca di Tiesi. Provenivano da Tempio, da Calangianus, da Aggius, da
Luras, da Bortigiadas, da Monti. Scendendo verso il mare, per i tortuosi sentieri della
Gallura, avevano prelevato presso il santuario di Luogosanto, per farne il loro vessillo,
la bandiera di lino raffigurante il volto della Vergine. Donata oltre un secolo prima per
ringraziamento per lo scampato pericolo da una incursione barbaresca, allo stesso drappo
si faceva ricorso nellinvocare protezione per il nuovo pericolo proveniente dal
mare. La bandiera di Nostra Signora di Luogosanto sventolò tra gli uomini in armi
ed i preti che la custodivano, rassicurante testimone e a sua volta protettrice, di qua
del mare, della tenace resistenza di La Maddalena, delleroica impresa di Domenico
Millelire, della riconquista dellisola di Santo Stefano da parte delle truppe
sabaude e dei volontari galluresi, del completo ritiro della spedizione franco-corsa. La
cacciata dei francesi fu salutato non solo a La Maddalena ed in Gallura ma in tutta la
Sardegna come un grande evento, coraggiosamente perseguito dai sardi e benevolmente
concesso dalla volontà divina. Pochi giorni dopo la ritirata franco-corsa il viceré
Balbiano ordinò per "il secondo giorno di Pasqua" un "solenne
Te Deum di ringraziamento", stabilendo che fosse cantato "in tutte le
chiese parrocchiali del Regno, con lassistenza de governatori, comandanti,
ufficiali e nobiltà, e colle solite parate della truppa
.". Cosa che
puntualmente dovette avvenire anche a La Maddalena, solennemente officiato dal parroco
Mossa, con gli stendardi esposti, al cospetto dei comandanti militari, dei marinai, dei
soldati, dei combattenti maddalenini e della commossa popolazione rientrata dallo
sfollamento in Gallura. Quel che per molti maddalenini si festeggiò non fu solo la
cacciata degli invasori franco-corsi "senza Dio", ma anche la loro
convincente e duratura adesione al Regno di Sardegna.uel Q Cacciati i francesi furono con
essi respinte anche le idee che, sebbene contraddittoriamente, essi propugnavano.
Libertà, eguaglianza, democrazia erano principi che troppo in anticipo sulla storia
volevano attraversare le Bocche di Bonifacio; principi che molto tempo dopo anche la
chiesa ha prudentemente elaborato, accolto ed in buona parte assimilato.
Claudio RONCHI
Testi consultati:
Carlino Sole: Sovranità e giurisdizione
sulle isole Intermedie. Archivio Storico Sardo, Cedam, Padova, 1959.
Francesco Loddo Canepa: La Sardegna dal 1478
al 1793. Vol. II, Gallizzi, Sassari, 1995.
Miryam Riccio: Rassegna storica del
Risorgimento. Vol. 1, fasc. 8, giugno 1935, Fonti e documenti. La vittoria di La
Maddalena.
Regio Museo Navale di La Spezia: Domenico
Millelire Medaglia doro; alla difesa dellIsola della Maddalena nel 1793.
Genova 1928.
Aristide Garelli: LIsola della
Maddalena, documenti ed appunti storici, 1907.
Comune di La Maddalena: La ricerca
dellidentità: 1792-1794. Raccolta di documenti di archivio a cura di Salvatore
Sanna. Estro editrice, 1997.
Italia Nostra: La Comunità delle Isole
Intermedie alla fine del 700, a cura di Giovanna Sotgiu. 1992.
Lions Club La Maddalena Caprera: opuscolo
stampato in occasione della consegna dello "Stendardo civico religioso
maddalenino" al Comune di La Maddalena (30 aprile 1988).
Gian Carlo Tusceri: Per Dio e per il Re.
Paolo Sorba editore, 1993.
Gennaro Landriscina: La Bandiera di Nuestra
Senora di Luogo Santo, in Sardegna Mediterranea, semestrale di cultura. Ottobre 1999,
Oliena.
Per tutto ciò che riguarda la storia di La
Maddalena è sempre preziosa la consulenza di Antonio Conti, stimato studioso e cultore di
storia e tradizioni isolane.
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