Antologia Meridiana


Autoatemporale

Avrebbe dovuto fare registrare i fari. Quante volte se lo era ricordato senza poi decidersi a farlo? Domani lo faro'. Non dovrebbe essere pericoloso, ma non si può mai sapere. Quel faro sghimbescio che illuminava l'erba sul ciglio dei fossi, invece che la strada, era più che altro un disagio. Lo infastidiva pensare che gli altri dicessero di lui che era un cretino che non faceva aggiustare i fari dell’auto. E poi c'era il fatto che le cose fuori posto gli davano in ogni caso fastidio; i quadri storti, i libri lasciati in giro, le scrivanie in disordine, i pezzi di carta abbandonati per terra. Ma insomma, mica poteva mettere a posto tutto da solo. Ci pensasse qualcun altro.
Domani, domani li farò vedere.

Si accorse di avere percorso un buon tratto di strada senza avere fatto la minima attenzione alla guida, né alle direzioni che man mano aveva preso. Ogni volta che questo gli succedeva provava stupore e si meravigliava di come potesse accadere. Già, e tutti quegli inspiegabili incidenti allora? Camminava dritto per la propria strada diritta, la visibilità era ottima e al momento non c'era traffico: crasch.
Questo però i fari li ha fatti registrare a uno ubriaco.

Un paio di luminosi fari gialli abbagliarono lo specchietto retrovisore. La sua ombra si proiettò sempre più grande sul cruscotto. Dalla velocità con cui ingrandiva poteva indovinare che quel tizio andava piuttosto forte. Questo e' matto!

Ancora un secondo e fu superato all'ingresso di una lunga curva a sinistra. Quando quello gli fu davanti, appena prima della fine della curva vide il pneumatico posteriore destro dell'auto sollevare la polvere all'estremità della carreggiata, segno che doveva aver sbandato parecchio. Ha tenuto il controllo, si disse.

Pensò alla forza centrifuga che aveva spinto l'auto verso l'esterno, e alla bravura del pilota che era stato capace di tenersi in sella a quel bestione di lamiera lanciato a tutta velocità. Gli parve che portasse i capelli molto lunghi. Non pensò ad una donna. Una donna? No.
Non credo. E se fosse, scampato pericolo!

Benché gli fosse familiare la sagoma dell'auto non riuscì a distinguere il modello. Una marca outsider, forse giapponese, di quelle che vogliono assomigliare a tutti i costi alle vetture europee. Non che se ne intendesse, anzi. Gli pareva però che certi costruttori d'automobili europei scopiazzassero i nipponici e viceversa. Notò, ormai molto più avanti rispetto alla sua posizione, le rosse luci degli stop illuminarsi furiosamente all'ingresso di una curva successiva. Pensò alla decelerazione, immaginò in un attimo lo spostamento d'aria che in piena curva aveva scompigliato con rabbia i ciuffi d'erba sul ciglio della strada sporca.
Quanta fretta!

In quel momento fece una considerazione; l'uomo capelluto, o quella donna, insomma chiunque fosse, in pochi attimi si era trasferito dal suo passato ad un qualsiasi generico futuro. Andandogli incontro molto più velocemente di quanto lui non stesse facendo. Pochi minuti prima, lui e lo sconosciuto, avevano condiviso un tratto della vita, un tratto in curva, un momento pericoloso della vita, andando nella stessa direzione. Ora quel tipo, o quella tizia, provava e cercava nuove direzioni più avanti di lui nel tempo, e con maggiore decisione.
Forse dovrei imitarlo.

Di nuovo si accorse che non prestava attenzione a ciò che faceva, ma solo a quel che pensava. Al pilota misterioso, che in quel momento sapeva cose che lui ancora non sapeva, e che forse non voleva nemmeno sapere. E che forse non erano gradite nemmeno a quell'altro.
E se decidesse di tornare indietro?

Pensò che forse quell'altra persona al volante potesse voler tornare indietro, magari per prendere una direzione diversa, nel proprio passato più recente. Incrociarlo avrebbe potuto non essere del tutto pacifico! Potrei evitarlo. Magari è ubriaco, o peggio. Potrebbe anche decidere di farmi uno scherzo cretino, chi lo può sapere. Se ne leggono tante, e talmente incredibili! Potrei fermarmi, e aspettare un po', per vedere se torna indietro. Oppure potrei svoltare, qui a destra, per questa stradina, e fare un giro diverso. Tanto ho tutta la notte. Quel dannato faro però non mi aiuta per niente. Anziché leggere i cartelli punta sui lumaconi e la sterpaglia.

Perché tutta quell'inquietudine all'improvviso? Andava tutto bene, e durava già da qualche giorno ma ora, per un nonnulla...
Che cosa faccio adesso? 

Spuntò una piazzola di servizio, con il suo bel distributore di carburante chiuso per turno. Accidenti, mi fermo ugualmente, una boccata d'aria mi farà bene. Più tardi mi fermerò da qualche parte a bere un caffè, per adesso un po' d'aria basterà. Scendendo dall'auto fu schiaffeggiato da una brezza inaspettatamente fredda.
Di nuovo cambia il tempo!

Provò a ricomporre il ciuffo di capelli sconvolto dalle folate e nel girare la testa notò la sagoma di un'auto chiara, del tutto simile a quella incontrata prima, parcheggiata di fianco a un edificio completamente buio, sul fondo del grande piazzale. Sembrava proprio la stessa automobile. Spinto da normale curiosità si avvicinò per controllare, anche se non sapeva che cosa, ed era convinto che in fondo non gli importasse granché controllare qualcosa, qualsiasi cosa fosse. Si voltò per dare un'occhiata alla propria auto, ferma davanti ad una delle pompe di benzina. La portiera era rimasta aperta. Tornò indietro per chiuderla. In quell’istante pensò che se ne sarebbe andato.
Ma chi se ne frega.

Un gemito gli parve provenire dalla direzione in cui si trovava l'altra automobile. Si bloccò, indeciso come non mai, e rimase per un lunghissimo minuto immobile, in ascolto, in mezzo al piazzale. Il gemito si ripeté, più forte di prima, o almeno così gli parve, e lo schiodò dalla sua posizione. Cacciandosi le mani in fondo alle tasche della giacca, del tutto controvoglia ma ugualmente con decisione, si avviò verso la sagoma dell'auto chiara. Quando fu abbastanza vicino da poter gettare uno sguardo dentro l'abitacolo si bloccò di nuovo, irrigidito da un getto gelido nel sangue; l'automobile era sua, la sua seconda auto, usata da sua moglie, e per la quale, non riuscì a fare a meno di pensarci, restavano da pagare ancora dieci rate. E ora si trovava ad un centinaio di chilometri dal solito parcheggio, nel viale alberato sotto casa. Come poteva trovarsi li? Cosa poteva essere accaduto? Era seriamente preoccupato. Che diamine, non sono in un telefilm della serie ai confini della realtà. Esiste sempre una spiegazione logica a questo dannato mondo.

Non gli restava che proseguire nell'indagine. Cominciò con l'ispezionare l'automobile e il terreno intorno. L'auto era chiusa e nessun oggetto si trovava sui sedili o sul cruscotto. Diede una rapida occhiata in giro, verso il piazzale, e infine osservò la facciata della palazzina, buia e silenziosa. Sembrava abbandonata. Quell'idea era suggerita dalla condizione dei muri, scrostati e sporchi, e da un paio di vetri rotti al pianterreno. Concentrò la sua attenzione su una finestra, in alto alla sua sinistra. Era spalancata e non c'erano persiane né tende. Udì ancora lo stesso gemito ma molto affievolito questa volta. Fissò lo sguardo alla finestra anche se il verso gli era sembrato provenire dal piano terra. Stava per mettersi a gridare. Una cosa qualsiasi, anche solo un grido, una vocale. Tanto per farli smettere. Qualsiasi cosa stessero facendo.

Gettò sguardi angosciati in ogni angolo, per cercare un oggetto che ancora non era delineato nelle scansie della sua memoria ma che sapeva, inconsciamente, che gli sarebbe stato indispensabile. Rivide per un attimo la sua prima macchina ferma sul piazzale deserto, la portiera ancora aperta, appena illuminata dai lampioni al neon che guardano sulla strada. Ecco, già, certo, in un posto come quello non poteva mancare una scala a pioli abbastanza lunga, o un ponteggio o altro di simile. Andò al portone d'ingresso dell'autofficina, di quelli a scorrimento laterale; la parte superiore era una vetrata tanto sporca che era molto difficile riuscire a scorgere qualcosa all'interno. Provo' a tirare la maniglia ma era bloccata e la vetrata vibrò rumorosamente. Ecco, ora smetteranno.
Mi avranno sentito.

All'altra estremità trovò il maniglione che azionava lo scorrimento e lo tirò con forza. Il portone si aprì cigolando sulla rotaia. Non più di mezzo metro, tanto da riuscire ad infilarsi dentro. Una vera botta di riso lo colse e gli scosse il corpo in un tremore divertito, per via della serietà con la quale stava affrontando la situazione.

Dubitò, a quel punto, che l'auto chiara parcheggiata là fuori potesse essere la stessa usata da sua moglie. Tornò a guardare fuori. La vetrata era così sporca che attraverso quel lurido alone untuoso sembrava che la vettura là fuori fosse di un altro colore, decisamente più scuro. Doveva essere proprio così, quell'auto non era la sua. Gli occhi si erano abituati all'oscurità. Questo lo incoraggiò e gli permise di avere movimenti più naturali, meno contratti. Si portò al centro dello stanzone odoroso di polvere di ferro e incominciò con circospezione una carrellata a trecentosessanta gradi. Appoggiata nell'angolo a destra rispetto all'entrata, dietro una pila di pneumatici, una scala a pioli gli regalò per un attimo la sensazione di avercela fatta. Almeno la scala l'ho trovata.
Ma e' troppo corta, si vede subito.

Decise di provare comunque ad appoggiarla al muro esterno e provare a sbirciare dentro a quella finestra. Gli sembrava meno grave che non penetrare nell'edificio, come stava facendo in quel momento. Con tutta probabilità al piano superiore doveva trovarsi un'abitazione, forse quella del gestore del distributore o del meccanico. Ma in quel mentre, e per la seconda volta nell'ultimo quarto d'ora fu raggelato da una terribile sensazione; accanto ai pneumatici, per terra, era raggomitolata una forma che avrebbe potuto essere umana, coperta da un cencioso fagotto che a tutta prima gli sembrò un soprabito, annerito dalla sporcizia. Nessun sorriso, nemmeno forzato, riuscì questa volta a scuoterlo. Deglutì, rimanendo immobile, in preda ad una montante vertigine.

Sentiva le mani muoversi nervosamente grattando in fondo alle tasche e rigirando cento volte il portachiavi, ma tutto il resto del corpo era come legato, e così stretto da non poter quasi respirare. Secco come uno sparo sentì un colpo d'acceleratore, là fuori sul piazzale, con il motore che andava su di giri e le gomme che stridevano sull'asfalto. La sua reazione non fu bruciante, come se avesse faticato a ritrovare la capacità di coordinare i movimenti. Non riuscì a vedere in quale direzione fosse sparita la sua prima auto.
Perfetto, mi hanno rubato la macchina..... colpo di scena!

Si convinse che quella notte poteva non esistere limite al peggio. Si dimenticò subito del fagotto dalle sembianze umane steso per terra nell'officina, e ricordò invece, con prontezza di spirito, di avere sempre con sé una copia delle chiavi della seconda auto.

Le provò e la serratura scattò immediatamente. Salì in macchina e in quel momento gli sembrò del tutto naturale partire sgommando a sua volta. Non ebbe il tempo di stupirsi per il fatto che si trattasse proprio della sua seconda automobile. Benzina ce n'era poca ma non poteva perdere tempo a fare rifornimento al self-service. Si trovava nella poco credibile situazione di inseguire i ladri della sua prima auto, guidando la sua seconda auto, trovata a cento chilometri di distanza dal luogo dove doveva trovarsi, e con tutta probabilità a sua volta rubata dagli stessi che ora scappavano a bordo della sua prima auto. Ma certo, era stato derubato due volte, non della stessa auto e nella stessa nottata.
Incredibile, cazzo!

Ora capiva, mentre guidava senza fare attenzione a ciò che faceva ma unicamente a ciò che immaginava; a bordo della sua prima auto poteva esserci un malvivente, o una banda, che aveva appena concluso una razzia nell'abitazione dello sfortunato benzinaio, il quale giaceva a terra privo di sensi nell'officina, probabilmente ferito o peggio, per aver cercato di opporsi alla rapina.

Istintivamente aveva preso a sinistra, a ritroso rispetto alla direzione dalla quale era arrivato al distributore. Come dire a ritroso nel tempo; un tuffo nel passato, per cercare di modificare il futuro, soprattutto quello dei malviventi ai quali dava la caccia.
Un momento, calma, frena la fantasia, quali ladri?

Dopotutto non erano che supposizioni le sue, e lui era un tipo piuttosto impressionabile e fantasioso. Non vi era alcuna certezza, nessun indizio, solo delle maledette fantasticherie.

Del resto non aveva preso la direzione verso casa? Non desiderava forse, sopra ogni cosa, correre a controllare che non vi fosse proprio Fulvia, sua moglie, alla guida della loro prima auto? Al suo ritorno avrebbe potuto fargli credere che erano state tutte e due rubate in circostanze improbabili, incredibili ma, insomma avrebbe potuto fargli credere qualsiasi cosa. Potrebbe essere anche cosi'. Già, potrebbe essere che Fulvia....

Quella semplice ammissione di probabilità che la moglie potesse in qualche modo avere una parte in quel che gli stava succedendo ebbe la conseguenza di fargli accelerare l'andatura, prendendo rischi sempre maggiori ad ogni curva. Non aveva mai guidato a quel modo. Ma sentiva che poteva reggere, che avrebbe potuto spingere anche più a fondo. Tutto sommato, il fatto che lui fosse per natura prudente non significava che non sapesse guidare, e che non potesse permettersi qualche manovra ardita. Stava per essere sopraffatto dal coraggio! Lo salvarono le sue continue riflessioni, tra tutte le altre questa: che tipo di vantaggio gli avrebbe potuto dare raggiungere l'auto sulla quale, stentava a crederci ma era pur sempre plausibile, avrebbe potuto trovare Fulvia magari in uscita clandestina? O anche, tornando alla precedente supposizione, dei pericolosi criminali che non si erano fatti scrupolo di colpire a morte un uomo? Nel primo caso avrebbe potuto in ogni caso affrontare la situazione una volta rientrato a casa, nel secondo caso...
Se ne occupi la polizia, che diavolo!

Avrebbe potuto evitarsi un mucchio di difficoltà se soltanto fosse riuscito a ragionare con un po' di calma. Non avrebbe dovuto fare altro che sporgere denuncia per il furto dell'auto, anzi, di entrambe le automobili. Prima però avrebbe dovuto appurare almeno una mezza verità. Tornò dunque ad accelerare, perché tutte quelle riflessioni gli avevano sottratto energia e concentrazione, con la conseguenza che ora stava marciando a velocità di crociera. Finalmente deciso a qualcosa abbordò una curva ad almeno centoventi orari. Subito dopo, circa a metà di un breve rettilineo, notò alcuni oggetti catarinfrangenti muoversi simultaneamente dai lati della strada verso il centro. Frenò di colpo, e a lungo, con la macchina che sbandava paurosamente. Riuscì a non investire una coppia di carabinieri che gli intimavano l'alt, uno agitando sempre più furiosamente la paletta bianca e rossa, l'altro puntandogli addosso la mitraglietta. Spaventato, il milite armato si gettò di lato, e trattenendosi dallo sparare affiancò la vettura all'altezza del finestrino. Con la voce alterata gli gridò di appoggiare le mani sul cruscotto passandole attraverso le razze del volante. Non appena ebbe eseguito l'ordine, l'altro militare entrato nell'auto dalla parte opposta gli fece scattare le manette ai polsi, gridando al commilitone di abbassare l'arma, che era tutto a posto, ora, che era tutto finito.
E' tutto okkei, tutto okkei.

Va bene? Dove sono i documenti? Pigliali tu, dai qua.

Aldo Melodia, nato a Figino il 25/15/1955, residente in Lodi Piazza della Repubblica 12, coniugato, occhi verdi, capelli castani, altezza 1 metro e 79, appoggiò la fronte al volante della sua seconda auto, cercando di respingere l'urto del pianto. Non ti preoccupare, non ti preoccupare, continuava a ripetersi tenendo la testa chinata, come per evitare la traiettoria di invisibili pallottole. Si risolverà tutto per il meglio, non temere, è tutto un equivoco, solo una grande stronzata. Non ti preoccupare. Ma già immaginava l'imbarazzo del caporedattore di cronaca, nel settimanale locale che pubblicava le sue recensioni di musica jazz, che avrebbe dovuto decidere sul taglio da dare al pezzo e, soprattutto, come titolarlo.
Cristo, fanno certi titoli in quel giornale!

Nel frattempo una seconda pattuglia si era aggiunta alla prima ed una terza era attesa di rinforzo, nel caso sbucassero fuori all'improvviso i complici per cercare di liberare il loro compagno. Dopo un quarto d'ora di relativa calma, durante il quale non fu mai lasciato solo, e dopo diversi controlli incrociati fra la centrale, la questura e la casa del Melodia, gli agenti divennero nervosi e quello che sembrava condurre l'operazione era parecchio alterato. Era molto incazzato ma non solo, c'era qualcosa di più e di diverso. Aldo Melodia venne finalmente colpito, con la violenza di un ceffone, dall'idea che potesse essere arrestato, seppure per errore. L'idea del carcere, anche per una sola notte, gli risultò insopportabile. Perché diavolo si era comportato come se fosse stato colpevole, invece di avere la prontezza di spirito di fornire agli agenti tutte quelle spiegazioni che sicuramente... ma no! L'automobile era stata segnalata come rubata, la denuncia era stata fatta nel cuore della notte dalla signora Fulvia Lorenzi, spaventatissima, accompagnata da un amico mentre la moglie di questi era a casa con i loro ragazzi, in attesa. Queste notizie, frammiste ad altre, nelle concitate frasi scambiate dagli agenti fra loro e ai radiotelefoni con la centrale, si sovrapponevano nel suo cervello che andava sempre più perdendo capacità di analisi. Ora saltava fuori che Fulvia Lorenzi era la moglie di Aldo Melodia, il quale stava guidando la propria vettura. Perciò il graduato era così arrabbiato.

Perché stavano perdendo tempo prezioso. Dopo una mezz'ora in tutto, che fu tra le peggiori della sua vita, egli fu libero di andarsene per la propria strada, al volante della sua seconda auto. Già, ma in quale direzione? Era così confuso che percorse qualche chilometro letteralmente a passo d'uomo, senza sapere dove stesse andando, ancora tutto preso da domande che rimanevano senza risposta. Nulla era in effetti stato chiarito: la sua prima auto, ad esempio, non era mai stata nominata dagli agenti. Si trovò di nuovo sul dubbioso sentiero di una doppia possibilità. O l'automobile si trovava sotto casa, posteggiata come sempre nel viale alberato perché Fulvia non riusciva a infilarla nel garage sotterraneo, oppure si trovava chissà dove, condotta da qualcuno che se ne sarebbe presto sbarazzato. Quel vecchio modello di famigliare era fuori moda, e non era facilmente commerciabile, salvo recuperarne i pezzi ad uso di commercianti di rottami. Aveva sentito dire che c'erano organizzazioni che se ne occupavano e che il giro d'affari era consistente.
E se ci fosse una base nei dintorni? Magari camuffata da officina!

Fece manovra per tornare al distributore di benzina che prima gli era sembrato abbandonato. Ormai il desiderio di venirne a capo era più forte di tutto. Sentì un'ondata di freddo scuotergli tutto il corpo; era stato troppo tempo sul piazzale con la sola giacca indosso e poi, ammanettato in macchina con la portiera aperta, e tutta la situazione assurda del fermo, gli aveva ancora di più ghiacciato il sangue nelle vene. Ne provava addirittura dolore. Gli tornò in mente che nel bagagliaio della seconda auto teneva sempre un vecchio soprabito, oltre ad una scatola di medicinali di pronto intervento. Accostò, premendo il pulsante delle frecce per segnalare la fermata. Sceso dall'auto cercò di sgranchirsi, si fregò le mani con forza e poi si massaggiò in prossimità di reni e lombi. Che cosa gli stava capitando? Perché quella sera, che avrebbe dovuto essere come tante, sembrava invece segnata da occasioni che somigliavano a dei presagi più che a semplici fatti negativi? Come mai era tanto scosso da non riuscire a reagire in modo razionale, coerente e intelligente come sempre? Indugiò qualche minuto, scalciando l'erba sul lato opposto della carreggiata. Non gli era mai piaciuto orinare per strada, cercava di non farlo mai, aspettando di arrivare ad un ristoro, ma in quel momento, oltre che necessario gli parve trasgressivo.
Massì!

In modo beffardo, gettando all'indietro le code del soprabito che nel frattempo aveva indossato, abbassò la cerniera dei pantaloni allargando le gambe quanto di più, per non bagnarsi le scarpe. Spinse con le reni, inarcando la schiena, per produrre la più lunga e potente pisciata della sua vita. Socchiuse persino gli occhi, ascoltando il leggero crepitio delle gocce sulle foglie. Gettò un'occhiata di terrore alla sua destra vedendo all'improvviso quel faro sghimbescio che lo inquadrava, inesorabile, mentre scrollava il membro. Non ebbe neppure il tempo di ritirare la cerniera. Quel pazzo pirata della strada andava a una velocità impossibile da tenere su una piccola strada provinciale come quella. Sentì un colpo tremendo squassargli tutte le ossa contemporaneamente. Un abbondante fiotto di sangue disegnò nell'aria la traiettoria del suo volo. Ricadde sul prato, una trentina di metri più in là, privo di sensi, senza le scarpe ai piedi e con lo sporco soprabito che lo avvolgeva come un sudario. Paradossalmente assunse una posizione fetale, in tutto simile a quella dell'involucro sporco che aveva intravisto un'ora prima nell'autofficina.

Trascorse un periodo di tempo che sembrò interminabile, durante il quale la sua testa era ricaduta forse migliaia di volte, salendo e scendendo per una strana scala circolare. L'oblio di quel maremoto cerebrale e un acutissimo dolore diffuso in tutto il corpo gli procurarono un incontenibile conato che gli fece rigettare un vomito denso e caldo sull'erba fresca del prato. L'odore rancido che gli penetrò attraverso il naso spaccato andò a conficcarsi come una freccia in un lembo di cervello ancora sano, facendogli sentire vero un evento, che per quanto incredibile, era reale come lo sono gli incubi. Non poteva trovarsi in quel campo. Non avrebbe dovuto essere ancora li, ma allora dove avrebbe dovuto trovarsi? Qualcosa di estremamente sbagliato era accaduto. Vi era uno scarto, anche se infinitesimale, tra ciò che era giusto accadesse e qualcosa d'altro che inspiegabilmente si era verificato. E quello scarto sembrava incolmabile. Forse avrebbe dovuto trovarsi steso a terra in quell'officina, accanto alla pila di pneumatici. Quel corpo arrotolato, divelto dal raziocinio e abbandonato in un angolo buio della coscienza, si era forse scontrato con la propria inversione nel tempo? La cosa si sarebbe dunque ripetuta. Come la puntina del giradischi quando s'imprigiona nel solco finale e seguita a suonare le ultime note della canzone senza poter tornare nella posizione di riposo. Una coazione a ripetere che lo condannava al proprio destino distorto, che clonava ripetutamente la sua fine, fino a che un accadimento precisamente simile, ma con quell'infinitesimale scarto di tempo e luogo, sovrapposto e coincidente in tutti gli infiniti universi paralleli, non avrebbe rimesso le cose a posto, dandogli finalmente una morte definitiva, certa, assoluta, estranea al terribile parallelismo inconcludente in cui si trovava ora imprigionata.
Ritrovandosi alla guida della sua prima auto pensò che avrebbe dovuto fare registrare i fari. Quante volte se n'era ricordato senza mai decidersi a farlo?
Domani, domani lo farò.    

 

Diego Millosevich Cappelli