Dall’analista
L’attendeva
in piedi sulla soglia dello studio, come ogni mercoledì.
Solite
parole, uguali gesti: si accomodi, grazie. Si sedette dopo di lui come
sanno fare le persone bene educate. Ne scrutò il volto inquieto, non disse
parola, solo negli occhi pasavano lampi brevi di domande.
Lui
si sistemò meglio sulla poltroncina con l’espressione affranta.
C’è
qualcosa che vuol dirmi? - chiese finalmente l’analista -.
Incoraggiato
distese il volto rugoso e iniziò a piangere e poi a singultare e infine
a singhiozzare tra le lacrime.
Fuori
la pioggia voltava a temporale, dalle tende leggere si intravedevano le
punte degli ombrelli che scivolavano nel silenzio, incrociandosi.
L’analista
guardò l’orologio, erano passati quindici minuti mancava solo mezz’ora
per la fine della seduta.
Essere
qui non mi aiuta - disse con un sospiro il paziente -, sono sempre più
confuso. Continuo a non sapere chi sono, cosa rappresento per me, per
gli altri. Mi pare che tutti siano scontenti di me, nessuno mi accetti
per quello che sono. Non fanno che cercarmi, chiedermi di essere di più,
più presente, unico, diverso per ognuno. Corro, corro da tutti e nessuno
si accorge di me mentre sono loro accanto. Mi maledicono, ricordano, trattengono
a volte lo fanno all’unisono, come un coro orfico. Neanche nel sonno sono
clementi con me, chi dice che ha dormito troppo, chi troppo poco, e io
sempre più a disagio, non so mai come comportarmi e per qualcuno sono
addirittura insopportabile, mi capisce? Ho sentito la piccola Maria che
diceva a sua madre ieri pomeriggio: non passa mai questo tempo, accidenti,
mi annoio.
Sono
disperato, mi aiuti, cosa devo fare?
L’analista
guardò nuovamente l’orologio di bachelite sulla scrivania e schiudendo
con lentezza le labbra rispose: Il tempo è finito signor Kronos, ci vediamo
la prossima settimana. Alla stessa ora.
Mariella De Santis
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