Lancette
Alla stazione
dei treni
non
c’era nessuno;
l’alba
di un giorno qualunque
con
forse tre o quattro viaggiatori:
lattine
di birra già aperte,
con il sapore sfasato del mattino.
Non
c’era nessuno,
ma
trionfavo camminando
con
lo sguardo
e disegnavo
figure stolte di passanti immaginari;
l’aria
indisponente dell’estate acerba
solleticava
il mento, ed io seguivo a ruota
le
mie valigie rettangolari.
Già
partite, lì davanti a me.
Non
c’era nessuno,
nella
stazione zeppa delle mie perplessità,
mentre
il passo da scarafaggio trafitto
imbronciava
le scale sudate già alle sei.
L’orologio
trasversale della tua immagine
segnava
un ritardo abnorme,
ed
acceleravo rigido inseguendo le mie valigie,
nel
profumo di caffè da binario
che
metteva fuori il naso,
e un
giornalaio in bianco e nero
che
rispondeva a fumetti.
Il
morso sorridente e stupito
di
un parallelepipedo in metallo
all’afono
grido di convalida.
Sul
diretto,
trionfante
come l’ultimo degli sconfitti,
ho
pensato in un istante viola
di
voltarmi e fare un cenno
alle
masse di emozioni sottostanti in delirio.
Ma
la brezza dispettosa spettinava
gli
ultimi sbadigli ingialliti,
e le
mie valigie avevano già iniziato una conversazione interessante
su
quanto fosse deserta la stazione-pazienza-Partenza.
Francesco Vitali
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