Editoriali

Un intervento

Intorno al futuro di “Correnti” ho ritenuto opportuno scrivere qualcosa al fine di dare un mio contributo di pensiero. Innanzitutto mi preme suggerire un contatto/confronto con le riviste di poesia che operano in Europa, considerando prioritariamente i testi che analizzano il rapporto tra il poeta e il mondo da lui incontrato quotidianamente. Non è così ovvio il discorso, in quanto il poeta che scrive dovrebbe venire identificato con il poeta che ‘cerca’.Tralasciando il lamento e la forma diaristica, si tratterebbe di individuare nei testi (non solo nelle composizioni in versi) quell’aspetto di critica e di profondità che è in grado di far luce sull’attuale significato propositivo della parola. La rete di informazioni che si ‘riflette’ sul mondo occidentale ci costringe sempre di più a fare i conti con parole e rappresentazioni di immagini che non producono consapevolezza, ma solo una rassicurante identificazione precostituita. La parola è il centro, se ancora ne esiste uno, intorno al quale un mondo di senso può o non può ricostruirsi. Negli anni ‘80 (emblematici anni di un’Italia sbruffona) nacque a Milano il gruppo dei poeti detti della ‘Parola Innamorata’. Dentro le loro bellissime composizioni scorrevano fiumi d’oro, rime baciate, magie infantili, incanti di struggenti malinconie metropolitane. Ora sappiamo quanto fosse esile quel filo di seta pregiata, annodato al quale l’esercizio poetico mostrò in prevalenza tante piccole ‘perfezioni’ chiuse tra parentesi. Tutto ciò non fa parte dei miei interessi; piuttosto ritengo che il poeta di fine millennio, più che filosofo, abbia possibilità maggiori riguardo alla codificazione verbale di intuizioni o nessi emotivi tra esistenza e interiorità.Mettere in gioco ciò che resta della capacità di stupirsi, colpire al cuore l’ormai inadeguato assetto antropocentrico dell’occidente. L’individuo sente la ‘malattia’ proprio perché il controllo che ha su se stesso è sempre meno efficace. Efficacia, funzionalità, produzione (tecno poesia) dentro la società degli uomini resi inconsapevoli degli effetti causati da combinazioni infinite di parole. Il primo passo è riconoscere ciò che ci fa soffrire, il secondo è conoscere (scoprire) la propria consapevolezza. La nostra sofferenza é diversa da quella presente nel mondo non-occidentale che è invece indissolubilmente legata alla soddisfazione dei bisogni primari e alla eventuale conquista della dignità Quando l’uomo occidentale sceglie l’impegno civile nell’offerta di beni materiali a questi popoli, compie sì un’azione umanitaria, ma realizza anche l’illusione che la specie umana abbia senso solo nell’esonero della povertà. Riconoscere il Cristo nel bimbo denutrito fotografato dal ricco occidentale ci rende affrancati dall’inevitabilità della morte, perché aiutare il bimbo è come aiutare noi stessi a realizzare in terra l’utopia e a garantirci un buon giudizio ultraterreno. Dimentichiamo per un attimo che è invece la grande frustrazione per l’impossibilità di vedere, in vita, l’uguaglianza, quella che ci avvolge quotidianamente. Dimentichiamo che, in realtà, è la non-relazione tra la volontà e le nostre azioni che ci fa sentire lontani dalla vita. Ci accorgiamo che è meglio soddisfare un bisogno, qualunque esso sia, rincorrere altri bisogni dopo l’ultimo, piuttosto che crearne di nuovi. Abbiamo delegato ad altri e gli altri hanno delegato a noi il reciproco compito di esonerare l’uomo dalla volontà di creare (poesia). Il linguaggio è materia del poeta e la poesia un aspetto del linguaggio, il luogo dove l’uomo si interroga per trovare la propria unicità e appartenenza nel tempo di una storia personale. O per trovare il Silenzio! Quel prezioso tacere della mente tecnica che, in assenza di artifici, vola alto sopra i sentimenti di superficie, scambiati spesso per bellezza.La poesia individuale è sempre più collettiva, così come la folla è sempre più massa di individui soli.

(Ivan Ceruti)