Filosofia

Poesia e Filosofia

Poesia e filosofia: due sfere tra loro eterogenee e, quindi, incomunicabili? Parrebbe di sì: come potrebbero essere omogenee se il filosofo fa uso della razionalità, del ragionamento, della deduzione ed il poeta della intuizione, delle immagini, delle emozioni? Forse ti ricordi dei sillogismi aristotelici, delle classiche dimostrazioni dell’esistenza di Dio, del metodo deduttivo di tipo geometrico di Cartesio e di Spinoza: non conta, in sostanza, cosa dice un filosofo, ma conta se è in grado di dimostrarlo. E la dimostrazione è fredda: forse che cattura emozioni la deduzione del teorema di Pitagora? Il poeta sotto questo profilo si trova su una lunghezza d’onda opposta: non dimostra, ma canta sentimenti. E il suo canto è caldo. A volte caldissimo. Ora cos'è questo canto? Un modo di conoscere? E se si, siamo di fronte ad un modo alto o no di conoscere? Per Schelling l’arte (e, quindi, anche la poesia) non solo è un modo di conoscere, ma è il modo più elevato di sapere che ha l'uomo: solo l’artista è in grado di cogliere l’Assoluto, l’Infinito, Dio. Perché mai una tale idea? Schelling riflette bene il clima "romantico", un clima caratterizzato dall’esigenza di andare oltre i limitati e freddi confini della razionalità scientifica, dalla sete d'infinito: il sapere scientifico in altre parole viene considerato un sapere che si limita al finito, ad una parte (alla parte fisica e quantificabile) e , quindi, in quanto tale non in grado di soddisfare il bisogno di Assoluto che fa dell'uomo un uomo. Ma perché l’artista sarebbe capace di fare ciò che il filosofo non potrebbe fare? perché l’arte, che è una sintesi inscindibile d’ispirazione inconscia e consapevolezza, di irrazionalità e razionalità, di necessità ( vedi l'impulso interiore che spinge l'artista ad esprimersi) e di libertà, consente di cogliere la vera natura dell’Assoluto Dio che consiste proprio nell’identità indifferenziata di libertà e necessità, di conscio e inconscio.Mi dirai che siamo lontani mille miglia dal nostro modo di pensare.  Forse non hai torto.Ma anche ai tempi di Schelling lo stesso Hegel è su una posizione molto diversa: pure lui, è vero, considera l’arte come un modo di conoscere, ma questa è per lui una fase, nell’evoluzione dell'uomo, destinata ad essere superata dalla razionalità filosofica. In altre parole, per Hegel, all’Infinito (all’Intero, e quindi, alla Verità) si accede solo con i concetti della filosofia e non con intuizioni mistiche : l’artista, dunque (come del resto il credente, deve cedere al filosofo. Perché ? Non ho lo spazio qui per spiegartelo. Ma forse lo sai. O, almeno ricordi il quadro concettuale: per Hegel tutta la storia si compie nel momento in cui il pensiero si coglie come il Tutto, l’Infinito, Dio.Immagino che tu ti senta lontano anche dalla prosopopea di Hegel, dalle sue verità assolute. E' un fatto che oggi i filosofi, per lo più, hanno scoperto un’umiltà che Hegel non aveva affatto. Ed è un fatto che noi viviamo in un'epoca in cui il sacro, fortemente presente in Hegel e nella cultura romantica, è pressoché tramontato. Oggi tende a trionfare la letteratura scientifica del mondo. Non ci sono misteri, arcani a cui l’artista può accedere: né l’origine della vita, né quella dell'uomo e, neppure, quella dell’universo.La scienza spiega tutto. E lo spiega in modo chiaro, con formule matematiche. E lo spiega, in linea teorica, in modo accessibile a tutti (un esperimento può essere rifatto da tutti), senza bisogno di geni con intuizioni speciali o con pseudo rivelazioni divine. E' proprio così? E' proprio vero che il mistero è tramontato? Credo proprio di no. Paradossalmente si potrebbe dire che il mistero oggi è ancora più fitto di ieri. La scienza , è vero, ha fatto dei progressi da gigante, ma è anche vero che sta prendendo sempre più consapevolezza della sua ignoranza, della precarietà delle sue congetture: l'universo è ancora di più un enigma, come è un enigma lo stesso uomo. E lo sarà anche domani: più l'uomo avanza teorie, più si rende conto dell’enigma che ha di fronte. E allora? Allora la poesia (l’arte in generale) non può morire. Ma che spazio ha? Quello di creare "illusioni" senza delle quali l'uomo non in grado di vivere, non in grado di sopportare la durezza della vita? Quello cioè di dire delle menzogne-placebo? Forse. Ma forse anche quello di dire l’ineffabile, d’intuire ciò che la scienza con le sue formule matematiche non sarà mai capace di cogliere, di dire qualcosa sull’enigma che ci circonda. Del resto non sono pochi i filosofi (da Platone ad Heiddeger) che hanno fatto ricorso alle immagini poetiche proprio per dire ciò che con dimostrazioni razionali non riuscivano a dire. E non sono pochi i poeti (vedi lo stesso Leopardi) che hanno colto con l’intuizione concetti profondamente filosofici. La poesia continuerà a vivere: ad illuminare, a scaldare.

(Piero Carelli)