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Creatività
e follia Alda
Merini é senza dubbio una delle voci più poetiche di questi anni. Eppure
ha sempre un po' stentato a trovare una collocazione adeguata nell’ambito
degli studi del secondo Novecento: il discorso sulla Merini, infatti,
rimane tutt’oggi in termini d’accertamento specifico quasi tutto da
fare sia per la relativa disattenzione critica (dice Raboni: “non a
caso siamo costretti a citarci l’un l’altro”), sia per il “caso umano”
che ha in qualche modo schermato, velato, i lineamenti reali, la sostanza
propriamente stilistica dei suoi testi. Nella
poesia della Merini convivono sensualità, persino carnalità, e pace
mistica, lo sguardo reietto dell’emarginazione e l’assoluto della follia,
la poesia di memoria e quella della pulsione, in lei è dai contrasti
più forti che nascono le intuizioni più genuine, spirito assorto e riplasmato
dalla poesia. La sua é una poesia della vita, un messaggio poetico impegnativo
che chiama in causa non solo la sensibilità del lettore, ma anche la
sua coscienza di uomo nel tempo. Con l’assegnazione del Premio Librex-Guggenheim
“Eugenio Montale” per la poesia e i benefici della legge Bacchelli,
la società riconosce il valore, ma al contempo la condizione di “folle”,
di Alda Merini. La poetessa ha sempre rifiutato quest’equivalenza. Ha
parlato spesso nei suoi testi, e in modo particolare in quelli in prosa
in cui tratta in maniera specifica la sua esperienza di vita, del rapporto
Poesia-Follia: lei stessa, infatti, riconosce la forza dirompente e
creatrice di nuovi scenari propri della Poesia, oltre che i suoi effetti
destabilizzanti. Si può dire che una parte dell’animo dell’autrice sembra
rassegnarsi al destino assegnatole dalla società, assumendo su di sé
il ruolo avuto in sorte e tentando di riscattarne la figura. “ Se il
folle é un poeta diventa quindi”, dice infatti, “un luguleio, un sapiente
della grandezza, da non confondere col paranoico che vede grandezza
ovunque, anche dove alberga la più totale ignoranza”. Addirittura ricorda
come i folli un tempo fossero considerati sacri, figli di un qualche
dio, mentre oggi vengono considerati “emeriti scempi beffati dalla sorte
e dal volgo”. Ma soprattutto il suo animo si ribella. Ella individua
alla base di quella che viene definita “malattia mentale”, un disturbo
della emotività, ricordando che: “non esiste pazzia senza giustificazione
e ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo
coinvolge un mistero di inaudita sofferenza che non é stata colta”. Questa
la sua follia, non essere nelle regole del controllo, non dare “nella
giusta misura” per poi ricevere il dovuto, investire la vita di amore
assoluto con un’adesione totale e spasmodica da riversare poi nella
lingua fino a farla esplodere, violenta e patetica, libera e pure costretta
da una forza metaforica che sembra preesistere alla coscienza linguistica.
E a proposito della poesia della Merini, Maria Corti giustamente parla
di “poesia
istintiva ed epifanica”. La grande verità dei suoi versi sta allora
nella follia della loro libertà.” La forma della parola, regolarmente,
assume l’atto della vita e diviene una logica conseguenza delle urgenze
dell’anima”. La lirica non deve allontanarsi dalle sue origini mitiche. Lei,
libera da ogni prescrizione ideologica, é naturalmente dentro il mito.
E’ l’Eroe, non vi é dubbio che la protagonista si descriva come tale.
Nel pensiero simbolico mitologico la Merini sperimenta un aspetto particolare:
quello dell’autunno, che secondo l’analisi dei generi letterari di Northirop
Frye é il tempo proprio della
tragedia dell’Eroe. E’ infatti l’Eroe che vive costantemente il ciclo
della morte e della rinascita, dove ciò che si distrugge nella sera
rinasce nell’alba. Il senso della continua reversibilità é proprio questo.
Gli attributi dell’Eroe si dipanano in complesse metafore, sacrificale
é la dolorosa collocazione dell’eroe: il suo luogo, diremmo, sta tra
il divino e il “troppo umano”. E cioè se é vero che la forza di Alda
Merini sta in un divino e imperscrutabile inizio, é anche vero che la
sua vita-poesia si consuma nell’inadeguatezza alle circostanze più irrisorie
del vivere, quando l’anima é presa dall’improvviso “senso del nulla”. Questo
é il significato più profondo della tragedia e del sacrificio: l’impossibilità
di integrare la giustizia sovrumana con l’ingiustizia quotidiana. Tra
questi due estremi si consuma l’esistenza e si dà l’occasione della parola. (Donatella
Pagliari) Donatella
Pagliari è laureata in lettere e filosofia all'Università Statale di
Milano, specializzatasi in educazione degli adulti. Il suo incontro
con Alda Merini è avvenuto attraverso la lettura, avendo trovato nelle
opere della poetessa la sintesi di tutti i suoi studi, centrati sul
crescente malessere dell'uomo contemporaneo. Ha approfondito poi l'esame
dell'opera anche con la frequentazione, la conoscenza diretta della
grande poetessa. |