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Una lezione sulla base cranica: la poesia di Durs Grumbein

Nato a Dresda nel 1962, il poeta tedesco Durs Grunbein vive attualmente a Berlino.
"A metà partita" è cronologicamente la sua ultima produzione letteraria, ed è il primo libro tradotto in italiano e pubblicato da Einaudi. La "partita" di esperienze, l'autore l'ha giocata per un tempo nella RDT, assistendo alla sua veloce disintegrazione e scomparsa. Con l'assimilazione alla Repubblica Federale Tedesca, ha preso avvio la riflessione intellettuale più matura del poeta. Dopo aver studiato e meditato la classicità antica, soprattutto Giovenale, essersi interrogato sul Brecht della resistenza cinico-esistenziale, interiorizzato gli shok modernisti della prosa poetica di Baudelaire, inizia a dissezionare il corpo e la mente della sua formazione culturale.

Va "in cerca di emittenti" non più di referenti e, per meglio chiarire la progettualità della sua ispirazione, inizia a stilare veri e propri referti autoptici di poesia e realtà, per dire un semplice basta a tutte le utopie e globalizzazioni varie del nostro tempo. Da questa prospettiva attiva di resistenza umana, il cervello, muscolo di materia grigia prigioniero, l'organo più presuntuoso da indagare, la "scatola nera" che elucubra, viene progressivamente reso acefalo attraverso una lobotomia di parola che clinicamente lo metta a nudo, poiché: "Nulla di ciò che si attacca alla rete neuronale hai preso sul serio, Di rado avevi in programma qualcosa di più che imbroglio, trucchi psichici o sintesi come questo Cogito ergo...".
Quello che incuriosisce e, allo stesso tempo, inquieta nella ricerca di Grunbein, la spietatezza a raggi x su se stesso, le radiografie necrofile in versi di cose e animali, le situazioni estreme chirurgicamente dissezionate del degrado umano è nel complesso la strenua consapevolezza che il corpo nei suoi nervi e nelle sue giunture, nel suo linguaggio ridefinito come mera istintualità carnale e senza io, trovi presenza "nuova" di fronte alla storia e alla morte del pensiero stesso.
Del resto, il narcisismo di massa, le sue modellizzazioni moltiplicate dagli stereotipi fitness, lascia a Grunbein questo spazio esiguo, questo luogo della carne, che il poeta attraversa con coraggio e forza intellettuale inesausta, accanto alle "tane discrete" delle privacy, alla puzza nauseabonda del Dio morto nietzchiano, innescando in ogni poesia scosse elettriche di frasi vuote, senza più referente. Da questo vuoto d'azzero, una possibile ripartenza. Il punto d'inizio è ancora indecidibile. Nella poesia novecentesca già Garcia Lorca negli anni '30 in "Poeta en Nueva York" di fronte allo straniamento personale e alla solitudine metropolitana della folla nella megalopoli, aveva secreto immagini surreali di risurrezione attraverso il sogno delle farfalle impazzite.
Le fibre carnali della poesia di Grunbein sfilacciantesi con automutilazioni inesorabili si chiedono: "Per dove mai può fuoriuscire il sogno?" "Metà partita" si apre con un rumore uniforme mattinale e si chiude in una veglia notturna, dove la carne del poeta sgocciola sul materasso. La dissoluzione sembra compiuta.
La voglia di liberazione dall'umano, alla quale si è offerta la poesia di Grunbein con feroce anatomia, diventa una possibilità impossibile, un'altra anima, un'altra storia, anche se: "No, è ben raro che un nero assorba la morte, con la lingua asciughi i laghi di sangue e sotterri la luce, estremo rifugio dei nervi".
Sarà ancora di questo secolo appena iniziato il tentativo di un colore aurorale per l'uomo?

(Alberto Mori)