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Verso una nuova ecologia dello spirito Gli orientali catturano le scimmie in modo singolare. In una noce di cocco praticano un piccolo foro, appena sufficiente a far passare la mano dell’animale, fissano saldamente la noce ad un albero, quindi sistemano al suo interno un bocconcino appetitoso. La scimmia s’avvicina, annusa l’aria, infila la mano nel pertugio e afferra il cibo ; ma quando tenta di estrarre il pugno chiuso e pieno, non ci riesce. I cacciatori, appostati nella macchia, si fanno avanti. Alla scimmia basterebbe aprire la mano e mollare la presa per fuggire sugli alberi della foresta libera come prima, però non lo fa. Pur di non lasciare ciò che ha afferrato, è disposta a farsi ammazzare. Agitata dal desiderio, dalla brama di possesso, la povera bestia perde la capacità di comprendere con lucidità e pacatezza la causa per cui si trova in trappola. Muore, infatti, con il cibo stretto in pugno. Noi, esseri umani, comprendiamo la sua tragedia. Sappiamo bene cosa si prova a voler trattenere ad ogni costo qualcosa o qualcuno. Soffriamo senza sapere perché, esattamente come la scimmia, e come lei restiamo inchiodati fino alla fine al cieco proposito di non mollare la presa. Desideri, pensieri, timori e rancori, impediscono all’uomo il contatto autentico, la comunicazione, con la vita. Manca agli uomini la capacità di comprendere pacificamente il mondo nella sua interezza e di andare oltre l’ostinato fraintendimento di Dio-Io che sta alla radice dell’umana sofferenza. Questa nostra incapacità di metterci in comunicazione con le cose, ci impedisce di comprenderle. Se non le comprendiamo, non possiamo amarle, perché l’amore è impossibile senza comprensione. Se non le amiamo, non possiamo coglierle nella loro essenza. Se non le cogliamo, non possiamo descriverle. E’ un circolo vizioso dal quale si esce reimpostando daccapo l’esistenza, vivendo con più spontaneità e naturalezza, agendo senza premeditazione, né secondi fini. Il resto viene “da sé”, come in questa poesia dello Zenrin : Sedendo quietamente, senza far nulla, viene la primavera, e l’erba cresce da sé.
Sono concetti di una semplicità pressoché incomprensibile per noi occidentali.
Abituati come siamo a centrare l’attenzione sulla nostra natura piuttosto
che su quella, ben più vasta e complessa, dell’universo di cui facciamo
parte, spendiamo ogni energia alla ricerca della pagliuzza ignorando il
pagliaio. Non è un caso che la maggior parte della produzione verbale
in versi enfatizzi sentimenti, emozioni, gioie e dolori peculiari dell’uomo,
affidando a tutto il resto un ruolo di secondo piano. Il poeta occidentale
è un artista incline a dimenticare la realtà per l’ideale, al contrario
di quello orientale che apprezza più d’ogni altra cosa la spontaneità,
la naturalezza, e ritiene ci voglia una grande sincerità per ritrarre
un fiore, o suggellare un tramonto. Non che i poeti in Occidente siano
insensibili a fiori e tramonti, non è questo il punto. Diciamo piuttosto
che li osservano in modo diverso, apprezzandone principalmente l’aspetto
esteriore e riducendo i singoli elementi in pure immagini visive e soggettive.
Mentre gli orientali guardano la natura “dal di dentro”, gli occidentali
la guardano “dal di fuori”, convinti fra l’altro di stare facendo qualcosa
di buono. Si sentono importanti per questo, e il loro ego diventa gigantesco,
più della montagna che hanno di fronte, le loro piccole cose diventano
grandi cose e la montagna, al cospetto di questi giganti, si riduce in
nonnulla. S’instaura in tal modo, fra chi osserva e l’oggetto dell’osservazione,
un rapporto che di volta in volta diventa di amore o di odio, di ammirazione
o di spregio, qualcosa che comunque non arriva mai ad essere un legame
di interdipendenza. L’universo viene visto in confusione di corpo e mente,
e chi lo guarda acquista l’errata credenza che la propria mente sia costante
e veda le cose “come sono”. Ma le cose “come sono” vivono in un non-luogo
dove le parole sprofondano nel mutoriconoscimento dell’ineffabile. Si
tratta di un non-luogo dove molto semplicemente : L’acqua è pura
e penetra nelle profondità della terra ; Un pesce nuota ed è il Pesce.
Il cielo è immenso e si estende all’infinito. Un uccello vola ed è l’Uccello. La
Perfetta Via è priva di difficoltà, Lontano dalle proposte desuete di un’ecologia bucolica e neo-romantica, l’uomo tecnologico ha bisogno di ritrovarsi nella natura per sviluppare una sempre più chiara coscienza del suo essere tutt’uno con il mondo. Gli orientali lo fanno per abitudine mentale, perché così è stato loro insegnato, mentre per noi occidentali si tratta di una conquista recente, di una nuova frontiera dello spirito sudata e guadagnata. In Europa, come in America, i poeti scrivono haiku. Lungi dall’intenzione di copiare i fratelli che vivono nei paesi del Sol Levante, la volontà di esprimersi attraverso questi brevi componimenti di carattere contemplativo nasce dall’esigenza profonda di sentirsi in armonia con la natura e dalla curiosità di scoprire il valore delle cose che ci circondano. Le tracce dell’uomo svaniscono in versi come questi di Uchida : Gatti
in amore Sole al tramonto L’intenzione di perdersi per ritrovarsi anima parole in cui la bellezza folgorante dell’universo rende il poeta radioso mentre cresce da parte di un sempre maggior numero di persone l’esigenza vitale di ricomporre i pezzi sparsi in un unico centro. Che sia l’inizio di un nuovo umanesimo ? (Rita Remagnino) |