Poetica
del fuoco
I
pensieri hanno lingue di fuoco e queste sanno avvicinare la fisica
poetica, il suo dire per immagine, il calore e la luminosità e la
forza dell’elemento che illumina la notte, la cui divampante bellezza
si declina come forza. Nella comunità delle creature viventi, il
fuoco ha il linguaggio della festosità e dell’energia, da questa
simbologia semplice le fiamme in piccoli schiocchi, sibili, sfrigolii,
divengono la musica per una partitura invisibile e silenziosa che
occhi di brace dirigono percettivamente nel brillare e rosseggiare
dell’elemento. Il suo quietarsi fa volgere gli spettatori verso una
antica alleanza fra oblio e fiabesco. Il passaggio dei pensieri dinanzi
al fuoco, conosce la purificazione della lontananza, il disincanto
di un punto di vista elementare e privo d’affanno, da cui far
nascere la fenomenologia del sublime. Così il fuoco nelle rime di Michelangelo,
unisce un registro amoroso, il “Foco d’amor”, che in un madrigale esprime
la rispondenza con il suo desiderio.
Del fuoco non come uno dei quattro elementi, ma come l’amore che
trascorre fra essi e li fa vivi, l’immagine da fisica si è fatta poi teologica
e spirituale. Spiritualizzare con il fuoco mistico l’unione con la colomba,
porta la lingua poetica all’aspetto dell’epifania, dove l’elemento fa
da medium perché la realtà riveli il suo aspetto divino all’uomo. A conclusione
dei “Quattro Quartetti” di T. S. Eliot, le lingue di fuoco si incurvano
verso la rosa per unirsi nel suo dono di semplice purezza e conferire
così un patto simbolico verso un futuro in cui l’atemporalità della poesia
restituisca la storia all’uomo, disperso nelle sue trame dolorose.
In Novalis, l’albero è una fiamma in fiore, l’uomo una fiamma che parla,
l’animale una fiamma errante. In questo universo il poeta romantico insegue
quel cerchio che stringe insieme vita e rinascita, ma anche luce e
immaginazione, quella che Arthur Rimbaud porterà nella sua stagione all’inferno
ad ardere, per farla nascere alla visione, dove i sensi fattisi veggenti,
trovano il fuoco di una eternità istantanea che apre il varco al pensiero
poetico del nuovo secolo imminente. L’estate porta a maturazione il
fuoco interiore che riapparirà in inverno, ad essere la presenza evocati
va in mezzo al gelo terrestre.
Nella stanzetta di Boris Pasternak, dietro ai vetri, arde la candela
notturna, in cui anche il fuori della steppa buia ed innevata, trova
rifugio nella veglia assorta del poeta che ne ascolta la voce, sentendosi
soglia attentiva fra la natura del sogno e quella del mondo addormentato,
alla cui fioca luce rimasta, inizia ad inventarne silenziose ritmie
e corrispondenze. Il sole, il principio splendente del fuoco, brucia
ogni chimera poetica, ogni illusione che l’architettura cosmica
di un verso ha cercato di riprodurre, finché petali di cenere lasciandosi
dissolvere nel vento porteranno la fine del fuoco verso l’aria,
per una nuova generazione.
(Alberto
Mori)
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