Riflessioni

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Ci sono eventi che rimangono stampati nella mente, attaccati alla nostra memoria come carta moschicida. Credo che l’olocausto sia uno di questi eventi. E le sue immagini sono di quel tipo un po’ pernicioso, che rimane impigliato alla coscienza. E pesano, le sue immagini; pesano come enormi macigni. Forse perché non si tratta di un fatto puramente storico. Non lo si può catalogare tra i comuni fatti raccontati nei libri di testo delle nostre scuole. Non può essere incluso nella lista degli avvenimenti di guerra come le crociate o la sconfitta di Waterloo. Perché, sì, è guerra, ma non è di sola guerra che si tratta. Non può essere accomunato agli altri eventi persecutori, che pure hanno insanguinato la storia dell’uomo, come la santa inquisizione o lo sterminio degli indiani d’America. Perché, sì, è razzismo, ma non è di solo razzismo che si tratta. Si tratta di qualcosa che va al di là della guerra, al di là del razzismo, al di là di qualsiasi argomentazione. Perché è stato un collage di colpe, più o meno criminose. Un insieme di crudeltà, di follia, di negligenza, di calcolo, di miseria, di indifferenza. È stato la risultante di una situazione socio-politica che non aveva alcuna giustificazione.

Quando mi capita di vedere quelle immagini strazianti, oltre a provare orrore e incredulità, provo vergogna. Non c’ero ancora, non ero nata, ma provo vergogna. È come se le colpe di chi ha deciso, di chi ha ignorato, di chi ha appoggiato, ricadano su di me. Così, mi succede di sentirmi quasi in debito con gli ebrei. Potevano essere chiunque. Hitler poteva decidere di eliminare tutti i biondi, come tutti i cattolici, come tutti quelli che non superano il metro e settanta. Mi sarei sentita in debito verso di loro.

Ho letto dei libri su questo argomento, ho visto dei documentari. Tutto quello che riesco a pensare è che Hitler poteva anche essere un folle criminale che si era circondato di collaboratori folli e criminali come lui, ma la Germania, l’Europa… Lì si schianta la mia comprensione; contro quel muro fatto di milioni di persone, di milioni di coscienze che non hanno fatto nulla per impedire un massacro che non aveva alcuna spiegazione. Di nessun tipo. Quando penso che in Italia sono state emanate leggi antisemite già dal 1938 per via delle quali gli ebrei furono costretti ad abbandonare il proprio lavoro, a frequentare scuole specifiche, ad avere il cibo razionato… dov’erano gli italiani quando tutto questo accadeva? Non c’era ancora la guerra. E allora dov’erano i francesi, gli inglesi? E dove, dico io! Dove i tedeschi? In quale luogo lontano si erano rifugiate tutte queste coscienze? Forse erano troppo occupate a compiacersi del fatto che non era capitato a loro, che il Führer aveva deciso per gli ebrei, e non per i cattolici, o per quelli alti meno di un metro e settanta. Sono arrivata anche a pensare che forse c’era un odio collettivo per questa razza, ma la tesi non regge neanche un po’. Eppure gli ebrei sparivano come le mosche in inverno, e certo non venivano portati in villeggiatura. Magari l’Europa, la stessa Germania, poteva non sapere dell’esistenza dei campi di concentramento, delle camere a gas, dei forni crematori, perché per delle menti normali è difficile credere alla loro esistenza anche dopo averli visti. Ma, comunque, non era un mistero che queste persone venivano maltrattate ed uccise. Ed anche volendo ignorare l’ipotesi del maltrattamento e della morte, e prendendo in considerazione solo il fatto che tutti quegli uomini, quelle donne, quei bambini, venivano portati in lager modello, come quello di Terezin, che il mondo conosceva perché il Reich se ne faceva un vanto; come è possibile che venisse accettato il concetto di segregazione di un intero popolo, senza che un solo dubbio sfiorasse quella moltitudine? Il fatto che ebrei, zingari, omossessuali, prigionieri politici, venissero isolati come lebbrosi, e che tutti gli altri lo considerassero un evento come un altro mi fa rabbrividire. Naturalmente ci sono state perle di umanità, piccole briciole di sentimento e di pietà, e molti tra coloro che erano segnati, si sono salvati per questo. Ma per come vedo io l’uomo, non è abbastanza. La rarità dovrebbe essere l’abominio, non la solidarietà e l’amore.

So che qualcuno già insinua che i campi di concentramento non sono mai esistiti. Dobbiamo impedire che una simile cultura emerga come un fenomeno di massa. Anche se sembra che non possiamo fare nulla, è di piccole cose che sono fatte le grandi cose. Noi siamo parte del futuro e i nostri figli devono sapere. Sapere che il baratro è solo un passo più in là. Sapere che l’uomo è un essere poco affidabile e privo di regole. Imparare che nulla è casuale, ma tutto si costruisce. Comprendere che l’uomo è principalmente una persona, dovunque si trovi, qualsiasi cosa faccia, qualsiasi Dio preghi. Capire, finalmente, che chiunque minacci la libertà e la dignità del proprio vicino, minaccia la nostra.

L.M.