Se la musica parla

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È solo di recente che i miei orizzonti musicali si sono estesi alla musica classica, e non ho, quindi, alcuna competenza in materia. Una cosa, però, mi è parso di intuire: la parola nella musica ‘colta’ (per usare un aggettivo Baricchiano), è al servizio della melodia, dell’armonia, della musicalità d’insieme. Rare volte il lirismo verbale eguaglia quello strettamente musicale, ma questo, come per una sorta di miracolo, non toglie nulla al resto, anzi, forse ne esalta la forza espressiva, come se quella semplicità di contenuti, stimolasse la musica a farsi più importante, più intensa, più inevitabilmente incancellabile. Non si può certo dire lo stesso della musica leggera. È vero, sì, che gli argomenti affrontati dal jazz appaiono spesso frivoli e divertenti, ma sono sostenuti da accattivanti melodie e da armonie complesse. È vero anche che le piccole storie del pop non dicono quasi mai nulla al pubblico, ma il loro scopo è proprio l’annullamento del pensiero, e in questo certo i parolieri sono dei maestri indiscutibili. È, però, altrettanto certo che, laddove ci si allontana dal divertimento del virtuosismo, e dalla vacuità delle moderne operazioni commerciali, il panorama leggero internazionale, non può e non deve essere spogliato della sua parte letteraria.

Sottovalutare l’importanza del testo in una canzone moderna, equivale a privarla di una parte importante di sé, a considerarne l’aspetto estetico senza sondarne la profondità dei contenuti. Il mio principio nell’interpretare un pezzo, è sempre stato quello di capirlo fin nel suo intimo, ed ho sempre pensato che, se chi lo ha concepito, ha voluto esprimersi anche con le parole, certo queste dovevano darne un’idea più completa, magari non necessariamente migliore, ma sicuramente più autentica. La storia della musica popolare, che negli ultimi anni ha fatto molta tendenza con lo pseudonimo di ‘musica etnica’, è costellato di bellissimi testi che sono lo specchio esatto del modo di vivere e dei sentimenti dei popoli a cui appartiene. I principali movimenti musicali dell’epoca moderna, spinti da convinzioni filosofiche e ideologiche di varia origine e natura, hanno dato vita a flussi interminabili di parole cantate, più o meno belle, che, però, hanno la forza dirompente del messaggio poetico; spesso e volentieri non ne posseggono la grazia estetica, ma certo ne hanno il potere evocativo.

Nel caos generale scatenato da questi movimenti di carattere internazionale, può sembrare che il Bel Paese sia rimasto in disparte, a guardare, come sempre, e ad applaudire le prodezze e l’impegno degli altri. Ed invece, proprio qui in Italia, abbiamo avuto uno degli esempi più esplicativi dell’importanza delle parole cantate. Un esempio estremo perché ribalta completamente quello che ho espresso all’inizio di questo folle monologo riguardo la musica classica. Qui, infatti, la melodia si fa semplice, l’armonia spesso banale e, a volte, se non si ha l’accortezza di ascoltare il messaggio, si finisce col pensare che si tratti di musica inutile. Ma se si tenta di capirne il senso poetico, si finisce catturati anche dalla musica che, d’improvviso ci appare di una bellezza disarmante, forse proprio perché minimalista. Sono le parole, i concetti, che si elevano, come nella classica fa l’armonia, al ruolo di soli protagonisti, le note si sollevano anch’esse, ma solo per formare un sottofondo degno, a quello stralcio di poesia cantata. Sto parlando della musica cantautoriale italiana, quella vera, che per lungo tempo ha riempito il vuoto enorme che la mancanza di idee musicali, in senso stretto, ha lasciato nel nostro paese. Ed è un vero peccato che la nostra lingua non sia compresa all’estero, perché è questo il motivo per il quale i nostri cantatutori non sono stati sufficientemente apprezzati fuori porta. Defraudarli della loro carica poetica è come togliere alla musica classica le note: non rimane poi molto, a pensarci bene. Sono pochi, ritengo, quelli che si soffermano a riflettere sui testi delle canzoni, ma certo chiunque ascolti un brano di musica cantautoriale italiana, non può sottrarsi alla potenza delle parole: saltano agli occhi, come fossero luci accese di notte.

Tutto questo discorso, per comunicarvi quanta importanza penso abbiano i testi che cantiamo. Ogni interprete dovrebbe comprenderli, farli propri, e poi mettersi al loro servizio, oltre che a quello della musica, perché un brano è un’opera d’arte complessa e delicata, ed è solo mettendosi al suo servizio che essa si compie nel suo splendore. Così, ci regala la sensazione più bella che un cantante possa mai provare: insieme al suo messaggio, la musica, porta al pubblico la nostra anima.

L.M.

Questo è un piccolo omaggio che voglio fare a Laboratorio Cotogni. Si tratta di un testo che amo molto e che sento particolarmente mio. Spero vi dia le stesse sensazioni che da a me.

L’albero

In me cresce un albero alto
Splendore nel sole
Alla pioggia d’estate si apre
E ogni sua foglia canta

In me cresce un albero alto
Splendore nel sole
Abbracciato alla nera terra calda
E ogni sua foglia canta

Angelo Branduardi