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ARTEMIO,IL MONACO.
DI RAFFAELE CRISPINO Raffaele Crispino copywrite2003

ARTEMIO,IL MONACO. DI RAFFAELE CRISPINO

1

Sara stava salendo le scale quando sentì squillare il telefono.

Si affrettò. Aprì la porta .

Il telefono continuava a squillare.

Corse.

“Pronto.” disse concitata.

Nessuno le rispose.

Contrariata, mise a posto la cornetta del telefono.

Chi poteva essere a chiamarla a quell'ora?

Si passò una mano tra i lunghi capelli neri, si sfilò l'orologio dal polso, si tolse la maglietta fine e trasparente. Così, quasi nuda, si avviò verso il frigorifero, prese una bottiglia d'acqua minerale.

Ne bevve una buona parte: aveva la gola secca.

Appagata, sentì il desiderio di fumare.Prese una sigaretta e l'accese.

L'appartamento non era grande ,forse un 60 metri quadrati.

Sara era originaria di un piccolo paese, dal nome molto difficile a pronunciare, a pochi chilometri da Como. Dal padre inglese aveva ereditato il cognome ed il carattere un po' scontroso, dalla madre la bellezza e il nome,ma a ventidue anni le si poteva perdonare ogni cosa.

Da circa un anno viveva in un piccolo paese a circa dieci chilometri da Roma, trascinata per forza e per amore da un fotografo che voleva farne una modella famosa e ricercata .

Quello stabile aveva la forma di un castello e sembrava essere stato messo lì in mezzo a tutta quella vegetazione come un simbolo del tempo andato.

La costruzione in molte parti presentava delle crepe e il giardino non era curato perché le erbacce e la crescita non controllata dei rami delle piante ne avevano coperto la bellezza tanto che si aveva difficoltà ad attraversalo.

C'era bisogno di intervenire per rimetterlo in sesto, ma i proprietari non abitavano lì.

Forse non ricordavano neppure di possedere quella costruzione o non avevano soldi a sufficienza per sistemarlo.

Chi si occupava di quella proprietà era un avvocato del paese che in verità non aveva chiesto per l'affitto molti soldi.

Tutto andò bene per i primi tempi, poi anche l'amore con il fotografo finì.

Ora c'era lui, Osmuld.

Stefen Osmuld l'aveva conquistata con i suoi modi gentili.

Era stata fortunata ad incontrarlo,con lui sarebbe riuscita a fare qualcosa di buono.

Osmuld non era un fotografo qualsiasi, era uno di quelli che hanno la porta aperta ovunque vadano;forse era lui che l'aveva telefonato o era uno spirito maligno che s'annidava nella sua mente.

Cercò di non pensare. Schiacciò il mozzicone di sigaretta nel posacenere e si avviò verso il bagno per una doccia rinfrescante.

Riposata e rilassata dall'ondata d'acqua sul suo corpo, si mise a guardare la televisore. Fece un po' di zepping fino a sintonizzarsi su un programma di moda.

Nonostante sentisse le palpebre appesantite, si sforzava di tenere gli occhi aperti per seguire il programma fino alla fine.

Ma era veramente stanca.

Spense il televisore e come un automa si lasciò cadere a peso morto sul letto.

In quello stato avrebbe messo un lampo a cadere nelle braccia di Orfeo, ma non riusciva a trovare una posizione giusta e questo non la faceva dormire.

Teneva lo sguardo fisso verso il soffitto.

Non sapeva chi abitava nell'appartamento del piano sopra, di sicura gente tranquilla, perché non aveva avvertito la loro presenza.

Stava per addormentarsi quando, all'improvviso, nel silenzio sentì un rumore strano.

Aprì gli occhi stralunati e si alzò dal letto di scatto.

 

Cosa era successo?

Chi aveva provocato…quel rumore?

 

Tirò un respiro di sollievo nel constatare che il rumore era stato provocato dalla porta che s'era chiusa, spintavi dal vento.

Si rimise sul letto.

Aveva avuto un bello spavento.

Doveva calmarsi un po',doveva evitare di vedere film di terrore con scheletri, ossa e carne infilata da un dozzina di coltelli.

Lo sapeva che era condizionata ma lei, dura di testa, ci cascava sempre quando qualcuno le proponeva un film di terrore.

Poi i tuoni.

Si sentì disturbata. Il cattivo tempo non l'avrebbe certo aiutata a prendere sonno.

Sentì il rumore delle gocce di pioggia battere sui vetri della finestra.

Si accartocciò con il lenzuolo come per proteggersi; per sua fortuna non si trovava su una strada isolata e allo scoperto.

Pioveva a dirotto , e le saette, che illuminavano ad intermittenza il paesaggio circostante, le mostravano un'immagine lugubre e cimiteriale.

Sara si alzò,spintavi, forse, da una forza infernale ad avvicinarsi alla finestra.

Rimase ferma con lo sguardo fisso a guardare l'albero che si piegava con i suoi rami taglienti e micidiali.

C'era qualcuno, n'era certa;in quella stanza c'era una presenza estranea.

All'improvviso si sentì spingere contro il vetro della finestra. Cercò di resistere, ma non ce la faceva.

Qualcuno da dietro la pressava. Spingeva la sua testa contro il vetro. Si fece forza.

Cercò di non farsi spostare ma non riusciva a frenare.

Agitava le mani per toccare il niente né riusciva a gridare.

Ora la faccia era schiacciata sul vetro,a momenti l'avrebbe rotto e…il sangue, tanto sangue, incominciò ad uscire dalle piccole ferite che le schegge di vetro avevano prodotto sul viso.

Vide il sangue ed i vetri della finestra andare in frantumi.

Gridò.

Forte.

Sentiva la sua voce.

. . .

 

Si risvegliò.

Le sembrò d'impazzire.

Che diavolo era successo?

Quando si passò la mano sulla faccia non aveva nessuna ferita,eppure i vetri della finestra erano rotti.

All'improvviso il vento entrò con una tale intensità che la piccola stanza fu messa a soqquadro.

Si precipitò ad abbassare la persiana della finestra e la calma ritornò a regnare nella stanza.

Era l'una ed Osmuld non aveva ancora chiamato.

Pensò che se la stesse spassando con Ann, una modella come lei, che tentava di soffiarle un importante servizio fotografico.

Le bastava alzare la cornetta del telefono per dar corpo ai suoi dubbi o per rasserenarsi, ma non lo fece.

Preferì aspettare domani.

Avrebbe visto Osmuld,gli avrebbe parlato.Lui non poteva farle questo torto.

Ma c'era una cosa impellente da fare in quel momento: dormire.

Sentì un rumore,molto in lontananza.

Debole.

Forte.

Debole

Il rumore diminuiva ed aumentava d'intensità come le onde di frequenza di una radio non ben sintonizzata.

Nell'appartamento di sopra c'era qualcuno,si sentivano i passi. Qualcuno andava avanti e indietro per la stanza per una, due, tre, cento volte.

Basta!

Fine!

Sara cercò di pensare ad altro, di allontanare dalla mente quel rumore, di concentrarsi sul temporale che si stava scatenando fuori.

Non vi riusciva.

Allungò una mano per prendere il pacchetto di sigarette,ne cavò una e se l'infilò tra le labbra carnose. Prese l'accendino.

Era nervosa.

Scintille.

Nessuna fiamma.

Provò varie volte,poi stufa buttò via l'accendino.

La sigaretta era accesa.

Sara non s'accorse del fenomeno che s'era prodotto tra le sue mani.

La stanza si riempì di fumo.

Avrebbe dovuto aprire la finestra per fare entrare dell'aria pura ma solo a sentire quei rumori preferì dormire distesa, circondata da nuvole di fumo.

Non accadde più nulla. Il rumore scomparve e Sara riuscì a prendere sonno.

 

. . .

 

Quando si svegliò verso le otto del mattino, per poco non gli venne un accidente nel vedere accanto al letto tutte quelle foglie secche.

Com'era possibile?

S'era in estate, e le foglie non sono secche.

Neanche questo però la spaventò.

Pensò che fossero entrate quando s'era rotto il vetro della finestra, volate via da un posto lontano nel tempo.

Tirò la cinghia della persiana della finestra.

Il vetro non era rotto.

Lo squillo del telefono non le diede il tempo di pensare a tutti questi strani fenomeni.

- Pronto, sono Sara Lenson. -, disse, presa da un improvviso e strano nervosismo.

Al telefono nessuno rispose.Si sentiva solo l'ansimare affannoso di qualcuno.

- Sei tu, Osmuld?. . . E dai, smettila! - , gridò con voce rabbiosa. Non le piacevano per niente quegli scherzi idioti.

All'improvviso sentì anche un altro strano rumore:un ronzio fastidioso.

Prima debole.

Lontano.

Poi sempre più forte.

Si rigirò lentamente, quasi con paura, volse lo sguardo sul televisore.

Il televisore era acceso.

Da solo?

Chi l'aveva acceso e dov'era?

Ma non c'era nessun'immagine sullo schermo: solo dei puntini luminosi.

Sara sentì di nuovo il rumore di qualcuno che camminava; poi le sembrò di vedere una figura amorfa e maligna sullo schermo.

Si spaventò e pose con violenza la cornetta del telefono.

Ma il suo sguardo rimaneva inchiodato a fissare quei puntini luminosi e luccicanti che le tempestavano la mente. Si sentì paralizzata. Voleva fare qualcosa per sfuggire a quell'attrazione, ma non vi riusciva; forse avrebbe dovuto chiudere gli occhi o fuggire, ma non lo fece.

Si lasciò trascinare verso la macchina elettronica.Sentiva uno strano formicolio in testa come se quei punti incandescenti e luminosi le attraversassero la mente.

. . .

Ci fu un flash.

Si trovava sotto il getto violento dell'acqua della doccia che, incuneandosi tra seni,scendeva come un ruscello di montagna in piena

Aveva bisogno di rilassarsi, e provava piacere nel farsi violentare dall'acqua gelida.

Non sapeva se quello che era accaduto prima fosse nella realtà delle cose o fosse frutto della sua immaginazione.

Osmuld la telefonò. Confermò l'appuntamento del pomeriggio e sostenne che non aveva potuto chiamarla prima perché era stato molto impegnato.

Allora non era stato lui.

Chi?

Sara pensò a vestirsi.Aprì l'armadio e incominciò ad ispezionare nel guardaroba i vestiti. Dopo avere provato alcuni abiti, scelse una camicia annodata sul davanti in modo che si vedesse l'ombelico, uno jeans elasticizzato di colore nero ed un paio di sandali. Alle nove e mezza era pronta e vestita per andare via.

Ma dove?

Si ricordò di Barbara, della sua amica Barbara Bells che abitava nell'appartamento accanto al suo.

Bussò alla porta.

Barbara l'aprì, mezza assonnata e con i capelli in disordine.

- Ah, sei tu. Dai! Entra.- , disse.

Barbara Bells era inglese, della zona del Sussex.; aveva trentanove anni, ed era sposata.

Aveva conosciuto suo marito Pascal Sten Barrimore in Africa. S'erano amati subito ed insieme avevano vissuto una vita pericolosa e avventurosa, sempre in giro per il mondo.

Barbara le aveva raccontato di un'avventura che avevano avuto quando si trovavano in America: in ostaggio per circa quattro ore di due rapinatori violenti e brutali. Non le aveva nascosto quello che le avevano fatto, né gli abusi sessuali, né le sevizie.

Forse era per quel lontano e non dimenticato incidente che Barbara era caduta in una depressione oscura.

Sara era affascinata da quella vita, così avventurosa, così sofferta.

E poi Barbara raccontava le cose così bene, che le pareva di stare lì con lei. Vedeva i volti sfrecciati di quegli esseri immondi. Immaginava quando prendevano la sua amica e le strappavano tutti i vestiti di dosso.Vedeva le strade, le città affascinanti e misteriose dell'Oriente. Vedeva Pascal, bello e virile, baciarle la bocca, avida di piacere.

Sara si lasciò pesantemente cadere sul divano appoggiando le braccia sulla spalliera. Sapeva che negli ultimi tempi la sua amica soffriva di un grave disturbo nervoso. Avrebbe voluto però sentire altri racconti, magari del periodo di quando era a Tangeri ma forse. . .

Barbara, poco dopo, arrivò con due bevande calde di tè.

- Non riuscirei a farne a meno. . . - , disse, mentre versava il tè nella tazza di Sara.

Per un po' rimasero in silenzio,concentrate a gustare il tè.

- Che fai ora? Hai qualche importante offerta di lavoro. Sapevo di quel provino per uno spot pubblicitario. Una marca di birra?- , chiese Barbara.

- No. Niente alcolici .Era per una marca di collant.-

- Ah! Collant. Calze e giarrettiere. Hai delle belle gambe ed è giusto che le fai vedere.-.

- Oh, già. Grazie.-

- Hai qualche impegno per stamattina? Ti vedo già bella e preparata.-

- Sì. Nel pomeriggio,con Osmuld. E tu? E' da un po' che non esci. Stai sempre chiusa in casa. Non faresti meglio ad andare per un po' di tempo fuori. Magari un bel viaggio a Parigi. -

- Oh, vorrei tanto andare via, andare a Parigi. Ma Pascal è così impegnato. Certo, troverò il tempo di fare qualche cosa. Oh, Dio! Alle volte mi sento scoppiare la testa. Ho un nervoso che non ti dico. -

- Già! Lo so, lo so bene. Sono sicura però che guarirai. Solo è che dovresti uscire un po'. Ah, che leggevi?-

- Stavo leggendo « Il nome della Rosa» , ma l'ho trovato molto impegnativo, così mi sono rilassata con « Fantozzi» . -

- E' divertente.A proposito,e Pascal?- , chiese Sara, un po' sorpresa nel non averlo trovato in casa a quell'ora.

-Pascal? Il nostro grande scrittore è uscito presto questa mattina. Oggi è molto impegnato. Mi ha detto che aveva una conferenza . Non so in quale dannato posto. Certo è che queste conferenze si susseguono ad un ritmo impressionante. Mai un attimo di tregua. Non è mai in casa.Che non abbia un amante?- ,si domandò Barbara, abbozzando un sorriso malizioso.

- Già,un'amante per il professor Pascal Sten Barrimore. Magari é una prosperosa giornalista che lo assiste amorevolmente durante i suoi accesi dibattiti. - , ridacchiò Sara.

- Dev'essere davvero bona se non lo lascia mai solo.-,si lasciò scappare Barbara.

- A proposito, ha finito di scrivere quel romanzo?-

-Se ha un'amante bella, penso proprio che « Prigionieri e Lager» non vedrà mai la luce in libreria. Ma lasciamo perdere. -

Solo allora, quando smisero di parlare si poté sentire il rumore dei passi di qualcuno che camminava nell'appartamento di sopra.

In un primo momento sembrava che i passi fossero di una persona sola, poi di due e poi ancora di tre.

Entrambe guardarono nello stesso momento verso il soffitto nella direzione da cui proveniva il rumore.

-C'è qualcuno? Abita qualcuno al piano di sopra?- , domandò,timoroso, Sara.

Quel rumore di passi lo aveva sentito anche a casa sua, ma non voleva farlo sapere.

-E chi lo sa? Forse sì,forse no. Qualcuno deve abitarci per forza. Saranno venuti ad abitare da poco tempo, e poi a me non interessa un fico secco di questa gente, ma almeno non facessero un così tale baccano. - , rispose con sufficienza Barbara .

Il rumore cessò, improvvisamente come se quelli avessero ascoltato le sue parole.

Quello spiacevole incidente sembrò dimenticato, perché le due donne si tuffarono in una conversazione vaga e femminile: si parlò d'attrici, di moda, di film visti o da vedere, e si parlò della grand'occasione che aveva Sara di sfondare definitivamente.

Il suono del telefono fu così violento e stridulo che Sara ebbe un sussulto.

Barbara allungò una mano ed alzò la cornetta del telefono con sufficienza.

- Pronto! . - , disse a bassa voce.

Era Pascal Sten Barrimore.

- Cara,penso di poter far ritorno verso le otto. Questa volta non dovrebbe andare per le lunghe. -

- Ma dove ti trovi? E' lontano da Roma?-

- No, non è molto lontano da Roma. -

- Bene. Speriamo almeno che questa volta ritorni a casa per davvero. - , si augurò Barbara .

- A proposito, ceniamo fuori stasera?- .

- No. E' meglio di no. Ci andremo qualche altra volta , e poi mi sento stanca. -

Pascal la salutò.

Barbara guardò Sara, poi si accese una sigaretta. Quel comportamento di suo marito le dava ai nervi.

- Sei stata molto dura con Pascal. In fondo non è colpa sua se sta tanto tempo lontano di casa o credi davvero che abbia un amante?- , chiese Sara con voce seria e grave.

Barbara tirò una boccata di fumo , poi alzò lo sguardo verso il soffitto.

- Sì. Penso proprio che abbia un amante. Deve essere molto giovane. - , confermò con espressione seria.

•  Vedo che ne sei convinta. –

•  Non ho alcuna prova. Sarà forse quest'esaurimento nervoso che mi fa vedere le cose tutte storte, però l'istinto mi dice che Pascal ha un amante. Non facciamo all'amore da molto tempo. - , concluse mentre schiacciava il mozzicone di sigaretta nel posacenere.

Sara sulle prime non rispose.In fondo le faceva piacere che Pascal avesse un amante. Lei n'era segretamente innamorata.

Nella convinzione che Barbara le avesse letto nel pensiero le disse che si sbagliava su Pascal e che era tutto frutto della sua fantasia.

Guardò l'ora.

Si alzò di scatto.

S'era fatto tardi.

Barbara non si mosse e la salutò con un cenno della mano.

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