"Il disoccupato doc. Ovvero l'arte di non fare niente" di Raffaele
Crispino
La ricerca di un posto di lavoro è sempre stato un problema per i
giovani, in special modo per quelli del sud. In questo breve romanzo il problema
del lavoro viene affrontato dal protagonista Enzo senza patemi d'animo, confidando
sulla buona sorte e sulla ineluttabilità delle cose. Come se fosse
un pedaggio da pagare alla società, restando disoccupati per decine
di anni con la convinzione, che nella migliore delle ipotesi, il lavoro vero
potrebbe arrivare anche dopo trenta anni. Ad un occhio meno attento potrebbe
sembrare che i giovani disoccupati del sud godano nello stare in queste condizioni.
Non è così. Loro, nonostante tutto, cercano di adattarsi a qualsiasi
lavoro, anche se malpagato. Sanno bene che anche con un Santo protettore aspetteranno
molto tempo e, se proprio vogliono fare prima, alla stazione c'è sempre
un treno che li aspetta con destinazione Milano.
Il libro " Il disoccupato doc" é anche
in versione ebook sul sito
"Enzo... Enzo...
sono le nove" disse l'anziana donna, appena aprì la porta della
stanza da letto. Ma non avanzò. Aspettò che ci fosse una risposta;
poi quando vide che suo figlio si metteva ancora più sotto le lenzuola,
capì che avrebbe fatto bene a chiudere la porta senza far rumore.
Enzo, invece, s'era già svegliato, ma non voleva essere disturbato;
sapeva che erano perlomeno le nove e mezzo. Sua madre voleva imitare Eduardo
, e diceva ogni santo giorno: sono le nove. Avrebbe detto che erano le nove
anche se fossero state le undici del mattino. Ormai Enzo non ci faceva più
caso. Sapeva solo che il giorno era iniziato da un bel po' di tempo e che
per lui incominciava una nuova giornata di lotta. Si rigirò nel
letto, indeciso se alzarsi o aspettare ancora un altro po'. Tanto non aveva
niente da fare. Da quello che riusciva a intravedere dal letto la giornata
doveva essere molto assolata. Così,dopo una quindicina di minuti, decise
di alzarsi; si avvicinò alla finestra e osservò il cielo.
"Ti ho preparato il latte e il caffè. Ho preso anche dei cornetti
" disse premurosa Concetta, la mamma di Enzo, appena lo vide entrare
in cucina.
"Ah, bene. E il giornale?" chiese lui.
"Sì. Eccolo. Ho preso Il Mattino" rispose Concetta mentre
prendeva il giornale dal piano della cucina.
"Oh, Il Mattino! Perché non hai preso La Repubblica?Lo sai che
oggi è giovedì?"
Concetta non rispose, si sentiva un po' in colpa. Aveva dimenticato che su
La Repubblica il giovedì escono gli annunci per la ricerca del personale
qualificato nelle industrie o nel terziario. Cercò di replicare, cercò
di dire che sarebbe andata dal giornalaio a cambiarglielo, ma Enzo le disse
di non preoccuparsi.
Incominciò a bere il latte; poi bagnò il cornetto e se lo mise
in bocca. Non era molto buono quel cornetto.
"Ma dove diavolo li hai presi questi cornetti?" chiese,quasi disgustato.
"Li ho presi da Peppe 'o spuorc' , al bar vicino al giornalaio.La pasticceria
era chiusa".
"Quante volte ti devo dire di non prendere i cornetti da Peppe 'o spuorc'.
Lo sai anche tu che non li cuoce bene " disse, un po' stizzito, Enzo,
mettendo via il cornetto,mezzo bagnato.
"Ma, Enzo! È stato così gentile, Peppe. Me li ha regalati.Ha
detto che ecco mi ha ringraziato per il problema di matematica che hai
risolto a suo figlio. Me ne ha dati due. Io dico che sono buoni".
Enzo non replicò.
Chiese delle fette biscottate.
Non c'erano fette biscottate.
Chiese del burro e marmellata.
Non c'era burro e marmellata.
"Almeno c'è un po' di pane?"
Concetta non disse una parola. Sapeva che doveva comprare il burro e la marmellata;
non è che ci fossero poi tanti soldi da spendere per questi sfizi.
Concetta pensava che suo figlio, il professore, era sfortunato: prima perché
non aveva un posto di lavoro, poi perché non riusciva a fare le ripetizioni
a qualche figlio di salumiere;così altro che delizie avrebbe comprato
per lui. Gli altri potevano anche farne a meno, ma Enzo no. Non gli
doveva mancare niente.
Concetta gli diede il pane. Enzo continuò a mangiare,ma c'era qualcosa
che lo disturbava: un rumore.
La causa era: le macchine per cucire. Le sue due sorelle lavoravano da circa
tre ore, e avevano, imprudentemente,lasciato la porta aperta. Allora Concetta
si allontanò e andò nell'altra stanza.
"Enzo si è svegliato. Sta prendendo il latte. Almeno per un po'
potete smettere di fare rumore?" ammonì l'anziana donna in modo
risoluto.
Le due donne, una, Luisa, sui ventisei, e l'altra, Francesca,che poteva avere
un ventidue anni, smisero di cucire le lenzuola.
"Hai lasciato la porta aperta, per questo Enzo ha sentito " imprecò
Luisa, rivolta alla sorella.
Luisa e Franca erano di professione casalinghe lavoratrici.Prima lavoravano
in una fabbrica di scarpe a mettere la colla. Ma dovevano alzarsi di mattina
presto, e fare più o meno tre chilometri a piedi per raggiungere il
posto di lavoro. Quel lavoro loro avrebbero volentieri continuato a farlo
se non fosse stato per il fratello, il professore.
Che figura ci faceva Enzo ad avere le sue due sorelle operaie in una fabbrica?
Ne valeva dell'immagine, e allora meglio morire di fame che perdere l'immagine.
Fu per questo che si ritirarono. Ora, invece, restavano in casa e pochi sapevano
i fatti loro. Lavoravano in clandestinità,in nero. Cucivano "a
una tantum" lenzuola: più ne facevano e più guadagnavano.
La più grande Luisa andò subito a preparare i vestiti che suo
fratello doveva indossare, mentre l'altra, Franca, chiese se dovesse portare
il giornale alla signora Folea. La signora Folea, di nome Sabrina, era la
moglie dell'ingegnere.Una donna molto bella, che abitava nel palazzo di stile
inizio Novecento, proprio di fronte alla loro casa.
Concetta lavorava presso di lei per dei piccoli lavori domestici e la signora
l'aveva incaricata di prendere il giornale ogni mattina e di portare anche
dei cornetti. Sabrina sapeva che il giornale lo leggeva prima Enzo, ma non
avrebbe detto niente anche se glielo avesse portato alle undici del mattino,
così anche per i cornetti. Perché sperava che fosse lo stesso
Enzo a portarle quelle cose; magari avrebbe scambiato due parole con il professore.Avrebbe
acquistato un po' di cultura, e avrebbe in tal modo ben figurato, dato che
la sua estrazione sociale non è che fosse molto in. Era riuscita a
sposare l'ingegnere solo perché era bella e aveva le curve davvero
sconvolgenti.
Enzo aveva ventinove anni, ed era un disoccupato "doc" (cioè
autentico). Tutti lo chiamavano professore, anche se non aveva mai preso la
laurea. Solo perché era stato iscritto all'università di Napoli,
alla facoltà di medicina. Ma come si sa, da queste parti, basta che
uno sia iscritto all'Università per essere già considerato dottore.
E poi Enzo aveva la faccia giusta da intellettuale; con quel suo viso sempre
stanco, che sembrava che ti facesse un piacere se ti dava una risposta.
"No. Lascia stare. Glielo porto io il giornale alla signora Folea"
disse Enzo.
"E fai bene. Fai bene figlio mio. Hai il modo di parlare".
"Parlare!"
"Sì. Parla. Il marito della signora Folea, lo sai bene, è
un alto dirigente della Sip. È un uomo importante. Chissà cosa "
"Telecom, mamma. Ora si chiama Telecom. Non si chiama più Sip".
"Come? Telecom! Ma sono i telefoni?"
"Sì, mamma. Sono i telefoni".
"Ah, come sei istruito, figlio mio. Sai sempre tutto.Perché non
le parli? Perché non le dici che Basterebbe una parola del marito,
e tu potresti lavorare. Prenderesti uno stipendio. Magari ti potresti sposare".
"Sposare! "
"E quanto tempo vuoi farti aspettare? Giulia ormai sta avanzando con
l'età. Parla con la signora Folea".
"Sì. Hai ragione. Appena ne ho l'occasione le parlerò.Le
chiederò se può fare qualcosa per me. Sei contenta ora?"
rispose con sufficienza Enzo, quasi volesse stroncare subito quella conversazione.
"Ma certo. Sono contenta. E poi non penso che tu debba per forza stare
come gli altri in mezzo alla strada.Tu non sei adatto a fare lavori pesanti
e manovalanza pura.Tu sei mio figlio, sei istruito. Sai molte cose. La signora,ne
sono convinta, ti troverà un bel posto in ufficio,con la scrivania
e l'aria condizionata".
"Sì, mamma. In ufficio. Certo" replicò Enzo.
"Allora io vado a lavorare. Penso che adesso non ti dà tanto
fastidio. No, Enzo?" chiese Franca, che rimase in piedi ad aspettare
un o.k.
"Ma riposati un po'. Sempre a lavorare. È dalla mattina che sento
quel rumore. Hai così tanta fretta? Pazienta,per favore, ancora un
momento; aspetta almeno che esca da casa!" sbraitò Enzo, avviandosi
nella stanza da letto,dove c'era sua sorella Luisa.
La madre di Enzo diede un'occhiataccia a sua figlia;quasi la volesse rimproverare
per le parole appena dette.
Poi si avviò a seguire la "vestizione" di suo figlio. Franca,invece,
voleva cercare di far più lenzuola che poteva: aveva bisogno di soldi.
Lei con sua sorella aveva già preso un telefonino per il compleanno
di Enzo. Erano riuscite a mettersi in contatto con il venditore abusivo di
elettrodomestici, Luigi 'a Cajenna . Questi aveva loro prospettato che avrebbero
potuto pagare anche a rate il telefonino. E così lo avevano preso.
Lo avevano ben nascosto, ma dovevano pagare le rate. Certo che 'a Cajenna
aveva praticato un buon prezzo, ma aveva preteso un alto tasso d'interesse.
Poi magari avrebbero parlato con la signora Folea per allacciare alla rete
il telefonino. Erano molto agitate,e spaventate. Questa era l'unica cosa che
avevano fatto senza che il fratello fosse intervenuto. Poiché, da quando
era morto il padre, Enzo era stato l'unico a interessarsi dei problemi sociali,
e di tutte le altre piccole o grandi incombenze che la società attuale
richiede.
Poco dopo Franca entrò nella stanza.
"Scusa, Enzo, dimenticavo. Ha telefonato Gaetano 'o sciupafemmine ".
"Ah, l'uomo con il telefonino. E che voleva?"
NOTA: Gaetano 'o sciupafemmine,
anche lui nel club dei disoccupati, aveva investito tutte le sue risorse sull'acquisto
del telefonino. Diceva che così aveva una buona immagine e aveva la
possibilità di imboccare la strada giusta:cioè sposare una donna
di ricca e agiata famiglia per vivere di rendita e mantenere l'appartenenza
al club in eterno.
"Non lo so. Forse
ti aspetta in piazza" balbettò Franca perché aveva dimenticato
quello che aveva detto Gaetano.
Enzo uscì da casa, che saranno state le undici, e in pochi minuti si
trovò davanti al portone del palazzo dove abitava la signora Folea.
La signora lo fece entrare subito.
"Ho portato il giornale. Mi dispiace solo che è Il Mattino;so
che le interessa leggere La Repubblica" si scusò Enzo.
"Oh, non fa niente. Anzi leggo volentieri Il Mattino perché ci
sono notizie interessanti sulla nostra città e sull'intera Campania"
disse la signora Folea, sorridendo.
Avrebbe detto la stessa cosa, cambiando naturalmente i riferimenti regionali
con quelli nazionali, se Enzo le avesse portato La Repubblica.
"Del caffè?"
"Sì, grazie, ma non vorrei "
"Oh, non si preoccupi. Lei non disturba mai. E poi Maria lo farà
in un momento" disse Sabrina, e con la mano fece un cenno alla cameriera
di recarsi subito in cucina.
La signora Folea incominciò a parlare di letteratura. Domandò
se fosse conveniente per una signora leggere Il delta di Venere.
"Mi hanno detto che è una scrittura un po' osé".
"Porno. È pornografia letteraria" replicò Enzo, ben
sapendo che quel suo linguaggio franco la metteva in soggezione.
"Porno! Lei dice che potrebbe essere "
"Oh, no. Per lei non sarà di certo un problema leggere questo
romanzo, anzi, penso che vedrà l'amore da un'ottica diversa. Comunque
le consiglio anche di leggere L'arte di amare di Ovidio".
"Contemporaneo?"
"No. Del 44 avanti Cristo".
"Avanti Cristo?"
"Avanti la nascita di nostro signore".
"Sì, certo. Ho capito. E Moravia?"
"Anche Moravia va bene. Un po' pesante e " replicò
Enzo, che avvertiva come la signora Folea stesse per intraprendere un filone
molto audace.
"Sessuale. Lo so, lo so che Moravia tratta il sesso e che "
"Oh, no! Non volevo dire questo. Sono certo che lei non avrà problemi
a leggere i suoi romanzi, ma credo che non può divorare tutto in una
sola volta. Per me dovrebbe andare per gradi".
"Ha ragione. Me lo dice sempre mio marito" disse Sabrina, mentre
gli porgeva la tazza di caffè.
Enzo non si trattenne molto, anche perché s'era fatto tardi e aveva
un appuntamento con Pasquale 'o sfessato;solo che quando fu fuori del portone,
imprecò contro se stesso per non aver ancora una volta parlato con
Sabrina del posto di lavoro.
Prestigio.
Ancora solo e sempre prestigio, quello che bloccava Enzo.Gli sembrava di chiedere
la carità.
Andava a piedi in piazza, attraversando i vicoli antichi di Belriposo, una
piccola città in provincia di Napoli con la solita piazza con molto
verde, il campanile, le sue banche,due panchine sistemate in modo che si potesse
sempre prendere il sole. Lì c'era un bel po' di gente. Si rincuorò:non
era il solo disoccupato. Era una bellissima giornata di sole, ed Enzo sapeva
che il suo amico Pasquale 'o sfessato , diploma di Perito industriale, gli
aveva certamente tenuto il posto sulla panchina. E infatti
"Ah, che bella giornata! Me la voglio proprio godere"disse Enzo,
dopo essersi seduto sulla panchina.
Pasquale invece era agitato. Non godeva come le altre volte quel sole del
Mezzogiorno.
"Bisogna fare qualcosa. Provare a inventarsi un lavoro,considerato che
nessuno te lo dà" disse Pasquale, allargando le gambe e cercando
di esporsi per bene ai raggi del sole.
Il professore non gli rispose subito; non aveva tanta voglia di parlare. Già
aveva fatto una fatica a rispondergli prima e a sedersi lì per prendere
il sole, e poi lui pensava solo a come far lavorare gli altri.
"E allora!. Che hai pensato?"
" E aspetta un po'. Ti pare che con questa giornata tu devi per
forza di cosa pensare al lavoro. Abbiamo così tanto tempo" si
degnò di dire Enzo.
"Perché non andiamo a Rimini questa estate?"
Il professore non si mosse, continuò a rimanere in quella posizione
con il sole che gl'illuminava la faccia, poi si decise a guardare in viso
il suo amico.
"Vuoi andare in vacanza a Rimini e i soldi,Pasquale? I soldi chi
ce li dà?"
"Ma quali soldi! Io intendevo dire di andare a Rimini a lavorare".
"A lavorare! E tu vuoi andare in un posto dove tutti stanno in vacanza
per lavorare? Ma!... a fare cosa, poi?"
"I camerieri".
"I camerieri! Eh, sei diventato matto! Ma ti pare che Enzo 'o professore
porta le posate, i piatti".
E alzando la voce:" "Professore, mi porti una bistecca". Sai
che sfottò?
Almeno ti fossi inventato un altro mestiere più leggero".
"Ma allora dobbiamo stare qui, senza far niente?"
"E che vuoi di più, Pasquale. C'è questo sole così
bello.Godiamocelo finché possiamo. Pensa un po' alle persone che sono
in fabbrica, sotto quei grandi capannoni con tutto quel rumore, la polvere,
ecc. ecc. Pensa alle visite mediche che fanno, alla paura se qualche pulviscolo
è entrato nei loro polmoni. Pensa che devono tenere gli occhi aperti
per non farsi male. Pensa che quando ritornano a casa non trovano un cavolo:
il sole, il sole se n'è già andato da un pezzo. Pensa ai lavoratori
del Nord.
Così laboriosi, così attaccati al lavoro. Lì fa sempre
freddo.
C'è sempre la pioggia, la nebbia. Che fai allora?...
Vai fuori a sederti sulla panchina a prenderti una bella strizza di nebbia.
Non conviene più a loro lavorare al
caldo. Ecco spiegato tutto. Se avessero il nostro sole... e il mare, vorrei
vedere il Brambilla se resterebbe chiuso in fabbrica. Pensaci, Pasquale, pensaci
bene, e capirai che la nostra è una gran bella vita. Vuoi mettere la
speranza,...la speranza di trovare... un posto. Farò l'impiegato, il
comunale, il banchiere. E tu vuoi togliermi anche questo sogno".
"E ci penso sì. Ma... noi qualcosa dobbiamo fare. Lo so bene che
tu ti arrangi a fare delle preparazioni, ma a me non pensi?"
"Preparazioni! Ho finito. Quei quattro studenti di matematica non vengono
più. E poi pensi che mi pagano?
Ma no. Chi mi porta i pomodori, chi l'insalata, chi mi dà della stoffa
per un vestito, e chi mi manda dei cornetti,che non sono neanche buoni. Soldi
pochi o niente".
Pasquale smise di parlare. Ma, vedendo il viso di Enzo così ispirato,
pensò che nella testa del professore stessero per entrare delle idee
fantastiche.
Aspettò.
"Pasquale, ho pensato".
"Hai pensato. Era ora. Spero solo che non ti sia costato molta fatica.
Aspetta. Prendo il fazzoletto. Hai la fronte tutta sudata".
"Ma lascia stare. Non vedi che è il sole. Vedi quanta umidità
avevo in corpo. Oh, lo dico sempre io che l'elioterapia è una buona
medicina".
"Allora, vuoi parlare. Che idea hai avuto?"
"Prendiamoci un caffè"..
"Un caffè. E i soldi".
"Sta entrando nel bar l'assessore. Approfittiamone. Facciamo finta di
prendere qualcosa. Certamente lui... si metterà a disposizione".
Così fecero.
Pasquale e il professore entrarono nel bar, e l'assessore offrì loro
il caffè. Scambiarono alcune parole: le elezioni,il sindaco, la giunta.
"Non si preoccupi assessore, sempre a sua disposizione" disse il
professore, quando lasciò il bar.
Ritornarono a sedersi sulla panchina, miracolosamente lasciata vuota.
"Pasqua'! ... Ma tu adesso che stai facendo? Non portavi le mozzarelle?"
"Le mozzarelle! Enzo, è un lavoro pesante. Mi dovevo alzare alle
cinque. Non ce la facevo più. Ho lasciato".
"Ma chi ti capisce? Vuoi lavorare quando non lavori.Non vuoi lavorare
quando lavori".
"È facile per te. Vorrei vederti. Vorrei vedere te a portare le
mozzarelle. Mi dovevo alzare alle cinque del mattino,e a quell'ora fa sempre
freddo".
"Eh, sì. Notte fonda. Eppure qualche volta devo provare ad alzarmi
a quell'ora. Chissà com'è il cielo?"
"È meglio di no, senti a uno che ha già provato. È
meglio restare a dormire".
"Hai ragione, Pasqua'. Io, per mia fortuna, sono previdente,...questo
tipo di lavoro non lo cerco neppure. E poi non stiamo bene così? Qui
ogni tre o al massimo quattro mesi si fanno elezioni. Non abbiamo un momento
di pausa e tu vai a pensare alle mozzarelle. Stasera devo andare al congresso
dell'assessore. Devo organizzare la campagna elettorale. Vieni anche tu. L'assessore
paga bene. In fondo...che diavolo andiamo a fare a lavorare al Nord?"
"Ma io... intendevo un posto fisso, uno stipendio, una sistemazione..."
"Eh, un posto fisso!... Non è meglio così? Non è
meglio...aspirare, sognare... che un giorno qualcuno ti darà
un posto fisso? Non è meglio stare così? In fondo vedi tu quanti
pensieri ti devi mettere in testa: pagare l'Ici, pagare la sovrattassa, pagare
l'una tantum, pagare la penale perché hai pagato in ritardo, pagare
la tassa della salute.Controllare che quello che ti dà lo stipendio
non abbia sbagliato a fare i conti. E invece noi che siamo? Chi siamo?Siamo...
Nullafacenti!... Nullafacenti. Che bella parola,Pasqua'! Lo Stato ci deve
aiutare, ci deve stare vicino, ci deve sovvenzionare. Siamo una razza in via
d'estinzione.
Siamo specie protetta. È lo Stato che deve pagare, non noi che dobbiamo
pagare. Capisci la differenza? In fondo siamo avvantaggiati".
"Ma che cosa stai dicendo? Alle volte non ti capisco proprio. È
vero che hai una grande intelligenza, ma in questo tuo discorso non riesco
a seguirti".
"E per forza, Pasqua'. Tu vedi solo il lato materiale della cosa e agli
altri non ci pensi?"
"A chi dovrei pensare, ora?"
"Alle statistiche! Dimentichi le statistiche, Pasqua'.C'è
tanta gente al ministero che fa statistiche anche su di noi: al Sud 60% di
disoccupati, al Nord 1.03%, al Centro 2.25 %. Noi produciamo lavoro. Se lavorassimo,
tutta questa gente che farebbe?"
"I disoccupati!"
"Appunto. Hai capito, Pasqua', quanto siamo importanti per la società?"
"A ben capire, se scompariamo, sarà una tragedia" disse Pasquale,
pensieroso.
"E che tragedia. Gli impiegati delle liste di collocamento che fanno
sempre graduatorie, che farebbero? E le
campagne elettorali? Vuoi mettere tutti quegli slogan: toglieremo la piaga
della disoccupazione, daremo lavoro e sviluppo ai giovani del Sud. Questa
fa sempre presa sulla gente ed è un ottimo slogan. Che altro si dovrebbero
inventare i politici?"
"Hai ragione, professo'. Tu hai sempre ragione. Pensa un po' a quanta
gente manteniamo"
Ormai s'era fatta quasi l'una meno un quarto, ed era ora per loro di tornare
a casa a mangiare. Poi nel pomeriggio un bel sonnellino, e verso le sette
di sera uscita di nuovo in piazza con relativi incontri mondani.
Ma Enzo già stava pensando a cosa fare per fare un po'di soldi. Certo
che i suoi progetti erano molto ambiziosi ed avrebbe avuto bisogno di un bel
po' di soldi per dar corpo alle sue idee megalomane. Lui studiava, studiava.
Fantasticava. Poi vedeva l'impossibilità di realizzare la cosa,e lasciava
tutto alla malora.
"È l'una, io mi sono stancato di stare qui. Vado a casa.
Allora, vengo stasera al congresso" disse Pasquale, che non si mosse
però dalla panchina.
"Ma certo. Facciamoci queste elezioni. Incassiamo questi soldi. Poi ci
sarà il referendum, o qualche altra elezione.Faremo i rappresentanti
di lista. Prenderemo la diaria di disoccupati, e poi uscirà qualche
altra legge che ci darà altri soldi. Senti a me, Pasqua', siamo proprio
fortunati a vivere in questo paese. Pensa te a che cosa vai a pensare... il
lavoro. Quest'onere, Pasqua', lasciamolo agli altri. Noi ci accontentiamo
di vedere gli altri lavorare, e,senti a me, anche questa è fatica"
disse il professore, prima di allontanarsi.
Pasquale rimase ancora un po' seduto sulla panchina,vedeva il vigile che dirigeva
il traffico. Un traffico, nonostante l'ora, molto intenso. Vedeva il vigile
che si sbracciava,alzava le mani, faceva segnali per mandare avanti o indietro
le macchine. Fischiava.
Pasquale si alzò dalla panchina. Prese il fazzoletto dalla tasca e
si asciugò la fronte.
"Ha ragione il professore: guardare gli altri lavorare è già
una bella fatica" disse tra sé e sé, mentre si avviava.