"Il ladro di bambini" di Gianni Amelio (1992)

ITALIA 1992 Durata 112 min.

REGIA: Gianni Amelio con Enrico Lo Verso, Valentina Scalici, Giuseppe Ieracitano, Florence Darel, Marina Golovine.

Questo film bellissimo e importante   è stato anche definito come “una corrispondenza di una guerra in tempo di pace” e dall’ autore “ un film sulla vergogna che non sappiamo ancora provare”. Il film è un road-movie  su due piani : il viaggio interiore dei tre protagonisti e quello compiuto da Milano in Sicilia attraverso un’Italia degradata . Lo spunto del film è stato tratto da Amelio da una  storia di cronaca vera : una bambina di 11 anni  costretta  a prostituirsi dalla madre e fotografata da  dietro mentre un  carabiniere protettivo l’accompagna per mano fuori dal suo destino ( ma verso quale altro destino ? ) . Con questo film Amelio torna ad uno degli argomenti  a lui più cari : il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza in rapporto con gli adulti e con la realtà esterna. Ma qui la cronaca  assurge ad una dimensione esistenziale e la dimensione esistenziale dei personaggi  , “pedinati” nel loro sviluppo , si fonde con la Storia , ripercorrendo le contraddizioni più laceranti del nostro paese .Con l’occhio  alle classi povere ed emarginate ( e comunque come nei prossimi film vedremo ai diversi,  ai reietti, agli “ultimi” )  , lo sguardo del regista è sia antropologico - nel descrivere quasi documentaristicamente  gesti, dialetto, tratti somatici, ambienti -  ma anche  pieno di poeticità  di un mondo perduto , sottilmente presente , ma  solo evocata , e  trattenuta . La macchina da presa ha quasi sempre un movimento espansivo che parte dal singolo individuo  (spesso con dei primi piani immediatamente connotativi ) per poi  descrivere l’ambiente e gli spazi con lunghe carrellate circolari . Si è parlato dell’ascendenza neorealista  di questo film  e lo stesso Amelio  ha confermato il suo debito a quella lezione. Sul piano tematico  più a  de Sica , mentre  su quello della scrittura cinematografica a Rossellini : lo sguardo frontale sulle persone e sulle cose ,la precisazione psicologica e comportamentale dei personaggi .  Ma  poi il film  ha una sua originalità  nella poetica della sottrazione  e  dell’ assenza.  Se il neorealismo era un cinema di presenza -  nell’affollamento umano  attorno ai personaggi , nella continua intrusione di un’umanità  formicolante  , come veri e propri “sfondi animati” -  in questo film  c’è il cinema dell’assenza : i personaggi si muovono in uno scenario concreto, ma sono soli con se stessi o tra di loro , gli sparuti passanti e i rari incontri interferiscono poco con l’inquadratura . Ne "Il  ladro di bambini" ciò che colpisce  è l’uso dello spazio , caratterizzato dalla radicale indifferenza tra gli  esterni e gli interni ; il degrado  è nel paesaggio come nelle case , e la distanza  canonica  nel cinema  tra primo piano e sfondo , viene azzerata dall’incidenza  delle televisioni o radio  perennemente accese nelle case , che appiattiscono fondale e proscenio in un’unica dimensione. In generale  i grandi spazi ( la spiaggia, il mare, l’autostrada ) rispecchiano un deserto di comunicazione Un elemento dell’originalità del film è nel processo di trasfigurazione  del paesaggio e dei volti dei protagonisti in una dimensione altra che non è quella locale e nazionale , ma è più in generale la dimensione del Sud del mondo : le scene sull’hinterland milanese potrebbero appartenere alle bidonvilles del Terzo Mondo , la Stazione Termini e i suoi immigrati e clochards  rievocano una casbah . E così la percezione - contemplazione del tempo , interna alle singole inquadrature  e la colonna sonora , incentrata sul ritmo magico e reiterativo dei tamburi , fanno pensare alla cultura e valenza stilistica del miglior  cinema africano o iraniano. Nel suo gioco di sottrazione Amelio toglie via i momenti furbescamente lirici di una sequenza, scrostando la retorica del messaggio, misurando i dialoghi e le svolte narrative. E’ anche un film su  un’Italia espropriata del suo paesaggio, cultura e memoria storica, di bambini espropriati della propria infanzia ed innocenza, del carabiniere espropriato del proprio diritto di pietas: un film che coglie l’intensità e magia del quotidiano , che cattura e avvince subito e si rivolge allo spettatore che va al cinema per capire una preziosità stilistica rara  e un’urgenza civile e morale autentica .

IL REGISTA

Gianni  Amelio , nasce a  San Pietro Macisano (Catanzaro) nel 1945. Critico cinematografico e animatore di cineclub , nel 1970 esordisce nella regia con il film televisivo sperimentale La fine del gioco . Le opere successive da La città del sole ( 1973 ) , sulla vita di Tommaso  Campanella , a  Il piccolo Archimede ( 1979) tratto da A.Huxley , tutte realizzate per il piccolo schermo e contraddistinte da una cifra passinalmente cinefila , ottengono numerosi primi e riconoscimenti internazionali . Il suo primo film cinematografico  è nel 1983 , Colpire al cuore , che affronta da un’insolita prospettiva  familiare gli anni di piombo . Dal 1983 al 1986 è docente presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma . Nel 1988  I ragazzi di via Panisferna , sui protagonisti  della  celebre scuola di Fisica a Roma  degli anni ’30 che progettano  la reazione nucleare  che poi  darà origine alla bomba atomica  :  Fermi, Segre, Pontecorvo , Amaldi, Majorana . Nel 1990 , Porte Aperte , tratto dal romanzo omonimo di Sciascia , sul problema della pena capitale  vissuto da un giudice nella Palermo del ’37 : interpretato da due grandi Gian Maria Volontè (il giudice) ed Ennio Fantastichini  (il pluriomicida)  , è considerato il  miglior film  italiano sul dramma giudiziario , in una raffinata ricostruzione  storica. Nel 1992 , Il ladro di bambini , premiato  a Cannes con il  Gran premio della Giuria ( VEDI SCHEDA ). Nel 1994 Lamerica , lacerante ritratto dell’Albania contemporanea  in cui si riflette uno dei suoi temi ricorrenti : la ricerca delle radici  nell’Italia di oggi Nel 1998 , Così ridevano , vince il Leon d’oro a Venezia :  la vicenda di due fratelli siciliani immigrati nella Torino degli anni ’50 : un film inquietante , doloroso , che  sfata false mitologie sul “familismo amorale” delle genti del sud , in una straordinaria fotografia  e con una rara sapienza registica. Nel 2004 , Le chiavi di casa  , scelto per rappresentare l’Italia  all’Oscar  e che ripropone il tema del rapporto tra adolescenza e adulti , affrontandola da una dimensione difficile  come quella dell’handicap psico-fisico. Considerato  erede della lezione del neo-realismo    cui egli si sente in parte debitore , Amelio  non è però un epigono, ma un autore con una sua   grande originalità e una sua coerente cifra stilistica . La sua ricerca lo ha portato a risultati cinematografici di alto livello espressivo e ad incentrare da Porte Aperte in poi il suo sguardo sui diseredati, i diversi, gli “ultimi” , rifuggendo da retoriche e sentimentalismo , e dando vita a rappresentazioni di una bellezza rigorosa e scabra , dove la poesia del quotidiano è riflessa e fusa con lo scorrere della storia che passa sopra le esistenze dei più deboli .