“Porte
aperte” di Gianni Amelio (1990)
Gian Maria Volontè
ITALIA 1990
REGIA: Gianni
Amelio
ATTORI: Gian M. Volonté, Ennio Fantastichini, Renzo
Giovanpietro, Renato Carpentieri, Lydia Alfonsi.
Porte aperte
è tratto da
uno degli ultimi romanzi di Sciascia , ed è considerato , con Cadaveri eccellenti di Rosi, il migliore dei film ispirati al grande
narratore siciliano e il miglior dramma a sfondo giudiziario in Italia.
Premio Felix 1990 per il miglior attore europeo a uno
straordinario Gian Maria Volontè (
in una delle sue ultime interpretazioni prima della morte nel 1994 )
e Grolla d’oro per la regia ad Amelio.
In realtà ancora una volta Amelio con questo film si sdoppia tra una
tema apparente e uno profondo: nel film non si tratta tanto del codice penale (
anche se il tema della Giustizia e della pena di morte è l’”alibi” forte
del film ) , quanto degli spazi silenziosi che stanno oltre l’arbitrio della
legge umana: come
si può ( e si dovrebbe ) essere fedeli al diritto ( dell’uomo ) al di
la’ e al di sopra del codice. Il film è quindi molto di più di un film di
“genere” e il suo significato
finisce proprio dove comincia La
parola ai giurati di Lumet : Amelio ci
rende una visione metaforica di
quella Sicilia anni 30 , nelle sue atmosfere , nei suoi toni cupi e smaglianti allo stesso tempo,
e mostra la capacità sorprendente di riuscire come a “filmare i pensieri” ,
in un’eleganza di impaginazione e maestria dei tempi,
in modellare corporalmente gli attori ,
attraverso l’uso sapiente della macchina da presa
con il dolly a scendere che
chiude molte sequenze significative
di un senso di negatività , mentre
il dolly a salire nel finale restituisce
sensi di speranza e distensione aprendosi
nel paesaggio solare di un campo di
grano sul mare .
E’ un film di rara raffinatezza
e intensità che ci aiuta a
leggere la chiave di una realtà più
profonda di quella del
pluriomicidio confesso , un “giallo dell’anima”
che avvince e nel contempo fa ragionare e riflettere , con la prima parte del film
racchiusa in un andamento come ipnotizzato, al limite dell’onirico . Il
resto del film è ricco di immagini superbe dove i personaggi vengono fatti
“crescere” nelle loro sfumature assieme
con gli spettatori , ma in modo smorzato,
quasi sussurrato, senza cadere nella retorica o nell’enfasi dimostrativa di
tesi precostituite.
Alla fine viene fuori
un’opera che se - per tradursi in significativo
linguaggio cinematografico – deve discostarsi
in alcuni punti dalla “lettera” del romanzo
di Sciascia , di fatto ne rispetta lo “spirito” profondo ,
che è quello di coniugare la passione e la ragione in una capacità di narrare
dal ritmo sempre
coinvolgente . Nel film viene accentuato , rispetto al romanzo, il
rapporto tra il giudice e l’assassino , che progressivamente oltrepassa il
problema giuridico ed etico e
entra nel piano emotivo , come nell’assistere alla perizia psichiatrica
dell’imputato o visitare il suo
figlioletto nell’ospizio per vecchi ; non c’è una logica razionale precisa
che muove a questi comportamenti e
Amelio , già prima della trilogia che avrebbe seguito ( Ladro
di bambini, Lamerica, Così’
ridevano ) ci vuole raccontare l’importanza dell’altro
ai margini di una storia, dei lapsus
dei personaggi , che ne rivela
la complessità e ne illumina il cotè , l’humus socio-culturale
e il vissuto di cui sono intrisi: la massima aspirazione dell’autore è
sempre quella di raccontare l’intera
vicenda attraverso le “sequenze non primarie”. Porte
aperte si dispiega
quindi anche dove il giudice viene
“guardato” mentre beve in solitudine il suo caffè all’alba, e il
condannato nella sua cella russa indifferente in attesa dell’esecuzione ,
mentre la presenza simmetrica dei due bambini esprime una muta simbolica
testimonianza di fronte alla “miseria”
della giustizia umana , con
la bambina che tocca il “mostro” “esorcizzandolo”, e il bambino che
gratta il muro e produce così dei “tagli” al Codice .