"Luna di Fiele"

di Roman Polanski (1992)

FRA–GB, 1992 Durata 142 min.
con Emmanuelle Seignier , Peter Coyote , Hugh Grant , Kristin Scott-Thomas.

A differenza  dei due precedenti film del ciclo Cinema e Letteratura , ispirati a  due grandi scrittori come Kundera e Pirandello , questo film di Polanski è tratto da un’opera non memorabile (di Pascal Bruckner), ma il tocco  di uno dei più geniali cineasti esistenti  ne ha fatto egualmente un lavoro ricco di intensità espressiva.

E’ la storia sulfurea di eros e thanatos  di due coniugi che passano per tutte le gamme dell’amore e dell’ odio, desiderio e repulsione  e, nel loro gioco di  dilaniamento estremo , coinvolgono  un’altra coppia  di turisti inglesi : il tutto su  una nave  in crociera , con la storia che si dipana attraverso una serie  di flashback.  Anche qui tornano alcuni archetipi di Polanski come l’acqua , il viaggio attraverso essa , una coppia che si lacera :  presenti già nel suo primo film Il coltello nell’acqua ; ma l’acqua è centrale anche in Cul de sac ,  Chinatown , Frantic ( la doccia  che  “permette” il rapimento della moglie ) .

Luna di fiele  è anche la storia di un racconto, proprio come narrazione “letteraria” che il marito effettua nel suo ruolo di scrittore .  E in questo racconto,  per evitare le secche dell’erotismo patinato ( e un po’ ridicolo ) alle Nove settimane e mezzo , di questo Polanski  fa la parodia in  vari punti ,  lo mette lui direttamente in ridicolo, tanto da lasciar spiazzato lo spettatore , portato  sempre tra il tragico e il grottesco.  E’ in questa chiave ironica e beffarda che vanno lette  alcune scene  sdrammatizzanti , anche se in questo caso a volte risultano forzate e non di prima mano.

Ma la maestria di Polanski ha comunque la possibilità di venir fuori  nell’impianto generale del film, , procedente come un sistema di specchi rovesciati che comprende anche il rapporto tra le due coppie. E così ogni gesto d’amore  a un certo punto della storia pare ripetersi , ma in chiave perversa e grottesca.  Così il gesto d’incontro delle mani dei due amanti , sulla giostra , all’inizio della storia, si ripete in una scena chiave del film , dove però  sfocia  nell’incidente   indotto con sadismo da lei , e che rende invalido il marito . Ricambiando con gli interessi  e  cattiveria  la visita ricevuta da lui anni addietro : allora era lei nel letto di ospedale, distrutta dall’aborto voluto  da lui, e dalla di lui  indifferenza .  Allo stesso modo la gioia di vivere  che era esplosa su quella giostra , allo statu nascenti del loro amore , ha poi nel finale il suo rovescio  nel  Capodanno sulla nave ,  in una falsa allegria  in realtà carica di tragicità  e di presagi.  Dopo , quando tutto è finito,  la coppia inglese coinvolta in questo gioco perverso si ritrova sul ponte della nave , in una scena simile a quella di apertura , e la nave  continua andare  sul mare ,  presenza  inquietante e a volte ossessiva.

Ma la poetica dei segni come presagi , che caratterizza  il cinema di Polanski , anche  qui si mette in luce varie volte fin dall’inizio della storia ,  dove  al primo piano di lei , che con sguardo sognante  si volta  a guardare lui,  il carrello all’indietro mostra  poco a poco che siamo in movimento su un autobus , che  ironicamente porta  un cartello di pubblicità a un servizio di prostitute. “ Ogni rapporto fra uomo e donna , anche il più armonioso, contiene in sé il seme della farsa  e della tragedia” , fa dire  Polanski ad Oscar  e  ci mostra  con tali segni-presagi  che , anche nella pienezza dell’inizio , sono contenuti i semi  della  distruzione futura. Così come il primo incontro tra la coppia inglese  e Mimì  avviene  nel segno del malessere e dello spaesamento , ma soprattutto si riflette nel mal di mare di Fiona , in un’esemplare  capacità di associare due diversi livelli simbolici.

  Il film non va certo letto in chiave moralistica , ma nello stile corrosivo con cui Polanski ha voluto affrontare il tema dell’amour fou ( e dell’ eros e thanatos ad  esso sempre intrecciati ) ,  evitando sia l’erotismo “pubblicitario” e alla moda ( alle Nove settimane e mezzo  o alla Tinto Brass) ,  sia  la caduta nel  romanticismo “maledetto” : c’ è la mano di un grande  artista  che ci rende intensa  la vicenda (piena di furia,sarcasmo ,provocazione, colpi di scena ) , venata da un pessimismo di fondo,   alimentato anche da  tragici lutti   vissuti  dal regista  sia  nell’infanzia (morte della madre nel ‘42 in un lager  nazista ) che a 38 anni (nel  ’68 la prima moglie, la splendida - e già  attrice di grande talento  e futuro - Sharon  Tate , massacrata – incinta e ad appena 26 anni  - da una  setta satanica) .

ROMAN POLANSKI

Nato a  Parigi  nel 1931 , ritorna ancora bambino in Polonia  con i genitori che nel 1941 finiscono in un campo di concentramento nazista dove la madre muore . Dopo un’esperienza di giovane attore di teatro ( e poi a più riprese - fino a tempi  recenti  e con  ottimi risultati - recita anche nel cinema) , si iscrive alla scuola di regia cinematografica  di Lodz dove si diploma nel 1959.  Dopo alcuni cortometraggi che ne rivelano già la carica surreale e il gusto del grottesco , gira nel 1962  Il coltello nell’acqua , diventato un cult-movie  ,“ un racconto di ammirevole finezza psicologica , ma anche un apologo sull’opportunismo e il regime delle mezze verità in Polonia”, ambientato in una barca a vela su un lago ,  che prende  a volte le gelide tonalità di un fondale tragico. 

Ritornato a Parigi , gira  nel 1965  Repulsion , quasi la  fenomenologia  schizoide di una donna , in un film che gioca con i canoni del thriller, infiltrati però di sottile ironia e sulfurea comicità .

Nel 1966  Cul de sac  lo consacra autore di valore assoluto ( Orso d’oro a Berlino) in un film  che fonde verità e illusione, incubo e sogno, tragedia e humour corrosivo , dove  i vari  personaggi , che  su un’isola deserta  si dilaniano , rimandano a una metafora di un universo scisso e autodistruttivo .

Nel 1967  Per favore… non mordermi sul collo con la moglie Sharon Tate , è la migliore e più raffinata  parodia sul vampirismo, piena di gusto filologico.

Comincia a lavorare negli  Stati Uniti  e   nel  1968  Rosemary’s  baby , con  Mia Farrow e John Cassavetes ,  ottiene un enorme successo di pubblico e di critica divenendo un classico : è la storia di una giovane donna  intrappolata in un meccanismo di magia nera e  si muove “ ai bordi del paranormale, dentro le oscurità misteriose del male” .

Dopo la tragica morte della moglie Sharon Tate , assassinata nel ’69  da una setta  satanica , torna a girare  nel 1971 Macbeth e nel 1972 Che ? .

Nel 1974 Chinatown  è un altro suo capolavoro , ambientato a Los Angeles negli anni ’30 ( con Jack Nicholson  e Faye Dunaway ) ,  dai toni del noir chandleriano , ma con un più di inquietante e torbido .

Nel 1976  L’inquilino del terzo piano ,  è un thriller paranormale,  tutto costruito su un gioco di allucinazioni , dove il protagonista ( interpretato dallo stesso Polanski)  si identifica sempre più morbosamente con la vita devastata del precedente inquilino , finendo col  ripeterne il suicidio .

Nel 1979  è la volta di Tess , e nel 1986 di Pirati ,  opere non perfettamente riuscite .

Degno  del suo talento è invece nel  1988 Frantic , con  Emmanuelle Seignier e    Harrison Ford , medico  americano sperduto in una Parigi  che lo respinge e  alla disperata ricerca della  consorte  rapita misteriosamente : è un thriller alla Hitchock , ma anche  un film sulla solitudine e l’incomunicabilità.

Nel 1992  Luna di fiele ,  coprotagonista di nuovo Emmanuelle Seigner , divenuta nel frattempo sua moglie.

Nel 1996  La morte e la fanciulla , con Sigourney Weaver e Ben Kingsley , lascia ogni tono grottesco e scava  nella messa in scena della crudele dialettica tra vittima e carnefice , affrontando ferite recenti come quelle dei desaparecidos  sotto la dittatura militare dell’Argentina , con  un’esplorazione mirabile delle zone cupe dell’agire umano .

Nel 1999  La nona porta è considerata una pellicola sottotono .

Nel 2002  , in omaggio alla madre scomparsa nel ’42  nel ghetto di Varsavia, gira su questo tema Il pianista ( Palma d’oro a Cannes) , in cui  mette la sua  arte al servizio di un’intensa rappresentazione di quelle tragiche vicende e dove  la commozione  partecipe prevale sull’ironia .