Con gli occhi chiusi
di Francesca Archibugi
Debora Caprioglio
ITALIA, 1994 Durata: 113 min.
ATTORI: Marco Messeri, Stefania Sandrelli, Deborah Caprioglio, Alessia Fugardi, Angela Molina, Fabio Modesti, Sergio Castellitto, Gabriele Bocciarelli.
Tratto dal romanzo omonimo di Federico Tozzi ( 1883 –1920 ) , nel film fin dalle prime immagini si è immediatamente trascinati dal flusso del racconto , quale pensato e attuato dallo scrittore senese. Il romanzo, come è noto, racconta di un’impossibilità ad amare e a guardare la realtà circostante da parte dell’adolescente Pietro , che sta appunto “con gli occhi chiusi” , in totale disadattamento con l’ambiente familiare e sociale che lo circonda. Altrettanto Ghisola ( la ragazza contadina di cui s’infatua Pietro) si ostina a tenere “gli occhi chiusi” di fronte alle brutture del mondo padronale e maschile . Archibugi e il suo direttore della fotografia Giuseppe Lanci , nell’approcciarsi a questa opera, hanno avuto evidentemente negli occhi i paesaggi toscani di Giovanni Fattori e Telemaco Signorini e dei macchiaioli in generale , sostenitori di una poetica del realismo che prediligeva comunque sul disegno la luce e il colore . Il risultato è espresso nel film in un figurativismo , a tratti bellissimo, e intimamente pastellato . Tuttavia il ventaglio di colori eccitati e pungenti del romanzo di Tozzi è ricondotto da Archibugi entro un alveo storico-sociale per cui la poesia emanante dalla civiltà contadina non ne sopprime la durezza e la condizione subordinata : e quindi dalle inquadrature elegiache si passa subito a sequenze anche brutali legate alla durezza e ai vari condizionamenti del mondo rurale. La lettura critica del testo di Tozzi raccoglie altri livelli insondati : “è come se il film mostrasse quello che il codice del libro teneva celato e rimosso”. La difficoltà ad intendersi dei personaggi del libro viene sviluppata appieno dalla poetica prevalente nella produzione di Archibugi, come il bisogno d’amore , l’incomunicabilità nei rapporti familiari e interpersonali, la solitudine , l’universo adolescenziale con i suoi travagli e le sue angosce . Il tutto proiettato in un’atmosfera in cui si avverte la temperie di quel fine Ottocento-primi Novecento nelle campagne toscane , con i primi vagiti di un movimento di emancipazione proletaria , in un ambiente dove i figli si chiamano Libero e sull’aia si fischietta L’Internazionale ; dall’altro lato la figura dell’oste e proprietario terriero che , primariamente mezzadro o fattore , rinnega poi le sue origini , con l’incarognimento dei classici parvenu , mentre nei due gruppi sociali che si contrappongono resistono odi ed antitesi insuperabili ed un codice sociale che nega ed isola la diversità e l’alterità . Nel film ci sono vari riferimenti cinematografici dove , oltre alle evidenti citazioni dai Taviani de La notte di San Lorenzo e di Kaos , si rimanda , è stato notato, al Bolognini di Fatti di gente per bene e de L’eredità Ferramonti . L’universo di Tozzi è ricomposto e memorizzato nei paesaggi di campagna , negli interni , nei costumi d’epoca , negli spaccati cittadini di inizio Novecento , attraverso una “musica che incede rombando a strane ondate , velata nel timbro e sempre pronta a conflagrare , come una partitura di Piovani” . E questa scenografia è poi contrappuntata come in distonia dai movimenti di macchina da presa : ascensioni in alto all’improvviso, poi soggettive insistite , e a volte inquietanti , tra Pietro e Ghisola , poi ancora panoramiche tutt’intorno a venti metri d’altezza e poi precipitando su cose e persone , terra e piccoli animali compresi. Al centro di tutto una figura femminile , un’isolata per scelta o per vocazione , come lo erano tutti gli altri personaggi femminili adolescenti o bambini dei precedenti film dell’Archibugi , da Mignon è partita , a Verso sera a Il grande cocomero.
FRANCESCA
ARCHIBUGI
Nata a Roma nel 1960 , entra giovanissima nel mondo dello spettacolo lavorando come attrice in produzioni teatrali e televisive . Nel corso degli anni ’80 è attiva come sceneggiatrice e regista di corti , mentre frequenta la scuola di Bassano e consegue il diploma di regia al Centro sperimentale. Il suo primo film da regista è nel 1988 Mignon è partita , con Stefania Sandrelli , Massimo Dapporto, Celine Beuvallet . Segnato da una regia parca e misurata , quasi invisibile, il film viene considerato uno degli esordi più promettenti del decennio : lo sguardo dell’autrice è guidato da una particolare attrazione verso il mondo dell’infanzia , seguito nei suoi rapporti con gli adulti, nelle sue ansie ed aspettative , nel suo particolare modo di filtrare la realtà : l’adolescente Mignon , fascinosa e un po’ selvaggia , piomba in una scombinata famiglia di piccola borghesia romana , turbando i sogni del cuginetto, cui lei preferisce un ragazzo di borgata . Viene fuori un racconto di formazione pieno di “delicato equilibrio tra patetico e comico sottovoce”. Questo approccio contraddistingue in effetti tutte le sue produzioni future . Nel 1990 Verso sera , con Marcello Mastroianni, Sandrine Bonnaire , Giovanna Ralli , c’è al centro una bambina di quattro anni ( “Papere”), nipote di un anziano vedovo ( interpretato da Mastroianni ) , intellettuale umanista di sinistra . La bambina gli è “ scaricata” dalla nuora (Bonnaire ) che sta inseguendo i sogni generosi e le rabbiose utopie della contestazione giovanile nel 1977. Nel film viene fuori anche la problematica politica , ma attraverso il quotidiano dei sentimenti e le contraddizioni con essi . Il conflitto tra le due generazioni è analizzato “ con grazia, tenerezza, lucidità critica” e la bimba “Papere”, che si sdoppia in due , è una felice invenzione. Nel 1993 Il grande cocomero , con Sergio Castellitto , Alessia Fugardi , Anna Galiena . Ispirato alle esperienze del neuropsichiatra infantile Marco Lombardo Radice , è “ il caso raro di un film italiano con un eroe positivo, un personaggio in qualche modo vincente . Con una tecnica drammaturgica attenta alle dinamiche del cinema americano e alla lezione della miglior commedia italiana”. La storia di questo medico “ della mente” alle prese con una dodicenne afflitta da ricorrenti crisi epilettiche e figlia di borgatari arricchiti , è svolta con intensa partecipazione , ma anche con quella distanza necessaria a raccontare il caso : l’epilessia della ragazzina non ha origini organiche , ma è la reazione alle difficoltà di affrontare la realtà che è fatta anche della superficialità e ignoranza dei genitori , e lo psichiatra attua quindi una terapia analitica, contro le apparenze e le norme. Vi è nel film una cura intelligente a rappresentare l’ambiente ospedaliero e il retroterra familiare dei personaggi , e una grande sensibilità nel penetrare nel mondo infantile “comportandosi come un ospite , e muovendosi nell’universo del dolore con la leggerezza pensosa di chi sa dosare umorismo e rispetto, affetto e lucidità”. Nel 1994 Con gli occhi chiusi tratto dal romanzo omonimo di Federico Tozzi . Anche in questo film la Archibugi ha possibilità di esplorare il mondo dell’infanzia ed adolescenza nelle sue inquietudini e vulnerabilità . Nel 1998 L’albero delle pere , con Valeria Golino , Sergio Rubini , Niccolò Senni , tratta ancora una volta di tensioni intergenerazionali ,della crescita e il passaggio all’età adulta , del confronto col “diverso” all’interno di una famiglia disastrata , dove un quindicenne si confronta con un mondo di adulti dissestati e latitanti : madre tossica, padre separato , padre della sorellastra anche lui separato che convive nella stessa casa . Questo film , pur con l’ intenzione di allargare l’orizzonte su realtà attuali ( computer , New Age , falsi miti reattivi alla globalizzazione) è meno riuscito degli altri , non riuscendo ad amalgamare i vari elementi tra loro . Nel 2001 Domani infine è una toccante radiografia dei sentimenti in una cittadina umbra colpita da terremoto del 1997 .