IL DESERTO DEI TARTARI
di Valerio Zurlini
ITA-FRA-RFT
1976 Durata 150 min.
con Jacques
Perrin , Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant , Giuliano Gemma, Max
Von Sydow , Fernando Rey , Francisco Rabal, Laurent Terzieff , Philippe
Noiret .
L’idea di realizzare un film dal celebre romanzo scritto da Dino Buzzati nel 1940 era stata il sogno proibito di molti uomini di cinema : Vittorio Gassman se ne era interessato già nel 1958 , il produttore Ergas nel ’60 aveva acquistato i diritti , cedendoli poi allo sceneggiatore Morani che fa un primo script e poi muore in un incidente . Infine nel 1970 il produttore e attore Jacques Perrin (che sarà poi il protagonista principale) riscatta i diritti del libro ma, prima di arrivare a Zurlini , vari registi si arenano dopo essersi interessati al progetto, tra cui Antonioni e Brusati : tanto che comincia a circolare la leggenda che Il deserto dei tartari sia una chimera, un film impossibile , se non addirittura “maledetto” . Nel 1973 Perrin , dopo un adattamento di Brunelin e Bertucelli, contatta Valerio Zurlini che accetta , riducendo un lavoro sterminato che avrebbe dovuto durare 9 ore , riscrivendo i dialoghi . Solo nel 1976 si individua il luogo adatto per rappresentare la Fortezza Bastiani , dopo due anni di ricerche : in Iran, a Ban , a sud-est , a 300 km dal confine afgano , in un vecchio presidio militare ai margini del deserto , e le riprese iniziano con un cast eccezionale . Rispetto al libro , Zurlini ha voluto contestualizzare la storia attorno al 1907 , e la Fortezza Bastiani diventa un avamposto dell’impero austro-ungarico sul confine orientale . Qui si consumano i giorni e gli anni della guarnigione aspettando un nemico che non arriverà mai ( i Tartari) o che- forse – arriverà troppo tardi. Il libro di Buzzati rimanda al surrealismo francese e ha in comune con Kafka la tendenza verso universi proibiti , misteriosi , di speranze di un ignoto il cui accesso viene sempre negato. Come nel Castello , la Fortezza Bastiani è avvolta nelle nebbia di una problematica burocrazia che condanna l’uomo ad un’attesa senza fine. Così nel tenente Drogo, incarcerato nella propria divisa ,“una generazione intera ha identificato il proprio malessere all’interno di una guerra e una società imposta e opprimente ( sono gli anni del fascismo)”. Qui siamo nel periodo della finis Austriae , in un lasciarsi andare e in uno smarrimento delle coscienze progressivo. Zurlini non si è fermato all’illustrazione , ma è andato oltre , giocando a ricostruire, pezzo dopo pezzo la stessa identica atmosfera del libro . E per far questo ha operato con tutti i segni del cinema : l’immagine, il sonoro, i dialoghi, la luce , i colori, attraverso cui recupera ed eleva drammaticamente il senso di mistero e di angoscia del romanzo. E così ecco la monotonia cromatica dei gialli e dei marroni , per gli interni della Fortezza e gli esterni del deserto, ottenuta nonostante “un sole che spacca le pietre con una luce bianca e impietosa” . Tutta la messa in scena astrae il quotidiano , rieccheggiando la pittura metafisica del Novecento , De Pisis in testa. Viene reso per immagini anche lo spirito del libro come metafora della condizione umana , in una dimensione universale che trascende lo spazio e il tempo . Nel film alcuni ufficiali rappresentano un’ aristocrazia che sta per estinguersi , altri invece la borghesia aggressiva che vuole affermarsi , in una finalità utilitaristica, senza più romanticismi o codici d’onore cavallereschi . Drogo e il suo simile Hortiz non appartengono né all’uno né all’altro mondo , e ricercano una realizzazione esistenziale tutta interiore , che li rende vulnerabili all’angoscia e alla insensatezza dell’ambiente e del loro ruolo . E infatti moriranno entrambi in solitudine , nella comprensione forse che il nemico che stanno attendendo in realtà non è l’esercito dei Tartari, ma la morte stessa . E in questo sommesso narrare, c’è l’epicità dell’eterna lotta dell’uomo contro il destino , e la costante poetica di Zurlini sulle vicende dei singoli , proiezioni della Storia, ma anche in conflitto con essa. A differenza del libro di Buzzati , che descrive alla fine l’arrivo del nemico “come un denso brulichio di uomini e convogli” ,nel film appare solo un’informe massa scura, come un’allucinazione : “non hanno corpo, non hanno armi e bandiere, perché sono i fantasmi del nostro spirito e non abitano nessuna terra reale” . E nell’usare lo sguardo sempre in bilico tra reale e immaginario, Zurlini rompe il confine tra ciò che interno al campo visivo e ciò che rimane esterno, forzando all’estremo tutte le regole del cinema realistico . Questo film è come “la ricapitolazione dell’universo dell’autore”, un’opera-testamento : la Fortezza Bastiani diviene simbolo del cinema di Zurlini , rimasto sempre arroccato a difesa della sua poesia , contro le “regole di mercato” imperanti.
Valerio Zurlini
Nel
1954
Le ragazze di Sanfrediano ricrea
con garbo, brio e freschezza l’atmosfera pittoresca dei personaggi del romanzo omonimo di Vasco Pratolini ;
Sempre da Pratolini - e considerato
il miglior film in assoluto tratto
dai suoi romanzi - nel 1962 Cronaca familiare , completa il versante “fiorentino” di Zurlini , con la vicenda di
Enrico (Mastroianni) ,
giornalista e scrittore in povertà che rievoca la propria vita e quella del
proprio fratello minore Lorenzo ( Perrin) del quale ha appreso la morte :
“mirabile equilibrio
tra ricchezza emotiva dell’esperienza
privata e contesto storico-sociale , in un clima di dolente calma”. Leon
d’oro a Venezia .
Di tre anni prima è nel 1959 Estate Violenta , dove sullo sfondo della tragica estate del ’43 si consuma una storia di coppia senza futuro (Eleonora Rossi Drago e J-L. Trintignant) : “uno dei rari trascinanti film d’amore della storia del cinema italiano, con una partecipazione sentimentale giocata sul pedale della malinconia e una morbidezza di linguaggio che restituisce l’aria del tempo, senza compiacimenti estetizzanti” . La dimensione del viaggio , della precarietà , della difficoltà ad incontrarsi ed amarsi, nel quadro del degrado storico e sociale , sono temi che connotano anche gli altri due film di Zurlini che completano con questo la cosiddetta “trilogia adriatica” ( le storie si svolgono tutte e tre tra Riccione e Rimini) , presenti poi in tutta la sua poetica di fondo
Nel 1961
La ragazza con la valigia
, che fa
definire Zurlini
ancora “ uno dei rari
poeti d’amore del cinema italiano , dove comunque
la dimensione lirica si accompagna sempre ad una verità sociologica
nella narrazione” , e Claudia Cardinale e Jaques Perrin sono superbi nella storia
impossibile tra la ballerinetta
alla deriva e l’adolescente di
lei invaghito.
1965
Le soldatesse ( da Ugo Pirro) , con Anna Karina, Marie Laforet, Lea Massari, Valeria
Moriconi nel ruolo di un gruppo di prostitute nel 1942
inviate sul fronte greco-jugoslavo e
che un tenente italiano (
Tomas Milian) impara durante il viaggio a conoscere e
a stimare.
Nel 1972 La prima notte di quiete , con Alain Delon nelle vesti di un professore disincantato e che ha dissipato la sua posizione sociale , la sua cultura e infine la sua vita , diviso tra l’amore per una alunna un po’ balorda ( Sonia Petrovna) e la compagna di vita che minaccia il suicidio ( Lea Massari) .Prima di quest’ultimo film sulla “ trilogia adriatica” , Zurlini gira due film che sono stati giudicati dalla critica non pienamente risolti sul piano del rapporto tra stile espressivo e contenuti.
Infine nel 1976 Il deserto dei tartari , suo capolavoro e ultimo film.