IL TAMBURO DI LATTA

di Volker Schlondorff

(RFT - FRA – JUG –POL, 1979) Durata 142 min.

Attori: David Bennent, Angela Winkler , Daniel Obrichski , Mario Adorf, Charles Aznavour, Katharina Talbach, Heinz  Bennent.

Tratto dall’opera omonima  che nel 1959 impose  all’attenzione internazionale il  premio Nobel Gunter Grass , ha  vinto nel 1979  la Palma d’oro a Cannes   e l’Oscar come miglior film straniero .

Come nel libro il cuore  del film è attorno al personaggio di Oskar che  dai 3 anni in poi si rifiuta di crescere e rimane attaccato al suo tamburo di latta  con cui  scandisce lo snodarsi delle vicende individuali e storiche , assieme ai suoi urli sensazionali , laceranti  anche i vetri.  Oskar è la metafora della Germania  che si rifiuta di crescere e che , fin dal suo costituirsi originario in stato unitario nel secondo ottocento , ha continuato a rimuovere  la pericolosità di  influenze e  tentazioni endogene autoritarie e militariste  che  hanno portato il paese  a coltivare  l’imperialismo espansionista , il nichilismo fino a sfociare nel nazismo , e poi – secondo Grass – a non fare pienamente  i conti anche nel dopoguerra – almeno fino  alla fine degli anni ’70 – col proprio passato.   L’altro personaggio fondamentale  nel film è la madre di Oskar , Agnes,  che rappresenta la “Grande Madre Patria” , che non sa rinunciare ai piaceri del desiderio e della fuga dalla routine   e si divide tra un marito e un amante :  qui  la dimensione  del personaggio  simboleggia  una Germania  che esprime cultura  e gusto ( la passione per la musica classica e per l’arte in generale ) ed è lacerata  tra richiami romantici e sensuali  ( l’elegante e passionale   cugino/amante  Bronski , ma anche la corte raffinata  e discreta del negoziante ebreo Markus )  e la   volgarità  e ignoranza della piccola borghesia bottegaia ( il marito Matheraz ) , che costituirà poi la base di massa con cui il nazismo trionferà.   Oskar  è il figlio di “due padri” dunque  e di una “Grande Madre”  che  vive  enormi  contraddizioni : ed Oskar  diventa infatti prima spettatore passivo , irresponsabile e inetto del dramma sociale e politico che si svolge sotto i suoi occhi , poi  connivente  e collaborazionista , provocando di fatto , indirettamente , ma sempre puntualmente , la morte  della “madre” e dei suoi “padri” , e anche di chi coinvolge  per  tenersi stretto il suo tamburo di latta. E appunto il tamburo di latta  è lo strumento significante della narrazione :  un trastullo rumoroso  per  lasciare  il paese/bambino nella sua infanzia ,  buono per rullare  ora vani, ora sinistri  segnali  di bellicosità , altrettanti rumorosi quanto gli urli laceranti che  ogni tanto Oskar emette : e non è stato forse questo il connotato portante della Germania nel secolo che va dalla sua unificazione in stato centrale bismarkiano fino alla fine del nazismo ?  Paese con  una base di  grande tradizione di pensiero e  arte, ma egemonizzato da richiami della foresta distruttivi e autodistruttivi , e, nell’incertezza tra i “padri”, alla ricerca nichilista e opportunista di un “Fuhrer” a tutti i costi .  Tanto più che la “Grande Madre”  (Agnes) non riesce più a sostenere la contraddizione  e  la  perpetua patologica e nefasta  presenza di questo figlio che non vuol crescere , e introietta in sé  il conflitto e il dolore, si suicida  . 

Tutto ruota attorno a questi significanti , e l’ambientazione e le figure che emergono dal film  sono funzionali alla costruzione di questa potente metafora . Ne viene fuori un film ricco e mosso, spettacolarmente pieno di cose, ambienti, fatti, personaggi e contrassegnato da  satira e  grottesco . C’è una visionarietà  barocca che  in varie sequenze rende appieno l’ironia parodistica e onirica  del romanzo di Grass . Accanto  a magistrali inquadrature  piene di lirismo , vengono fuori immagini e  situazioni  che spiazzano continuamente lo spettatore, a volte carezzato , a volte messo davanti alla  carnosità ruvida  di   sesso rubato e sempre precario ,  a volte  di fronte a  materiali sgradevoli  che quasi sente di toccare  e odorare nei loro umori  e tumescenze profondi. Il film inizia con sequenze da cinema muto e con la gran  scena della nonna che tutti  nasconde sotto le sue enormi gonne  (archetipo del ventre materno che ricorre sino alla fine). Poi tutto si anima di mille colori e persone : il mercato di Danzica, la varia umanità brulicante , le botteghe una accanto all’altra , “un’epica fatta di tableaux quotidiani, ricostruiti in tutti i dettagli”, in un affresco rutilante tra privato e  Storia . E , rispetto al libro , il film diventa opera autonoma ed è la  poetica di tutto il cinema di Schlondorff che dice : “un vero cineasta non ha bisogno di scrivere il testo per essere l’autore del film : sono io che faccio agire i personaggi , li scelgo ,li chiarisco , li amo, li detesto , con un lavoro  su  immagini, suoni, colori , tempi  che , se ispirato, può  anche chiamarsi stile”.

VOLKER SCHLONDORFF

Nato a Wiesbaden ( Germania) nel 1939 è un regista tedesco  che però  ha  buona parte di formazione francese . Trasferitosi a Parigi per frequentare l’ IDHEC, scuola di cinema di grande prestigio, si lega - grazie all’amico Tavernier- agli ambienti vicini alla Nouvelle Vague . Aiuto regista di Malle, Resnais e Melville, ben presto debutta  dietro la macchina da presa diventando un esponente  importante della corrente del  Nuovo  Cinema Tedesco , nata nel 1962 : tra i nomi di punta del movimento J. -M.Straub , E.Reitz, A.Kluge, P. Fleischmann, W.Wenders, W.Herzog, R.W.Fassbinder ,  e tra le donne H.Sanders , J.Bruckner, e Margarethe von Trotta che diventerà consorte di Schlondorff  e  poi regista ella stessa ( Anni di Piombo , Rosa L., Paura e amore, La promessa ). Schlondorff fonda 2 case di produzioni  ( ‘Allelujah’ e ‘Bioscop’ ) con cui riesce per un quindicennio (‘65-’80) a promuovere  in Germania un cinema indipendente, di qualità  e critico dello status quo.

Nel 1965 I turbamenti del giovane Torless  fanno notare S. a pubblico e critica . Con questo lavoro  inaugura una produzione di film  in gran parte ispirata a  grandi romanzi e autori e riesce a rendere   il clima irrazionale e morboso dell’opera prima  di Musil, restituendo il  contesto sociale e psicologico della Germania guglielmina del primo ‘900.

Nel 1967 La spietata legge del ribelle , tratto da Von Kliest , è la vicenda di un allevatore nella Germania di Lutero che   si oppone  alla prepotenza di un signorotto e scatena una ribellione contadina , subendo  la rivalsa dei potenti. Non è considerato tra i migliori film di origine letteraria da  S.  diretti, anche  a causa dei compromessi imposti dalla Columbia per il mercato USA.

Il sodalizio artistico con la moglie M. von Trotta  segna le tre pellicole successive:

1972 Fuoco di paglia , con  la scelta  di una moglie che lascia marito e figli per realizzarsi autonomamente , affronta , con risvolti brechtiani e   buono stile, il tema della  condizione della donna contemporanea nelle metropoli  dell’occidente avanzato;

1975 Il caso Katharina Blum ,  tratto dal libro di  H. Boll, ispirato  a sua volta  alla campagna di stampa , impregnata di odio  , contro  Andreas  Baader e Urlike  Meinhof , incriminati per attentati contro lo Stato ,  di fatto spinti a “suicidarsi” in carcere . Nel  film ( come nel libro ) la protagonista è una giovane cameriera tedesca presa di mira da un giornale scandalistico e reazionario per aver ospitato un disertore : lo stile anche qui, come nelle migliori opere di S., è asciutto , e la partecipazione emotiva e civile  non scade mai nel  patetico;

1976 Colpo di grazia , dal romanzo di M. Yourcenar , narra una vicenda del 1917 , all’interno della rivoluzione russa.  Due ufficiali nobili si schierano contro i bolscevichi e uno dei due si innamora  della sorella dell’altro , e questa ha però simpatie rivoluzionarie : arrestata dagli avversari ,  chiede di essere giustiziata dall’amato . E’ svolto  nello stile del melodramma  di amore e morte ,  “ in cui la nostalgia dell’infanzia lontana s’alterna con l’elogio della dignità rivoluzionaria . Uno dei migliori film di S., con un’intensa partecipazione di M.von Trotta” , che è la protagonista ,  oltre che sceneggiatrice ( come nei 2 precedenti film) .

Nel 1978 Germania in autunno , film collettivo  in cui è coautore con- tra gli altri- Fassbinder, Kluge, Reitz : radiografia della Germania nell’autunno 1977, sull’involuzione dello stato di diritto, della sinistra, dell’opinione pubblica , in un alternarsi di finzione cinematografica e documentario .

Nel 1979 Il tamburo di latta (vedi scheda)

Dopo il non convincente L’inganno ( 1981) su un giornalista inviato a Beirut nella guerra civile , gli anni ’80 e ’90  vedono Schlondorff   impegnato negli USA :  1985  Morte di un commesso viaggiatore , dal famoso dramma  Arthur Miller , con un grande Dustin Hoffman ; 1987  Tutti colpevoli , dramma razziale nella Luisiana ; 1998 Palmetto , giallo dai risvolti ironici , e infine il drammatico Il silenzio dopo lo sparo ( 2002 ) In tutti questi film americani S. mostra ancora  il suo mestiere, ma non raggiunge più -  come capita quasi sempre ad autori europei con una propria  maturità artistica e poi operanti in USA-   il timbro e la forza espressiva caratterizzanti il suo cinema precedente.