Strade Perdute

di David Lynch

Lost Highway - USA 1996 - DURATA: 105 min. REGIA: David Lynch

ATTORI: Bill Pullman, Patricia Arquette, Balthazar Getty, Robert Blake, Robert Loggia, Gary Busey, Mink Stole, Richard Pryor, Jack Nance.

Con Strade perdute Lynch abbandona definitivamente le convenzioni del racconto classico , dove vige sempre l’aspettativa   di una  causalità spazio-temporale  tra gli eventi e i personaggi. E 5 anni dopo farà altrettanto e di più  con Mulholland Drive ( 2001) , che chiuderà  sabato 29 questo ciclo e da  molti considerato il suo capolavoro. Strade perdute è uno splendido esempio di come il cinema possa uscire dall’impasse tra la serialità  impostagli  dalla tv- che sembra colonizzarlo sempre più - e l’effettismo speciale  che riproduce “la perfezione del nulla” , dove conta solo stupire  senza veicolare sentimenti ed emozioni autentiche, profonde. Questo invece è un film che permette la riflessione sulle possibilità inesplorate del  cinema  di produrre  non effetti , ma senso , con un linguaggio che non può più essere quello neorealista, perché il mito  della  realtà “oggettiva” è implosa, deflagrata  nelle più diverse prospettive dei vari punti di vista. E , in questo senso  tornano  maestre le parole di Luis Bunuel in proposito ( e non a caso Bunuel è senz’altro un ispiratore e  anticipatore  per vari versi di   Lynch e   in generale di questa “nuova frontiera”  del cinema):  “basterebbe  che la bianca palpebra dello schermo potesse riflettere la luce che le è propria per far saltare l’universo… nessun’arte manifesta una sproporzione così grande tra le possibilità che offre e le proprie realizzazioni” .  Lynch sperimenta   qui , cioè prova a mettere in pratica , a  inverare  nella sua arte ,  quella  definizione di cinema prefigurata da Edgar Morin , oltre l’estetica del realismo : “il cinema porta il reale, l’irreale, il vissuto ,il ricordo, il sogno ,al medesimo livello mentale comune” :“perché da un lato ha l’apparenza concreta della vita, ma dall’altro ha la sfuggente volatilità del sogno. Il tentativo di ricostruire esattamente il ricordo di una sequenza assomiglia in maniera inquietante a quello di riafferrare le immagini di un sogno, che sta svanendo con il risveglio”. Anche il surrealismo privilegia la dimensione onirica , ma soprattutto come ricerca dell’irrazionale – e quindi rifiuto della razionalità borghese – a fini di contestazione dell’ordine esistente , e “lo schermo, per dadaisti e surrealisti , non era un dipinto in movimento o un  veicolo di nuovi linguaggi , ma diveniva un luogo in cui il sogno era accessibile a tutti , dove i simboli della società borghese sarebbero stati disgregati, distrutti “ . Con Lynch  in realtà il cinema è proprio “un dipinto in movimento” : la sua vocazione primaria era la pittura e il suo cinema nasce come intento di dare animazione alle sue intuizioni figurative ; e ancora è la ricerca di un nuovo linguaggio ; e il suo sguardo critico verso l’ordine costituito  non  è ideologico-politico  , né il sogno sostituisce il reale  ;  in definitiva  non siamo alla rappresentazione di  un “ sur-reale” , ma di un “multi-reale” : il sogno  affianca il reale , e lo affianca come incubo , zona oscura e rimossa , cattiva coscienza . La realtà del sogno/incubo e  la realtà della vita sono parallele , e non si capisce alla fine qual’ è tra le due  il più  “incubo” , la più “perturbante” .   . Borges , parlava in relazione alla concezione dell’universo di Ts’ui Pen, di  “ infinite serie di tempo, una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Nella maggior parte di questi tempi noi non esistiamo, in alcuni esiste lei e io no; in altri io e non lei ; in altri entrambi”: Esiste una straordinaria coincidenza con queste righe di Borges (1941) e la teoria dei mondi paralleli di Everett ( 1957) nella quale “il mondo (nostro)  è soltanto una delle numerose combinazioni possibili, tutte effettivamente realizzate”. Strade perdute è un film che ti fa perdere la testa , con i suoi continui contorcimenti dimensionali e temporali e i mondi paralleli  non sono universi  fantascientifici o di X-file , ma  realtà che coesistono nella nostra quotidianità , nel divenire  e nel continuo ritorno del nostro vissuto. Anche se è difficile ammetterlo , noi siamo attraversati di continuo da queste dimensioni e spesso ci rendiamo conto di rivivere cose  sensazioni e luoghi in cui non eravamo mai andati( nella nostra dimensione “normale”) . La teoria quantistica  ha introdotto una logica non più direttamente causale e lineare , ma legata all’onda delle probabilità, delle possibilità. Questa teoria nega la possibilità di conoscere la posizione e il movimento dell’atomo nello stesso tempo: è possibile conoscere o l’una o l’altro , mai entrambi. In Strade perdute Lynch utilizza , forse inconsapevolmente, questo principio di indeterminazione: noi spettatori conosciamo la posizione di un personaggio , ma nulla del suo movimento . Qui i “doppi” maschili e femminili esemplificano tutto ciò : in un mondo troviamo Fred e nell’altro Pete, in una foto Alice e Renne coesistono, nella stessa foto poi , una è “scomparsa”.    Questo film di Lynch è espressionista ,oltre che   per l’immersione  in un incubo/delirio , anche perché tutto costruito, specie nella prima parte, sulle oscurità  dove risultano illuminati solo   i  primi piani  e la figura  del protagonista che , nella prima parte   entra ed esce dal buio delle sue angosce , in un appartamento che sembra uscito dai dipinti di Hopper : “dissolvenze in nero e dal nero, taglio netto della fotografia e uso di una sorta di ‘buio’omogeneizzante” E  all’inizio come alla fine , una macchina in  corsa si dirige verso l’oscurità: i fari illuminano solo un breve spazio , la macchina deraglia a destra e sinistra della linea di mezzeria tra le corsie , come la mente di Fred che è in conflitto, non sa dove andare, in bilico tra follia e ragione. E se è confermato il tratto espressionista , si aggiunge decisamente quello di post-moderno,  proprio nell’indecidibilità dei percorsi della storia e dei personaggi, nella rappresentazione delle  paure segrete  della nostra epoca, non per mezzo di una diretta critica sociale, ma mettendo in scena apertamente queste fantasie , riproducendo la stessa ambiguità e inconsistenza della struttura fantasmatica che supporta l’esperienza della nostra realtà sociale”. La struttura narrativa scardina la dimensione temporale cui siamo abituati : è come una lunga fuga musicale e come un nastro di Moebius che si avvolge su se stesso senza che sia possibile  distinguere la parte esterna da quella interna . Il paradosso del labirinto e del nodo contemporaneo , richiama a un ruolo più attivo lo spettatore , cui sembra indicare che “la soluzione del mistero è sempre inferiore al mistero stesso”. E questo percorso labirintico non ricerca l’elemento irrazionale ( surreale) , ma il “quotidiano” e “il familiare”, rendendoli macabri e indecidibili .  “ Di fronte alla marea di roba vista e digerita, l’unico ingrediente ancora in grado di provocare tensione è qualcosa di vicino a noi, di familiare, ma inintelligibile. L. apre il vaso di Pandora  davanti allo spettatore , lasciando che questi  sia sconvolto dalla sua stessa energia negativa, e poi si rifiuta semplicemente di richiuderlo”. Il nero in cui il film è immerso svolge “una funzione ipnotica” ,”trasforma il vedere in sentire”. E’ nello spazio vuoto o nel nero che la visione si riscopre “tattile”: “perso nei corridoi angusti e oscuri della propria casa, Fred ci costringe a “toccare” la sua follia, la sua mente lontana, e ci mostra quanto facile possa essere perdersi anche nell’ambiente più familiare. E questo sembra uno dei motivi più perturbanti del film: la crisi del visibile ( e dell’udibile) è già diventata crisi del cinema ( e dello spettatore)”. Se in Velluto Blu ( e Twin Peaks e Cuore selvaggio, l’universo sadico, ripugnante è messo in confronto con l’idilliaca vita di provincia , qui l’oscuro e il torbido è messo in confronto “con  l’asettica, grigia, alienata vita matrimoniale della odierna megalopoli suburbana , che produce direttamente tradimento, omicidio , sadismo: c’è quindi ora l’opposizione di  due orrori . Infine alcune considerazioni sul suono e la musica del film ( arrangiata da Angelo Badalamenti) : “Assistere a Strade perdute esercitando solamente lo sguardo, significa correre il rischio di mancare, come spesso accade in Lynch, alcune delle tessere più suggestive di un mosaico in bilico tra nonsense e terrori atavici :  Lynch pedina  l’evolversi dell’incubo di Fred  accompagnandolo con una specie di pedale orchestrale continuo , con una netta prevalenza di note basse e tenute  - di archi e ance – rotte nei momenti di maggior tensione da stridule dissonanze . Il trattamento dei rumori contribuisce in  una buona parte alla parossistica inquietudine che pervade la villetta dei coniugi nella prima parte : il crepitare del fuoco,lo squillare dei telefoni,il rimbombare dei passi, l’effetto neve delle videocassette. Se  il cinema di L. dal punto di vista visivo , con il minimo scarto in rapporto alle regole , già crea degli effetti perturbanti,  nel suono, a maggior ragione in questo film, ha una funzione precisa, quella di spingerci avanti nel film , di farci sentire subito al suo interno, avviluppati dalla sua durata.   In conclusione ,  un  esempio di cinema che va oltre il racconto convenzionale ,  utilizzando -senza effetti speciali, né viaggi fantascientifici –  grandi possibilità inesplorate per esprimere  l’interiorità di un disagio epocale , la complessità delle dimensioni che ci attraversano continuamente , in un viaggio sorprendente  (per chi decide di “entrarvi”) nella felicità  di produrre sulla “bianca palpebra dello schermo” non solo stupore, ma emozioni che lavorano a livello subliminale sensi di riflessioni  sulla condizione umana , dove “l’autostrada perduta finisce per essere quella ritrovata della coscienza degli spettatori e del cineasta”.