Crocevia della Morte (Miller's Crossing)

di Joel e Ethan Coen

USA 1989 - REGIA Joel e Ethan Coen con Gabriel Byrne, Albert Finney,Marcia Gay Harden, John Turturro, Jon Polito, Mike Starr, Al Mancini.

Durata: 115 min.

Con questo film i Coen si riferiscono ad un altro classico della letteratura americana , Dashiell Hammet , da cui avevano mutuato l’espressione che titolava il loro primo film: Blood Simple .
James Cain , e con lui la provincia violenta e sudata che ha saputo raccontare, era lo sfondo sul quale si agitavano le vicende e i corpi di Blood Simple. Per Miller’s Crossing sembra più importante puntare l’attenzione sui personaggi , ancor prima di concentrarsi in un intrigo narrativo che difficilmente si potrà sbrogliare . Il riferimento più immediato è dunque Hammet , con le sue complicate storie di violenza , con la forza interiore ( degna della tradizione tragica della classicità) di killer, investigatori, puttane e anche poliziotti e politici locali : questi ultimi due tipi nel film totalmente corrotti . 
Questa volta il film è ambientato in un’imprecisata città americana degli anni ’30 e il genere è il cosiddetto gangster movie . I Coen con questo lavoro “pagano il debito alla loro passione cinefila , alla memoria di un genere costruito su regole saldissime e su un’enormità di pietre di paragone” .
“L’importante era non ripetersi e così siamo partiti da un genere in cui volevamo metterci alla prova –il gangster movie – e da un’immagine: gente in impermeabile e cappello in mezzo a una foresta ,l’incongruità di gangster metropolitani in mezzo al verde” . Cosa ci fanno dei gangster in una foresta ? Mentre il film prende forma , si aggrovigliano le possibili risposte e la storia si costruisce lentamente. “Il metodo Coen è di una semplicità disarmante, e insieme gravato da una complessità senza pari . Il film-testo è dentro ogni singola immagine. L’immagine che è idea ,immancabile nella genesi di ogni opera coeniana, è, anche ,già, film”.

Fin dall’inizio questo gangster movie sorprende per alcune “anomalie” rispetto al genere : il prologo vede un surreale dialogo tra due boss della malavita , uno irlandese e l’altro italiano . e quest’ultimo comincia a parlare di “etica” e continuerà a parlarne per tutto il film : non si era mai visto al cinema un boss italoamericano dall’accento campano e la faccia da suino che filosofeggia e che dice “l’amicizia è uno stato mentale” . Il protagonista Tom ha i tratti melanconici di un Marlowe , ma perde sempre e le prende sempre da tutti: persino dalla sua donna e da una grassona che gli dà una borsettata in testa. Soprattutto Tom continua a perdere e riprendere il suo cappello per tutto il film : il cappello è un altro grande significante del film che ci dà, nel suo volare e ondeggiare, nel suo esprimere un’identità sempre in discussione , travagliata , la chiave profonda del film . Tanto che qualcuno ha detto che in fondo Miller’s Crossing può essere definito “soltanto la storia di un uomo che ha un difficile rapporto con il suo cappello: un cappello-simbolo, un cappello-sogno, incubo, desiderio, utopia, oggetto sempre fuori posto rispetto al suo possessore”.

La vera anima nera del film è Bernie ( John Turturro) , il protagonista nascosto allo sguardo per gran parte del film , ma infinitamente citato, cercato, protetto, minacciato . Bernie fa la sua comparsa , apparendo come un fantasma “in una sequenza nella quale i Coen giocano ad occultarlo accuratamente per meglio sorprendere con la prima inquadratura a lui dedicata ed è il distillato delle peggiori aspettative che si potrebbero nutrire” verso un malvivente falso e viscido che sfrutta tutto e tutti. “Eppure questo personaggio così spregevole riesce ad entrare dentro il film e a dettare , quasi sempre in assenza, i tempi e i modi delle reazioni dei contendenti”. E Bernie conferisce uno dei connotati espressionistico-arcaici che definiscono il film . Bernie infatti non perde mai la sua particolare densità fantasmatica , appare sempre dal buio, dall’ombra nel quale è celato in silenzio , in agguato, come un rettile pronto sempre a colpire . “ I due si guardano , Tom e Bernie , e si rispecchiano l’uno nell’altro , immaginando quello che avrebbero potuto ( o solo voluto ) diventare se a un certo punto della loro vita non avessero compiuto alcune precise scelte rispetto all’ etica, all’amicizia, e al carattere” : i tre punti cardinali citati dall’inizio dal boss italo-americano, Caspar.
Miller’s Crossing , assume, pur fra le pieghe di un discorso mai serioso e sempre luccicante, la forma della tragedia, proprio perché mostra, con una complessità che i Coen non avevano ancora messo in scena ,il travaglio interiore dettato da alcune scelte compiute in momenti cruciali. Miller’s Crossing , cioè “il Crocevia del Mugnaio” è il luogo dove nel film la malavita locale regola i propri conti e le proprie sentenze a morte , diventa lo spazio chiuso dal quale si può sfuggire solo per rimettere in discussione la propria visione delle cose . E proprio qui ,in questo transito travagliato il film si spoglia della sua veste di genere per farsi riflessione su un reale inafferrabile. E risponde così alle istanze primarie dell’espressionismo, nato proprio come crocevia di accadimenti ( storici, scientifici, sociali , culturali ) che mettevano in discussione tutto l’assetto di quattro secoli precedenti , dove la logica razionale lineare e causale sembrava regnare, e dell’esigenza di esprimere lo spaesamento , la disgregazione dell’uomo contemporaneo . E questo crocevia del film diventa quindi metafora di tale spaesamento ,di un’umanità incapace di afferrare una realtà interna ed esterna che sfugge , tutta attorcigliata nei suoi reticolati e sentieri in cui si torna e ritorna .
Anche in Miller’s Crossing avviene lo scacco di “un unico punto di vista” ritenuto obbiettivo e illuminante la storia : qui tutti non capiscono le mosse dell’altro, tutti fraintendono, tutti sospettano. Chi bara, Caspar o Bernie ? Chi bara alla fine, Tom o il braccio destro di Caspar ? Chi ha ucciso l’uomo col parrucchino? Chi glielo ha portato via? Con chi sta Tom ? Quale piano ha in mente? Tom dice il vero ? L’uomo sfigurato nel bosco è Bernie ? 
Significativo quando Tom dice alla sorella di Bernie che questi non è morto , e lei gli dice : “Ti posso credere?” , e lui gli risponde “No”. Quando crediamo di avere “capito”, siamo spiazzati perché la storia si rimette in moto in altro modo , e Miller’s Crossing appare allora “un film che sembra girare ad una velocità troppo alta rispetto alla capacità di noi spettatori “ , il cosiddetto “Coen-twist” : ma se ci si concentra sullo specifico dei personaggi e sul loro percorso riprendiamo il senso del tutto . E soprattutto se ci concentriamo sulla forza delle immagini , sull’esplorazione di un linguaggio cinematografico che cerca di esprimere la problematicità di un genere che non può praticare più i soliti percorsi e soprattutto i personaggi “mitici” di una volta . Ecco allora il mix di macabro e grottesco che alterano e rendono obliqui personaggi e situazioni , ecco il gusto neo-barocco nelle sparatorie, dove le mitraglie emettono i suoni e i lampi dei giocattoli che ci regalavano da bambini , il postmoderno elegante nelle citazioni da Il Padrino , Gangster Story , Il clan dei Barker ed altri , in un “equilibrio miracoloso tra l’incandescente germinazione di trame, di intrecci che si racchiudono a vicenda e la pacata esposizione registica tutta affidata a soluzioni cromatiche ricercate”. E a questo proposito gli esterni vedono il film illuminato con i toni del verde e del marrone, rischiarati qua e là da improvvisi e studiati tagli di luce. Gli interni sono spesso ripresi con il grandangolo, a volte somiglianti ad un emisfero cerebrale ( la stanza di Tom ) quasi a significare una forma-cervello di luoghi che diventano luoghi metafisici e stilizzati , ellittici secondo la miglior tradizione espressionista. E soprattutto nei rossi degli interni , che sembrano grondare sangue da un momento all’altro, si prelude - dalle scale che si salgono con tensione crescente , alla scritta Barton’s room nella penultima scena – alle atmosfere del film più visionario dei Coen , Barton Fink, che proporremo sabato 19 Febbraio : quasi che si possa preparare lo sguardo e parole in vista di questa “epifania dell’assurdo” , Barton Fink, “un film la cui complessità totale totalizzante sembra, con il senno di poi, provenire dalla città senza nome dei gangster di Miller’s Crossing. Una città dove non abita l’amicizia, il carattere appare un po’ a sprazzi e l’etica…Beh, l’etica è tutto un altro discorso”.