Papà è in viaggio d'affari

di Emir Kusturica

IUGOSLAVIA 1985 , Durata 124 min.

con Miki Manojilovic , Mirijana Karanovic , Moreno De Bertolli, Mustafa Nadarevic , Slobodan Aligrudic

Palma d’oro al Festival di Cannes 1985 , Papà è in viaggio d’affari è il secondo film di Kusturica , e conferma , 4 anni dopo Ti ricordi di Dolly Bell ,  il talento dell’autore.

Questo film è legato al precedente per molti versi : anzitutto anche questo è un percorso di formazione , nel senso del Bildungroman , anch’esso è stato sceneggiato col poeta e scrittore bosniaco  Abdullah Sidran ,  anch’ esso si svolge nella periferia di Sarajevo e  anch’esso si propone di narrare – contemporaneamente al vissuto d’infanzia del protagonista e dell’umanità che lo circonda – un pezzo dell’ ” infanzia  jugoslava” : in Dolly Bell erano i primi anni ’60, qui siamo dieci anni indietro, i primi anni ’50.  E la vicenda storica è lo sfondo della rottura della Jugoslavia di Tito , col Comintern staliniano, e la conseguente resa dei conti interna al paese, con tanto di “caccia alle streghe”, tra filo-titoisti e filo-sovietici . Questo clima  storico-politico e socio-culturale è rappresentato attraverso le vicende tragicomiche  di un oscuro funzionario di partito che incappa in una sorta di processo kafkiano , con  una rappresentazione degli eventi  evocante ancora Gogol . Le conseguenze che subisce l’uomo , assieme alla sua famiglia, sono narrate  dalla prospettiva del figlioletto minore, Malik, a cui è stato fatto credere – o comunque è questa la versione cui  egli deve conformarsi  - che l’assenza del padre ( in realtà inviato  al confino)  è dovuta al fatto che “ papà  è in viaggio d’affari” .

Il film, rispetto a Dolly Bell , ha  una ricchezza di mezzi maggiore e permette una cura migliore della fotografia e una  più accentuata componente di  “incantamento” :  qui infatti  Kusturica sviluppa maggiormente il suo “realismo fantastico” che poi sfocierà nella visionarietà onirica de Il tempo dei Gitani e  di Underground.  In Papà è in viaggio d’affari   la dimensione magica  emerge attraverso il sonnambulismo di Malik , come in Dolly Bell si esprimeva in  tutti i tentativi con l’ipnosi compiuti da Dino : anche qui  viene fuori  incoercibile  la soggettività e il bisogno di mistero rispetto alla retorica statalista / realismo socialista  ufficiale : sotto la cornice di quest’ultima  scorre l’antropologia culturale della Bosnia musulmana  moderata, con i suoi riti di iniziazione  ( come la circoncisione di Malik)  e i suoi costumi  , estranea alle lotte politiche e ai giochi di potere.

Sia il Dino di Dolly Bell che Malik vivono in una condizione di marginalità e la  condizione di questi  è speculare a quella  del compagno di giochi Joza ( ad entrambi viene sottratto loro il padre per motivi che rimarranno ai loro occhi misteriosi ) e a quella della bambina della quale teneramente si innamora, Masa . Ma se il processo di formazione ( esistenziale, sentimentale, sessuale)  di Dino, sarà evidenziato da un percorso di spostamento verso mete ancora ignote ( “Ogni giorno, sotto ogni riguardo progredisco sempre di più” è il suo mantra che si ripete continuamente),  il movimento che caratterizza il percorso di Malik assume una conformazione chiusa, circolare : da Sarajevo si torna a Sarajevo , alla medesima condizione di partenza : dalla festa per la circoncisione a quella per il matrimonio dello  zio , dal  regalo della rumorosa raganella  da tifoso iniziale al sospirato pallone di cuoio con cui giocare insieme a Joza alla fine . Un’ evidente regressione , un rifugio soffice e confortevole nel mondo infantile e nella dimensione onirica ( il sonnambulismo) per ribadire le distanze da un universo altrimenti feroce e assurdo: “Hai saputo di quale reato sei colpevole?” chiede disperata la madre di Malik al marito poco prima della deportazione.

Il leit-motiv , che accompagna questa delicata storia come una  ballata , è un valzer, ma assieme  eccheggiano  canti e musiche struggenti della tradizione balcanica : componente questa che raggiungerà l’apice nei prossimi due film, con le musiche di Goran Bregovic . E così anche in Papa’ è in viaggio d’affari la coralità è fondamentale per cogliere i momenti topici , attraverso cene di ricorrenze varie dove Kusturica riesce a darci - con una capacità di montaggio creativo non inferiore a Fellini -  il soffio della Storia che si mischia a quello della vita delle persone umili , tra disincanto e nostalgia per la sua terra ,  riuscendo  a non cadere nel nostalgico e nel sentimentalismo: splendido , durante le  scene finali del banchetto nuziale ,nella resa dei conti di tradimenti e rimorsi, accuse e confessioni ,  il mix di dramma e  grottesco  che si incrociano contemporaneamente : lo zio di Malik, fratello della madre, delatore del cognato , che ubriaco e macerato sbatte la testa ripetutamente sul tavolo, affondando poi ignominiosamente  nel cibo , e  intanto  si sente la  radiocronaca in diretta della partita di calcio fatidica in quegli anni ’50 tra Jugoslavia e URSS ; all’interno ,  nello scantinato adiacente l’aia dove si svolge la festa , la complice del delatore, dopo un amplesso per lei frustrante col padre di Malik  (allora da lei denunciato per gelosia e ripicca ) ,  prova ad impiccarsi : ma la corda si rompe e lei rovina nel water : queste situazioni di impiccagioni fallite e   rovinanti nel grottesco si ripetono come vedremo,  sia ne Il tempo dei Gitani  che in Undeground .  In conclusione Kusturica  così riesce a stabilire –mediante l’irrisione, la burla, lo sberleffo iconoclasta –le distanze rispetto alla tragedia della Storia, e a far emergere la centralità dell’individuo , per quanto naufrago e marginale.

Ed è proprio nell’interagire dei protagonisti con i personaggi secondari che ritroviamo una caratteristica saliente di questi primi due film di Kusturica : la capacità di rappresentare la dolente, intensa umanità dell’esistenza quotidiana. La massima sintesi espressiva si ha appunto in queste scene conviviali, dove constatiamo , da un lato la disintegrazione  anarchica del racconto , e dall’altro la ricomposizione dell’unità della scena attraverso il montaggio . L’azione è ricondotta all’unità dallo sguardo di Malik ,dal suo giudizio severo sull’operato degli adulti, e quindi dal suo volto ammiccante, a sottolineare ulteriormente la prevalenza di un registro amaro-ironico sull’ordinaria tragicità degli eventi narrati. Ed è indicativo che il personaggio a cui Malik si sente più affine, è il nonno , le considerazioni del quale –diretto da solo verso l’ospizio, visto come un’oasi estrema di riposo – anticipano nella conclusione del film, il volo sonnambolico del bambino:  “ Ditegli che se ne vadano a farsi fottere con la loro politica! Sono troppo vecchio per queste merdate!”.