Underground
di Emir Kusturica
1995 JUG-FR-GER-CECK-UNGH-BULG
Durata 183 min.
Regia
Emir Kusturica, con Miki
Manojlovic, Lazar Ristovski, Mirjana Jokovic,Slavko
Stimac
Questo è la struttura di base che
da’ avvio alla storia, ma nel frattempo sono successe tante altre cose
e tanti altri personaggi e i sensi della narrazione cinematografica iniziano a
moltiplicarsi in una fantasmagoria
di immagini , sequenze, musiche che
travolgono e avvincono lo spettatore fin dal fulminante incipit. Si può solo
aggiungere al riguardo che la storia si dipana per oltre 50 anni , cioè per
tutta l’esistenza della Federazione Jugoslava , dal suo embrione nel
1941 con la Resistenza contro i tedeschi ,
fino all’inizio della sua disintegrazione nei primi anni 90 , col sanguinoso conflitto intestino
tra le varie etnie della
federazione .
Film internazionale
, coprodotto da ben sei nazioni , le cui riprese sono durate oltre 18 mesi ,
è il punto estremo di coinvolgimento di Kusturica con la storia e il
destino della sua terra , che lui
continua a pensare che sia indistintamente la Jugoslavia ( e non i 7 stati in
cui si è frammentata) , cioè la terra degli “Slavi del Sud” ( come
letteralmente il suo nome significa) : questo è costato all’autore di
Sarajevo – nel clima di odi nazionalistici scatenati dal conflitto -
accuse da parte bosniaca musulmana e croata di essere un traditore
filo-serbo , laddove egli -
peraltro multietnico per nascita , padre serbo ortodosso ,madre musulmana, nonna
zigana , come d’altronde grande parte dei
popoli dell’ ex-federazione – sosteneva , attraverso un protagonista del
film:“ siamo tutti jugoslavi”, quindi ci stiamo scannando follemente .
Questa guerra , dichiarava all’uscita del film ,
“è una cosa priva di senso per chiunque ami la Jugoslavia come paese
multiculturale. I miei film
preferiti erano croati e i miei libri preferiti venivano dalla Serbia. I miei
film sono nati nell’atmosfera di una Sarajevo realmente multietnica. Questo
film è un testamento verso il paese nel quale sono cresciuto”.
Ma se questa è la cornice storica e politica ,
il film è un’opera che va
oltre la dimensione politica e la vicenda balcanica e man mano che si sviluppa
appare metafora della
condizione umana in generale . Il paese che va alla deriva nella scena finale del film non
è individuabile solo nella Jugoslavia
, ma quel “ c’era una volta un paese…”come epigrafe
conclusiva - con tutti i protagonisti
, morti nel corso della storia , e qui
redivivi e
malinconicamente festanti nel
pezzo di terra che si stacca
- è una campana che suona per tutti i
nostri sradicamenti e spaesamenti, per quella continua giostra che è la
vita , come d’altronde Fellini era
capace di evocare in Amarcord
e Otto e mezzo , qui chiaramente
citati.
E lo stesso titolo allude non solo al sotterraneo (underground)
dove si svolge gran parte della vicenda , ma alle verità “sotterrate”,
segrete in cui per mezzo secolo ha
operato il “socialismo reale” , compreso il titoismo ,
agitando l’ideologia della perenne
mobilitazione, in realtà favorendo
dietro menzogne e ipocrisie nei confronti del popolo , l’affermarsi di
quella che un celebre dissidente jugoslavo , Milovan Gilas , definì “la nuova
classe” egemone nell’Europa dell’Est , la nomenklatura
. Ma ancora di più qui underground
è anche il rimosso esistenziale , il magma che ribolle sotto
la superficie delle convenzioni, un magma fatto di pulsioni, passioni, appetiti
che spinge per riemergere alla superficie . E con questo film Kusturica sviluppa
al massimo grado il suo cinema visionario e onirico , un film
per il quale ,oltre naturalmente a Freud e Jung
, i Cahiers
du Cinéma vedono riferimenti
al mito della caverna di Platone , come altri ancora hanno scritto che “fa
pensare ad Alice nel Paese delle
Meraviglie riscritto da Kafka , con Hyeronimus Bosch come scenografo e
Francis Bacon direttore della fotografia” . E ancora Dostoijevski e Metropolis , Lubitsch e l’Opera
da tre soldi , come altrettanto pertinenti sono i rimandi al realismo
fantastico della letteratura latino-americana, alla pittura di Chagall, a
Tarkowski e Welles , per non dire di Vigo e Visconti .
E qui Kusturica
esprime con forza e passione
l’idea di un cinema da lui
considerato “più vicino a un brano musicale o a uno spettacolo circense (
ancora Fellini) che a un opera letteraria”: in definitiva il film è una
scatenata personalissima rapsodia ,
nella sua doppia significazione di poema epico ( “cucitura di canti” nell’
étimo ) e di composizione musicale di forma libera, virtuosistica e brillante
,fondata su basi popolari. . E questa
musica, curata da Goran Bregovic , attinge a suggestioni arabo-turche ed
ebraiche, zigane e balcaniche, ed
è parte intrinseca del racconto del film,
ne costituisce lo spirito profondo ,il tema ininterrotto.
Ermanno Comuzio su “Cineforum” ha definito Underground “un
esempio pantografato di una concezione del cinema che spinge al
suo massimo potenziale la possibilità di disintegrare la realtà, di
farla esplodere in una fantasmagoria di immagini caleidoscopiche, colorate,
sonanti e riflettenti”. Tutta la vicenda, fin dal proemio , è all’insegna di una
festosità eccitata e precaria ,in bilico tra allegria e spasimo , vita e morte
, dove lo stordimento ,il fatalismo, la violenza ,l’ubriacatura di vino ,
donne, musica e balli costituiscono il pedale di esistenze perennemente
sopra le righe : viene fuori quel particolare vitalismo balcanico , fatto di
fierezza e spacconate, di
malinconia e capace di ghignare
alla vita sempre e comunque . E’ questa
antropologia che Kusturica mette in luce con
quel misto di simpatia e indulgenza per la sua gente e di feroce sarcasmo per i
suoi difetti , così come il ghigno, lo sberleffo, la voglia di “fare
casino” comunque contraddistingue, come e
più ancora di tutti gli altri suoi film precedenti, il grande tragico
affresco che ci viene allestendo: è la “terza dimensione” di una
memoria amata ma non santificata, di una nostalgia non nostalgica, di
un dramma sempre contrappuntato dalla derisione
e da quell’ humor dai sinistri bagliori proprio di questo popolo pagano , di uomini che dopo aver bevuto si spaccano una bottiglia sulla
fronte e che non capiscono le “teste di donna”, delizia e maledizione della
loro temeraria esistenza e continuano zingarescamente a suonare e ballare, a
mangiare e fare l’amore ,anche se le bombe gli cadono vicine. “ Dio stesso
mi ha fatto nascere in un luogo maledetto, una terra d’eresia ,di protesta,
d’amore sfrenato e di odio, posto su alte montagne dove nascono fiori
selvaggi. Una terra di speranze e di risate, e di una gioia e malinconia più
forti che altrove…”.
Nel suo gioco -condotto con un stile del tutto
originale , nei confronti dello
spettatore- di un alternarsi continuo di coinvolgimento
e distanziamento ,
nel metterci a un certo
punto in un film nel film, dove non si capisce qual è la finzione e la realtà,
Kusturica ha
costruito “una storia d’apocalisse in chiave di fiaba” . “Per il
totale irreversibile senso di perdita che trasmette, Underground
ha i crismi di un’opera conclusiva che inghiotte
come un cataclisma ciò che era all’inizio : la vecchia Sarajevo e quella del
futuro che si profilava con i suoi grattaceli e le sue antenne televisive
all’orizzonte , la casa con la colombaia dove nascondere Dolly Bell, i 24mila
baci….” . E nei suoi personaggi principali si rispecchia il riverbero di
questo senso di perdita irreversibile. Marko (il magnifico Miki
Majinolovic ) è la malizia, il camaleontismo, l’amoralità disinvolta ; Il
Nero (l’altrettanto grande Ladzar Ristovski) è quello che emblematizza di più
lo spirito slavo nelle sue contraddizioni: ubriacone, infedele, bugiardo, ladro
ed assassino , è reso grande e innocente dai suoi tre amori disperati e
perduti: la bella Natalja, il figlio Jovan e soprattutto la Jugoslavia. “
Passioni abbacinanti, nel buio. Il proprio paese e la propria donna, due buoni
motivi per uccidere. In Jovan , nato nell’oscurità del sotterraneo , il Nero
si specchia e rivive : una bevuta e tanta musica per i suoi 3 anni, una candida
sposa per i 20. E poi la brevis lux prima che il fiume se lo porti via”. E poi Ivan (
Slavko Stimac, il Dino di Dolly Bell )
che cerca disperatamente la scimmia Sony per 30 anni , che alla fine si impicca
sul serio. In tutti gli altri film di Kusturica ci sono tentativi di
impiccagione falliti grottescamente .Anche qui all’inizio per Ivan, poi
all’ultimo avviene sul serio: il grottesco non può più reggere .Il paese di Dolly Bell, di Papà è in
viaggio d’affari ,de Il tempo dei Gitani non ha più un barlume di speranza : se ne è
andato , dissolto, al suono di una musica zigana , staccato dalla
terraferma , inseguendo una sarabanda ,coi suoi veli da sposa fluttuanti e le
oche starnazzanti , le sue magie e i suoi sogni multietnici affogati nel sangue
.