"Film Blu" di Krzysztof Kieślowski
1993 ,FRA-POL. , 98 min.
In un incidente stradale Julie perde contemporaneamente il marito Patrice e la figlia Anna . Julie inizia così una nuova vita anonima, indipendente, lasciandosi dietro ciò di cui riponeva prima in abbondanza. Un giornalista musicale sospetta che in realtà fosse Julie l’autrice delle musiche del marito.Lei nega, forse troppo bruscamente. Il giovane assistente di Patrice, innamorato di Julie da molto tempo, per costringerla ad uscire dall’isolamento decide di portare a termine il Concerto per l’Europa : un’opera grandiosa lasciata incompiuta . Julie intanto si sforza per non cadere nelle trappole che possono minare la sua libertà.
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Primo dei “Tre colori” (blu, bianco, rosso, ovvero libertà, uguaglianza, fraternità), il film tratta il tema della libertà attraverso la storia, o meglio la vicenda psicologica, di Julie, che, coinvolta in un incidente stradale, perde marito e figlioletta. Lei si salva, ma stenta a sopravvivere ad un dolore indicibile. Da principio, abbandona tutto, legami, affetti, casa (“Adesso so che farò una sola cosa: niente”, “Non voglio più né proprietà né ricordi, amici, amori o legami: sono tutte trappole” confessa alla mamma anziana e malata); rifiuta l’aiuto e la compagnia dell’amico del marito, segretamente innamorato di lei. Kieslowski è regista tecnicamente superbo e squisito. Le scene sono dominate dal colore blu: il blu della piscina in cui Julie si tuffa, nuota, piange, elabora il proprio dramma interiore; il blu dei riflessi che magicamente si compongono sul viso dolce e triste di una donna colpita, debole ma non vinta; il blu dell’ecografia nella corale scena finale; il blu di un lampadario, unico oggetto di memoria cui Julie non rinuncia; il blu dello sfondo che chiude il film .
Ma Kieslowski, allo stesso tempo, come negli altri suoi film (quali il “Decalogo” e “La doppia vita di Veronica”); propone una riflessione impietosa e lucida, inquietante e misteriosa, sul destino e sul caso, sulla finitezza e debolezza nostre e dei nostri sentimenti, sull’ambiguità spesso sconsolante delle umane vicende: ma ciò che più affascina è che tale riflessione è condotta non in maniera fredda o intellettualistica, ma attraverso la forza di una regia e sceneggiatura sapienti, di figure controverse, di una rielaborazione del lutto (ed è qui una delle perfidie sottili ed atroci cui il regista ci ha abituato) che è pian piano favorita anche dalla scoperta che il marito aveva un’amante ora incinta… e Kieslowski ce lo fa intravedere velocemente all’inizio attraverso poche inquadrature, per poi svelarlo esplicitamente verso la fine, cogliendoci spesso spettatori distratti e disusi ai piccoli particolari della regia così come a quelli della vita…
Il marito di Julie avrebbe dovuto portare a termine l’inno per l’unificazione europea; inizialmente Julie si rifiuta di completare l’opera :la prima reazione è quella di voler distruggere ogni ricordo , non potendo ammettere di non aver intuito la vita parallela del marito che la tradiva con un ‘altra donna : poi alla fine disposta addirittura a conoscere l’amante,pur di carpire qualcosa di più del marito e dei suoi segreti più intimi; sembra addirittura di cercare di riaggrapparsi alla vita , paradossalmente anche attraverso il nascituro dell’amante.
Durante il film si è affascinati da una serie di immagini e di figure tristi, misteriose, ambigue accomunati da un musica pura e coinvolgente.
Per esempio, Julie che indica la piccola bara della figlioletta e risponde a monosillabi; le luci, i silenzi, le sinfonie che a tratti illuminano le scene, quasi ad esprimere le sofferenze interiori, altrimenti inesplicabili; alcuni temi ricorrenti nel
Regista: l’immagine di Julie
che vede un’anziana signora che, a fatica, riesce a buttar via un vetro vuoto;
l’incontro di Julie con la mamma, che ha perso in parte la memoria e che fissa
la televisione che proietta immagini che rievocano l’instabilità, il pericolo
incombente che grava su ogni destino umano; il dolore di Julie madre (si è
sempre madri anche dopo la morte dei figli) nel dover uccidere una topolina ed i
suoi piccoli; la figura del pifferaio, che suona un brano simile all’inno per
l’unificazione, ma che lui dice di aver creato da solo; il ragazzo che di
notte scappa e cerca aiuto, senza trovarlo a causa delle nostre paure e della
nostra impotenza ed indifferenza. A scene come queste, a domande che nascono,
non si ha risposta né spiegazione, non se ne devono avere, sembra dirci il
Regista: è come per il dolore altrui, difronte al quale l’atteggiamento
migliore è fatto di silenzio, di empatia e di piccoli, significativi gesti.
Stupenda ed interessante la figura della prostituta: a lei,
considerata emarginata ed abietta, desiderosa di aiuto economico e di conforto
(amarissima la scena di lei che piange perché non vuole esibirsi nuda di fronte
al padre frequentatore annoiato di un locale per adulti) il Regista, tagliente
ed acuto, offre il ruolo di aiutare Julie.
Troneggia la toccante, superba e, per molti versi,
inarrivabile interpretazione di Juliette Binoche, che sa far parlare gli occhi,
il viso, così come Kieslowski sa far parlare le cose ed i fatti.
Forse questa è tra le invenzioni più geniali del film:brandelli dell’inno risuonano spesso durante la visione per poi culminare alla fine nella Sinfonia completa, accompagnata dall’Inno all’Amore di san Poalo ai Corinti:
Forse questa è tra le
invenzioni più geniali del film: brandelli dell’inno risuonano spesso durante
la visione, per poi culminare alla fine nella sinfonia completa, accompagnata
dall’Inno all’Amore di S. Paolo ai Corinzi. “Ora perdurano Fede, Speranza
e Amore… ma dei tre il più grande è l’Amore”: queste sono le parole che
dovrebbero dire fine al film, rappresentando (anche se solo laicamente) il
ritorno alla luce di una donna colpita nei suoi più intimi affetti. Ma
Kieslowski, ancora una volta, mescola le carte, non attraverso nuovi eventi, ma
andando ancora a toccare delicatamente ed atrocemente le sottili corde
dell’animo umano…
Si può tornare alla vita veramente? Si può essere forse più
liberi senza legami o forse la nostra libertà non può che essere legata (altro
paradosso) ai ricordi, anche i più dolorosi? La libertà è un fantasma essendo
ogni sentimento finito, limitato e vincolato dalla nostra caducità, legato
sempre a qualcosa o a qualcuno? Il volto finale di Julie, assorta, piangente,
non vincitrice ma (forse) neanche vinta da un dolore che continua a lacerarla,
sembra contraddire le splendide parole dell’inno, quasi a smascherare la
disillusione del Regista stesso; ma lo spettatore non ha neanche il tempo di
riflettere, di chiederselo, travolto e trascinato alla deriva da immagini e
sentimenti contrastanti, dalla speranza ad un senso di dolce tristezza, dalla
fede nella rinascita ad un senso di incombente ed irrimediabile sfinimento
KRZYSZTOF KIESLOWSKI, l'inconfondibile
Krzysztof Kieslowski (Polonia, 1941-1996), possiede
un'inconfondibile personalità cinematografica. Il suo cinema, difficile,
esplora la condizione umana in tutte le sue forme; è così esigente con se
stesso che non sorprende che lo sia anche con gli spettatori; ama rendere arduo
il compito di chi guarda e cerca di comprendere i suoi lavori."Quello
che voglio mostrare è che i problemi non sono mai pratici o politici. I veri
problemi sono sempre dentro di noi".
Nelle sue opere è duro e spietato ma sempre lucido e
razionale; pessimista totale e definitivo, guarda con un occhio puro e cinico la
bassezza e la doppiezza dell'essere umano. È entrato nella storia della
cinematografia con "Decalogo", dieci film per la tv polacca di
circa un'ora ciascuno. Un'opera ciclopica scritta a quattro mai con il fido
avvocato-sceneggiatore Krzysztof Piesiewick; dieci film sui valori umani
fondamentali, e ogni episodio è su uno dei Dieci Comandamenti. Laureato in
Cinema arriva a "Decalogo" dopo ventuno documentari e dieci film a
soggetto per la televisione, tra cui "Senza fine", del 1984,
sicuramente il lavoro più importante. La critica mondiale si interessa a lui
nel 1979 con "Il cineamatore", vincitore al Festival di Mosca,
in cui Kieslowski mostra un promettente cambio di passo rispetto ai lavori
precedenti. Tra gli altri riconoscimenti di questo periodo ricordiamo il Premio
Speciale della Giuria di Cannes e il Felix per "Breve film
sull'uccidere" del 1987.
Da un'idea già in embrione in "Decalogo
9", realizza nel 1991 "La doppia vita di Veronica"; è la
storia di due destini di donna legati indissolubilmente, di nuovo un cinema
crudele sulla quotidiana fatica di vivere. Nel '92 nasce un progetto di tre film
legati ai colori della bandiera francese e ispirati ai tre principi cardine
della rivoluzione del 1789: la libertà per "Film Blu",
l'uguaglianza per "Film Bianco" e la fraternità per "Film
Rosso". Il perché Kieslowski torni al film a più episodi è presto
spiegato da una sua famosissima citazione:"Quando si accendono più
riflettori l'oggetto è più illuminato". Una trilogia
straordinariamente emozionale ed intensa ma, nel messaggio, sempre molto
dolorosa e crudele.
Kieslowski e Piesiewick hanno dimostrato ad Hollywood
che si può fare grande cinema con pochi mezzi, pochi personaggi, pochi ambienti
ed avendo come produttore la televisione. Il cineasta polacco, scomparso
recentemente, riesce ad ottenere tantissimo dagli attori ed è convinto ed
affascinato dalle infinite capacità di montaggio per cambiare radicalmente un
film; infatti monta il film più volte, almeno sei o sette; per "La doppia
vita di Veronica", ha girato sette finali per realizzare diciassette
montaggi! Chi più inconfondibile di lui?
La malattia del
padre, sofferente di tubercolosi,
costrinse - quando Krzysztof era ancora bambino - tutta la sua famiglia a
spostarsi in continuazione, in località che disponessero di un sanatorio, per
cercare una maggiore speranza di sopravvivenza per il padre del futuro regista.
Kieślowski aveva sedici anni quando il padre, tuttavia, morì.
Intanto il giovane
si diplomò in un scuola di tecniche teatrali, dove suo zio era preside,
specializzandosi nella tecnica di dipingere scenari.
Nel 1969
si laureò alla Scuola Superiore di Cinema di Łódź,
che all'epoca godeva di fama e prestigio internazionale. Iniziò così a girare
documentari, sia per la televisione che per il cinema: e sarebbero stati proprio
questi a fargli avere i primi problemi con le autorità.
Un suo documentario
del 1971, Robotnicy
1971 - Nic o nas bez nas (Lavoratori 1971: Niente su di noi senza noi) sulla
repressione violenta dello sciopero di Danzica,
venne requisito dalla polizia che voleva identificare i partecipanti: Kieślowski
rimase molto colpito da questo fatto, sentendosi quasi un traditore. Nel 1980,
mentre filmava un deposito automatico dei bagagli per il documentario Dworzec
(La stazione), la polizia gli sequestrò di nuovo la pellicola: infatti, senza
accorgersene, il regista aveva ripreso una valigia in cui c'era una donna fatta
a pezzi da un uomo che la polizia stava ricercando da tempo.
Entrò a far parte
di una cerchia di registi che si imponeva di ritrarre la situazione della Polonia
sotto il comunismo.
Una volta passato ai
lungometraggi, per le sceneggiature il regista si avvalse della preziosa
collaborazione dell'avvocato polacco Krzysztof
Piesiewicz, con il quale avrebbe collaborato durante tutta la propria
carriera cinematografica.
Altro suo fedele
collaboratore era il compositore
polacco Zbigniew
Preisner (che in Tre
colori: Film Blu si fece chiamare Van den Budenmayer).
Il 13
marzo 1996
Krzysztof Kieślowski morì per un attacco di cuore. È seppellito nel
cimitero Powązki
di Varsavia,
in Polonia.
Uno dei progetti
incompiuti del regista è quello di dirigere un'altra trilogia, basata su La
divina commedia di Dante
Alighieri. L'unica delle tre sceneggiature ad essere completata da Kieślowski
e Piesiewicz, Heaven, è stata portata sullo schermo dal regista tedesco Tom
Tykwer nel 2002.
Pare che il grande regista Stanley Kubrick nutrisse una sincera ammirazione per il regista polacco, una volta ebbe a dire:
Filmografia