"Film Bianco" di Krzysztof Kieślowski

FILM BIANCO ,  FRA  1994 , 91 min.

Karol fa il parrucchiere. Ma si sente un uomo a metà. Svilìto nell'intimo. Sconfitto, a causa del suo matrimonio infelice. È costretto a divorziare dalla moglie, su richiesta di lei, perché non consuma il matrimonio. E solo, sconsolato e senza denaro, deve partire da Parigi e tornare in Polonia.
Ma, invece di continuare la sua vita grama, a seguito del suo ritorno in patria, si arricchisce. E con la complicità del suo amico Mikolaj inscena la sua finta morte. All'unico scopo di vendicarsi dell'avida ex moglie Dominique. Vuole infatti accusare la donna, della quale è sempre molto innamorato, del suo omicidio...

Dopo Film Blu, Krzysztof Kieslowski propone il secondo capitolo della sua trilogia dedicata ai colori della bandiera francese. Il bianco è quello dell'uguaglianza. Ma gli stessi colori, corrispondono alle parole d'ordine della Rivoluzione: libertà, uguaglianza, fratellanza. I toni sono più morbidi della pellicola precedente. Ma quest'uguaglianza viene espressa in senso negativo. E la vendetta nei confronti della donna da parte del marito, per farle provare il suo stesso dolore, sfiora la crudeltà. Quasi annullando il significato stesso della parola uguaglianza. Il sesso e il denaro sono i valori del mondo materiale. E proprio loro negano significato e valore all'uguaglianza.
Il film conquista L'Orso d'Argento a Berlino, per la miglior regìa. Kieslowski è qui alla sua quarantacinquesima direzione.


Il più feroce dei tre "colori" di Kieslowski, dove l'"uguaglianza" sembra realizzarsi nella vendetta, ma si sublima invece in un amore immenso proprio perché "assurdo" (o assurdo proprio perché immenso). E' uno dei film esemplari della fine del comunismo in Europa.

MORANDINI Costretto al divorzio dalla moglie Dominique (J. Delpy), parrucchiera francese, perché non consuma più il matrimonio, il polacco Karol (Z. Zamachowski) deve rientrare da Parigi in Polonia dove, dopo essersi arricchito, architetta un perverso marchingegno per vendicarsi della donna. 2° film della trilogia sui colori della bandiera francese (bianco = uguaglianza), scritta, come Dekalog, con Krzysztof Piesiewicz (vi hanno collaborato anche la regista Agnieszka Holland, Edward Zebrowski e il direttore della fotografia Edward Klosinski), a differenza degli altri due film di timbro drammatico, è una commedia crudele che inclina al grottesco. A un livello di logica psicologica, appare qua e là sforzata e artificiosa con qualche espediente facilmente romanzesco. Si vuole suggerire che l'“egalité” – tema nascosto più che implicito – si ottiene a caro prezzo? Può anche essere interpretato come una metafora amara sul rapporto tra Est e Ovest, tra socialismo fallito e capitalismo vittorioso. Zamachowski è straordinario, ma gli altri personaggi, moglie compresa, sono di debole spessore. I tanghi di Zbigniew Preisner sono deliziosi. Orso d'argento a Berlino per la regia.

da Ciak (Piera Detassis)

Bianco come la perdita di tutto, Bianco come la luce polacca sulla Vistola gelata, Bianco come l'orgasmo risolutivo tra marito e moglie. Bianco e un poco gelido come il miglior cinema di Kieslowski, il cineasta lanciato dell'implacabile serie Decalogo. E' il secondo colore della serie dedicata alle tonalità della bandiera francese e viene dopo Film Blu, osannato e premiato a Venezia. Il cineasta polacco dallo sguardo da chirurgo delude difficilmente, ma questo Bianco è meglio del precedente. La storia del parrucchiere polacco mal sposato a Parigi con una francese, che non sopporta la sua temporanea impotenza e lo getta su una strada, è raccontata con la vena migliore di Kieslowski, quella che intreccia e confonde crudeltà descrittiva e sarcasmo divertito. La sua "scrittura" è come una lama gelida che attraversa la carne delle cose e delle persone e la ferisce, talvolta con leggerezza.

da Sette - supplemento Corriere (Paolo Mereghetti)

Anche Kieslowski sa sorridere. In maniera un po' acida, magari, ma sempre di sorriso si tratta. [...] Qui si parla di eguaglianza, ribaltando però - come già in Film Blu - le aspettative: le "pari possibilità" per tutti diventano sarcasticamente una specie di legge del taglione, e anche la moglie francese che l'ha sconfitto in tribunale (e l'ha obbligato al divorzio e a un triste ritorno in patria) si ritroverà costretta a fare i conti con una giustizia altrettanto ingiusta e immorale, che annulla ogni tipo di umanità (proprio come il colore bianco degli stacchi narrativi "nega" la varietà degli altri colori). Ma se Kieslowski non perde il suo laico pessimismo sui destini generali del mondo (l'Est che ci descrive è il paese degli imbroglioni, dei soprusi, della mancanza di qualsiasi legge che non sia quella dei furbi), conquista per contro un'ironia e un tocco sarcastico che mettono in evidenza il fondo di umanità nascosto in ognuno.

ROBERTO ESCOBAR È un periodaccio per Karol (Zbigniew Zamachowski), giovane parrucchiere polacco protagonista di Tre colori - Film Bianco di Krzysztof Kieslowski. La bella moglie francese Dominique (Julie Delpy) lo ha appena abbandonato, e lui, una grande e pesante valigia in mano, vaga senza meta per le strade di Parigi. Neanche un soldo in tasca, carta di credito disabilitata, poche parole biascicate nella lingua del paese che in modo così poco accogliente lo ospita: per Karol, lasciato da Dominique perché diventato all'improvviso impotente, non sembrano esserci vie d'uscita. Con una moneta da due franchi in tasca entra nel metrò, iniziando a suonare motivetti polacchi con un piccolo pettine trasformato in rudimentale strumento musicale. È così che conosce Mikolaj, un connazionale che subito gli propone un “lavoretto» redditizio: un uomo stanco della vita chiede, dietro congruo compenso, di essere ucciso. Accetterà il povero Karol? Nel frattempo domanda al nuovo compagno di aiutarlo a rientrare a Varsavia. Sa che nella terra natale starà di nuovo bene e, forse, riuscirà persino a riconquistare la mai dimenticata Dominique. Detto fatto: ritornato in Polonia, il parrucchiere inizia una nuova vita. Finito il grigiore comunista è ora l'epoca del capitalismo selvaggio, il momento in cui «tutto si può comprare». Anche il proprio destino. E il timido Karol si inventa un piano a dir poco diabolico, avendo sempre davanti il suo unico scopo, rivedere la moglie perduta. Punta diritto allo stomaco Tre colori - Film Bianco, seconda tappa della trilogia iniziata da Film Blu - Libertà. Una storia di imbarazzo esistenziale, malessere, con tocchi di regia degni del migliore Kieslowski (la valigia ingombrante, i movimenti impacciati, gli atti mancati), senza rinunciare alla satira caustica sui nuovi miti del presente. Come sempre la sceneggiatura è firmata dal regista in coppia con l'altro Krzysztof, Piesiewicz, il coautore dello straordinario Decalogo.

TULLIO KEZICH Quello che campeggia in Film Bianco, seconda parte del trittico dedicato da Krzysztof Kieslowski al motto tricolore della repubblica francese («Libertà, uguaglianza, fraternità»), è un Paolo Villaggio polacco, più giovane e bellino, simile al creatore di Fantozzi an-che nello stile della recitazione: l’eccellente Zbigniew Zamachowski impersona Karol, parrucchiere di Varsavia che ha sposato a Parigi la collega Dominique (Julie Delpy). Si parte in tribunale, dove la mogliettina ha trascinato l’esule in una causa di divorzio per matrimonio non consumato, umiliandolo con la pubblica proclamazione della sua impotenza. Dopo un intermezzo trascorso da barbone sui marciapiedi, in stile La leggenda del Santo Bevitore, spinto dalla nostalgia Karol rientra clandestino in patria dentro un baule coi buchi per la respirazione; e abbastanza presto, svelando un’imprevista spregiudicatezza di imprenditore, diventa un mini-Berlusconi.
Lungi da lui però di fondare il movimento politico «Forza Polonia»: l’unica aspirazione di Karol è quella di attirare l’odiosamata Dominique in una trappola che passa attraverso le fasi del fingersi morto, assistere non visto al proprio funerale come il pirandelliano Mattia Pascal e presentarsi a sorpresa nudo e pronto a godere le gioie dell’amore. Con un primo finale crudele e un secondo finale tenerissimo.
Chi ha visto il tragico Film Blu si sorprenderà di trovare in Film Bianco un grottesco che pur percorso da una vena inquietante riscuote volentieri la risata. Forse l’impasto non è originalissimo e al-meno la sottostoria, del resto solo accennata, del suicida velleitario che assume un killer per la bisogna l’abbiamo già vista. Pure Kieslowski si conferma un caposcuola del cinema moderno impegnato in un’impresa mai prima tentata da nessuno: girare tre film di seguito presentandoli l’uno dopo l’altro ai festival di Venezia (Leone d’oro), Berlino e Cannes (dove in maggio vedremo Film Rosso). Il pretesto ideologico che tiene insieme gli episodi è meno evidente che nell’insuperato Decalogo, ma per spiegare il tema dell’uguaglianza il regista nelle interviste ripete una battuta che risale all’epoca del socialismo reale: «Tutti gli uomini sono uguali, purtroppo alcuni sono più uguali degli altri». Donde l’affannoso arrabattarsi di Karol per raggiungere l’uguaglianza con Dominique, ovvero affermare la sua superiorità sulla donna. Ciò che più colpisce nel film, al di là dell’aneddoto, è la testimonianza su una Polonia allo sbando dove ormai «si compra tutto». Incluso, all’occorrenza, un cadavere sfigurato da far passare per un altro.

 CULTURA 2000 Il tema dell’eguaglianza , sotteso al colore bianco della bandiera francese , è  qui espresso in forma negativa , e si esprime nel film in realtà  in una vana rincorsa a questa eguaglianza. Il parrucchiere polacco , protagonista del film , è infatti un emarginato di fatto nella società francese , e viene in essa deprivato di tutto : della moglie che lo lascia perché impotente e che a sua volta lo depriva di tutto il resto . Il suo ritorno in Polonia scandisce , anche in modo grottesco, la scalata sociale ed economica dell’uomo, in una società polacca , dove nel frattempo è crollato il Muro, e vi è spazio solo per un primo capitalismo selvaggio e rozzo. Questa scalata sociale ed economica è mossa dalla molla profonda dell’uomo a  prendersi la rivincita sulla ex moglie , e a vendicarsi in modo perfido .  In realtà poi questa vendetta si sublima nell’espressione di un amour fou  incoercibile e struggente  , come nella splendida scena finale , dove i due cominciano a comunicare , per la prima volta,  e   a segni  come  da bimbi, solo quando sono separati dalla grata di una prigione . Come a dire che l’uguaglianza a questo mondo si ottiene spesso a caro prezzo , e l’amore totale , disinteressato, puro, nasce nel cuore forse  solo quando lo si  è perduto nella sua concretezza della  vita quotidiana .  E ancora il film fa riflettere con sottile poesia sul profondo rapporto di prevaricazione tra uomo e donna , in cui sempre l’uno o l’altro deve soccombere alternativamente , un rapporto asimmetrico che sussiste ( ancora) nella nostra civiltà contemporanea, anche nell’Occidente avanzato.

Dal punto di vista dell’espressività dell’immagine qui Kieslowski declina il bianco in una gamma di situazioni che risplendono magicamente : bianca è la veste della donna , trasfigurata nel suo abito da sposa, in controluce dorata , che appare più volte come una realtà fantasmatica e sfuggente ; bianco ancora -  come è detto sopra in altra critica  - “come la perdita di tutto, e l’annullamento di ogni differenza ; bianco come la luce polacca sulla Vistola gelata , bianco come l’orgasmo risolutivo tra marito e moglie alla fine”.